SCIENZA E RICERCA

Città verdi. Difendere la biodiversità, nostra vicina di casa

Non solo le foreste e i grandi ambienti naturali, ma anche gli spazi urbani possono ospitare delle isole di biodiversità in cui abita una vasta gamma di specie vegetali e animali, alcune delle quali persino a rischio di estinzione. Recentemente, un gruppo di ricercatori guidato da Anita Grossman, ecologa alla Technische Universität di Berlino, ha accertato l’esistenza di un totale di 106 specie di api nelle aree periferiche della capitale tedesca, localizzate in appezzamenti di erba e vecchie strutture abbandonate. Questi luoghi, dove la vicinanza con gli spazi cementati causa un irradiamento del calore, costituiscono degli habitat ideali per la vita di questi insetti.

Come racconta Gabriel Popkin su Science, la disciplina dell’ecologia urbana è nata proprio a Berlino a partire dagli anni Cinquanta. Qui gli studi per indagare gli ecosistemi interni alle città proseguono da più di sessant’anni e hanno dato vita a strategie di conservazione e promozione della biodiversità che hanno reso questa metropoli una delle capitali più verdi del mondo. Nelle aree periferiche di Berlino, come ad esempio l’ex scalo ferroviario di Südgelände e l'ex aeroporto Tempelhof, si sono costituiti dei nuovi ecosistemi in cui specie autoctone e allogene convivono in armonia.

Abbiamo approfondito il senso e l’importanza dell’ecologia urbana come disciplina scientifica con l’aiuto di Thomas Campagnaro, ricercatore e docente di selvicoltura applicata e gestione forestale all’università di Padova.

“L’ecologia urbana si occupa di studiare gli organismi viventi e le loro interazioni con l’ambiente all’interno di aree urbane”, spiega Campagnaro. “Talvolta si tende a pensare che le città siano caratterizzate da bassi livelli di biodiversità, ma in realtà al loro interno possono esistere alcuni luoghi che permettono la sopravvivenza di specie rare. Non per altro, nelle città si possono trovare aree ricche di biodiversità e protette come nei luoghi remoti e disabitati. Per esempio, all’interno del territorio europeo, oltre 2800 dei siti che compongono la rete Natura 2000 sono presenti in oltre 800 città europee (alcune delle quali italiane). Si tratta di aree in cui è stata accertata la presenza di specie o habitat di rilevanza per la conservazione della biodiversità.

Da molto tempo la biodiversità urbana a Berlino è oggetto di ricerche di questo genere. Infatti, la capitale tedesca è caratterizzata dalla presenza di alcuni ambienti che i sono formati spontaneamente: zone da tempo abbandonate in cui prosperano in maniera autonoma specie vegetali e animali. Un esempio è il parco di Südgelände, un ex scalo ferroviario che oggi è un’area in cui è avvenuta la colonizzazione spontanea di boschi e che vede la presenza di specie minacciate e, quindi, da conservare.

Anche l’Italia – in diverse città tra cui Padova e Bologna – ospita alcuni boschi spontanei ricchi di specie animali e vegetali sviluppatisi a seguito dell’abbandono di attività umane”.

Si potrebbe obiettare che la salvaguardia della biodiversità urbana conti ben poco rispetto alla necessità di proteggere e conservare i grandi ambienti naturali. Eppure, per quanto la conservazione dei soli ecosistemi cittadini non possa bastare a salvare il pianeta dalla crisi climatica e di perdita di biodiversità che stiamo vivendo, anche gli studi di ecologia urbana apportano un valido contributo alla difesa della biodiversità a livello globale.

Infatti, come spiega il professor Campagnaro, “ricerche di questo genere servono innanzitutto a individuare gli ambienti e le condizioni di vita ottimali per specie animali e vegetali nelle aree urbane. Se infatti l’attività umana può plasmare l’ambiente circostante, allora si può anche agire e pianificare per garantire il mantenimento di un ambiente idoneo alla sopravvivenza di determinate specie e contribuire alla formazione di nuovi hot-spot di biodiversità nelle città.

L’intervento umano è comunque importante per favorire il mantenimento di aree seminaturali, le quali sono anche funzionali alle cosiddette reti ecologiche. Le aree verdi immerse negli ambienti urbani possono infatti diventare aree di connessione tra la città e gli spazi più naturali che si trovano al di fuori del territorio urbano, permettendo così gli spostamenti delle specie. Pensiamo, ad esempio, alle grandi metropoli densamente popolate: queste potrebbero limitare la libertà di movimento delle specie se al loro interno non esistessero dei “corridoi verdi” che permettono la connessione tra le aree naturali circostanti e quelle all’interno della città”.

Identificare e connettere gli ecosistemi urbani adatti alla convivenza delle specie locali e allogene sono gli obiettivi centrali di un programma di ricerca lanciato nel 2016 dai ricercatori della Technische Universität di Berlino chiamato CityScapeLab Berlin che si basa sulla misurazione del livello di urbanizzazione delle diverse aree della città e lo studio dei fattori legati alla configurazione del paesaggio urbano che possono avere un impatto sulla vita e l’interazione delle diverse specie naturali che vivono nel territorio cittadino.

“Il concetto di rete ecologica è un aspetto importante per l’ecologia urbana e sono numerose le iniziative scientifiche che, come il progetto CityScapeLab Berlin, sfruttano le conoscenze in questo ambito per delineare strategie di pianificazione e gestione delle aree urbane atte a preservare le specie che abitano le città”, afferma Campagnaro. “La finalità di questo e di altri progetti simili è anche quella di ampliare la nostra conoscenza sulle interazioni tra le diverse specie animali e vegetali e con gli esseri umani. Per esempio, il gruppo di ricercatori della Technische Universität di Berlino ha svolto vari lavori di questo genere, tra cui uno studio in cui è stato valutato il possibile effetto della presenza di cani sulla biodiversità dei parchi cittadini”.

Conoscere la biodiversità che abita proprio accanto a noi è il primo passo per difenderla. Anche la società civile può diventare parte attiva di questo processo scientifico grazie a iniziative di citizen science – come il progetto italiano InNat nato nel 2017 e coordinato dal Centro nazionale Carabinieri biodiversità “Bosco Fontana” – in cui cittadini e cittadine possono segnalare la presenza di determinate specie animali e vegetali nel territorio cittadino.

“Le iniziative di citizen science sono utili per coinvolgere i cittadini nella raccolta di grandi quantità di dati utili alla ricerca che sarebbe piuttosto difficile e dispendioso raccogliere senza la partecipazione attiva della società civile”, commenta Campagnaro. “Ma l’utilità di simili progetti non si riduce a questo: tali programmi hanno anche la capacità di sensibilizzare i cittadini sull’importanza della biodiversità insegnando loro a riconoscere le specie che abitano nelle città; sono quindi strumenti in grado di relazionare le persone alla natura e alla biodiversità”.


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Per quanto riguarda invece il futuro della ricerca sulla biodiversità in ambito urbano su scala globale, Campagnaro ribadisce, innanzitutto, la necessità di “aumentare la conoscenza di tutte le specie presenti nelle città, alcune delle quali sono ancora poco studiate, come ad esempio i rettili e gli anfibi. Sarebbe inoltre utile acquisire conoscenze sugli ecosistemi urbani di tutte le aree del mondo; attualmente infatti questi studi sono stati condotti principalmente in Europa, Australia e America del Nord. Infine, è importante continuare ad approfondire la conoscenza degli effetti dell’urbanizzazione sulla biodiversità con ricerche che permettano di comprendere meglio, ad esempio, gli impatti dell’inquinamento luminoso o dell’innalzamento delle temperature sulle specie che abitano nelle città”.

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