SOCIETÀ

Come ci cambia il digitale

In mezzo a questo lockdown che ci chiude letteralmente in casa, la rete – persino con i famigerati social – si rivela uno strumento sempre più prezioso per informarsi e mantenere un minimo di contatti interpersonali. Una situazione però tutt’altro che agevole: “Il digitale è efficiente quando è ibrido, ovvero quando si ‘mescola con la realtà’: anche per questo oggi siamo tutti un po’ in sofferenza”. A parlare è Gabriele Giacomini, giovane studioso nell’ambito della sociologia della comunicazione presso l’università di Udine, dove coordina il master in filosofia digitale.

“Sulla Rete dobbiamo tenere presenti concetti fondamentali come la trasversalità e quella che Andrew Chadwick chiama ibridità – continua Giacomini –. Il digitale non ha cancellato tutto quello che c’è stato prima: quando è nata la scrittura non per questo abbiamo smesso di parlarci. Proprio in questi giorni stiamo vedendo che, pur essendo una risorsa enorme e preziosa, internet non può sostituire le altre forme di comunicazione orale e scritta, le quali insieme compongono il nostro modo di relazionarci esattamente come i vari strati formano il terreno”.

Giacomini nella sua attività di ricerca si occupa in particolare del rapporto tra Rete e sistemi politici, tematica a cui ha dedicato il libro Potere digitale. Come internet sta cambiando la sfera pubblica e la democrazia (Meltemi 2018). “Anche in politica non ci si può limitare a puntare tutto su internet – spiega ai lettori de Il Bo Live –. Persino il Movimento 5 stelle ha un leader che è diventato famoso attraverso la televisione, inoltre vengono continuamente organizzati anche Meetup e comizi. Ma anche Salvini, leader di un partito tradizionale come la Lega, continua a incontrare personalmente i simpatizzati oltre a concedersi ai selfie. È proprio l’uso coordinato dei diversi canali a contribuire a far circolare e a rafforzare i contenuti”.

Il digitale è efficiente quando è ibrido: quando si ‘mescola con la realtà’

La struttura della rete porta a una maggiore libertà o a un maggiore controllo?

“Per molti anni sia negli studi sociologici che in quelli sui media il concetto mainstream è stato quello di disintermediazione, mentre oggi invece ci rendiamo conto che gli intermediari non sono spariti: sono solo cambiati. Per prenotare un volo o un hotel ad esempio si va su una delle tante piattaforme on line: un filtro c’è sempre, cambia solo la modalità. È meglio parlare quindi di neointermediazioni: Google e Facebook scelgono che notizie darci e in che ordine, spesso con criteri legati al gusto delle persone ma comunque non obiettivi e neutrali. Già il movimento Occupy Walstreet si era già accorto di essere poco visibile su Twitter: nonostante la mole di traffico prodotto non finivano mai nei trend. Si trattava di censura? Non lo sapremo mai, dato che gli algoritmi delle grandi compagnie sono privati”.

Che effetti ha tutto questo sui processi democratici?

“La neointermediazione vale anche qui: gli intermediari classici come i partiti tradizionali, i sindacati e i giornali sono in crisi. C’è un calo consistente sia nella membership partitica che nella partecipazione elettorale, parzialmente compensato dal proliferare di nuovi schemi di partecipazione via internet: i filtri però rimangono, così come l’importanza di avere un gruppo dirigente. Anche solo per decidere cosa mettere ai voti e per quanto tempo, come ad esempio accade su piattaforme come Rousseau”.

Per descrivere la situazione attuale lei conia il concetto di ‘democrazia dialogica imperfetta’: cosa intende esattamente?

“Che la democrazia è sicuramente un modo per gestire la successione al potere e la pace sociale, ma oltre a questa definizione ‘minimalista’ essa serve anche a creare uno spazio per il dialogo e il confronto, al fine di prendere decisioni razionali e condivise. Le possibilità di dialogo sono sempre imperfette, ma non per questo vanno necessariamente svilite o abbandonate. Molte persone attraverso internet cercano e spesso riescono anche ad avere un confronto, come i debunker e i blogger: un dialogo altamente imperfetto ma comunque positivo, e soprattutto in continua evoluzione. È vero che sulla rete a volte si rischia di disinibire alcuni freni inibitori, ma essa è tutt’altro che quel luogo dell’odio di cui spesso si parla: dovremmo rendercene conto proprio in questi giorni”.

Oggi ci rendiamo conto che gli intermediari non sono spariti: sono solo cambiati

Com’è che internet sta cambiando la nostra democrazia?

“Innanzitutto la sfida. Ne sfida gli intermediari classici che oggi sono in crisi: dai partiti tradizionali a quelli personali di tipo televisivo. Crisi che però è anche trasformazione: sta nascendo un nuovo genere di comunicazione, di tipo non solo razionale ma anche emotivo. Come diceva Giovanni Sartori la politica non deve solo sollecitare la razionalità degli elettori: deve anche motivarli. A questo riguardo i leader hanno stili diversi; Obama ad esempio puntava sulla speranza, altri invece sulla paura, e in questo il digitale dà molte frecce al loro arco perché è multimediale: mette insieme testi, immagini e suoni con velocità e pervasività. E, come ci insegna la vicenda di Cambridge Analytica, permette di personalizzare ogni messaggio sollecitando i cittadini in modo molto più preciso rispetto al passato, utilizzando la profilazione delle tracce lasciate dai nostri comportamenti on line”.

Che caratteristiche ha questo nuovo tipo di comunicazione?

“È più persuasiva ma ha anche dei costi, che comportano la frammentazione e la polarizzazione dell’opinione pubblica. Un processo iniziato già prima dell’avvento dell’era digitale ma che è accelerato soprattutto negli ultimi anni: oggi abbiamo non una ma tante piccole piazze, che spesso rischiano di non riuscire a interagire tra loro. La Rete sta cambiando la democrazia e i suoi protagonisti, permette strategie comunicative più potenti e precise, ma anche rischia di ridurre la nostra abitudine al confronto pluralistico”.

Si tratta di processi nuovi?

“In realtà è costante negli esseri umani la tendenza all’omofilia, a frequentare chi la pensa come noi. In fondo la società italiana è sempre stata molto divisa, con contrapposizioni spesso forti e non basate sullo spirito dialogico. Con internet però c’è un aspetto nuovo, che non riguarda soltanto le persone politicamente più attive, le quali tendono naturalmente a essere più sicure delle proprie idee e quindi ideologicamente estremiste. In un contesto ‘reale’, come può essere quello lavorativo, è più facile entrare in contatto con una pluralità di posizioni, mentre su internet si tende a stabilire relazioni solo con quelli con cui si va d’accordo. In secondo luogo le piattaforme tendono a offrirci solo contenuti aderenti ai nostri gusti, quindi c’è il pericolo di una sorta di ‘inscatolamento’ nella propria bolla, con la conseguente perdita di contatto con la realtà”.

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