SCIENZA E RICERCA

Il contributo della crisi climatica alla diffusione della malaria

Per provare a prevedere il futuro a volte bisogna guardare al passato. È quello che ha provato a fare un gruppo di ricercatori analizzando lo spostamento della zanzara responsabile della malaria. Secondo i dati pubblicati su Biology Letters della Royal Society, nell’ultimo secolo le zanzare si sono allontanate di 4,7 chilometri l’anno dall’equatore e ogni anno hanno raggiunto aree ad altitudini più elevate di 6 metri e mezzo. Sono gli effetti dell’aumento delle temperature che hanno reso adatte alla vita del vettore della malaria luoghi che inizialmente lo erano molto meno.

Secondo il primo autore dello studio Colin Carson, biologo del Centro per la Salute e la Sicurezza Globale della Georgetown University negli Stati Uniti, l’unica spiegazione di questo spostamento è infatti il cambiamento climatico. Carson ha dichiarato al New York Times che il legame con il cambiamento climatico è molto evidente e che un’altra spiegazione, come per esempio un fattore casuale, non sarebbe altrettanto efficace.

Cambiamento climatico e rischi legati alle malattie

L’impatto della crisi climatica sulle epidemie è oggetto di studio e ricerca a livello globale da diversi anni. “Ci sono consolidate evidenze scientifiche che possano influenzare la distribuzione dei vettori e degli agenti patogeni da loro trasmessi in nuove aree, ponendo a rischio di epidemie popolazioni immunologicamente suscettibili”, spiegano Daniela Boccolini e Marco Di Luca del Dipartimento Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità.

I due ricercatori fanno l’esempio di Anopheles stephensi, la specie di zanzara che è il principale vettore per la malaria nel subcontinente indiano. “Negli ultimi anni”, sottolineano, “la specie ha esteso in modo preoccupante il suo areale di distribuzione, principalmente verso l’Africa”. Nel 2012 è stata segnalata per la prima volta la sua presenza a Djibouti e da lì si è rapidamente diffusa nel Corno d’Africa, con il Kenya ultimo paese a segnalarne proprio in queste settimane la presenza. La situazione è talmente preoccupante, soprattutto in ambito urbano, che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) “ha ritenuto di lanciare un’allerta di sorveglianza attiva della specie in queste aree”.

Certo è difficile quantificare l’impatto dei cambiamenti climatici perché, sottolineano Boccolini e Di Luca, “altri determinanti ecologici e antropici debbono essere necessariamente considerati”. Come per esempio lo sviluppo socioeconomico, l'urbanizzazione, i cambiamenti ambientali, i flussi migratori e non ultima la globalizzazione. L’approccio migliore è quindi un approccio olistico e integrato "nella sorveglianza e controllo di queste malattie, avvalendosi di un supporto tecnico-scientifico multidisciplinare e coinvolgendo tutti i settori interessati alle problematiche sanitarie che possono emergere nell’interfaccia uomo-animale-ambiente: i servizi di sanità pubblica, i servizi veterinari, inclusa la popolazione locale”.

 

La situazione in Italia

L’OMS ha dichiarato il nostro paese libero dalla malaria nel 1970, ma già dall’inizio del decennio precedente non si sono più registrati casi. Ma proprio la globalizzazione, la facilità di connessione tra le varie aree del mondo, unita alla particolare posizione dell’Italia in mezzo al Mediterraneo non devono mai far abbassare la guardia. La malaria è una di quelle malattie infettive per cui ISS, Ministero della Salute e le altre autorità coinvolte a livello locale e nazionale hanno steso piani e sistemi di informazione e allerta. La notifica dei casi di malaria al Ministero è obbligatoria ed esiste un Piano Nazionale che viene periodicamente aggiornato e che serve a coordinare le azioni di sorveglianza e allerta.

 

Tra agosto e ottobre del 2017, raccontano Boccolini e Di Luca, “sono stati registrati sette casi sospetti di malaria autoctona”. Si tratta cioè di casi di malaria che non sono notati su persone che rientravano da zone dove la malaria è endemica, ma casi di infezione che si supponeva fossero avvenuti in Italia. “Dopo le indagini epidemiologiche, due casi sono risultati d’origine nosocomiale, criptici gli altri cinque, non essendo stato possibile stabilire una possibile causa di trasmissione. Tuttavia, questo insolito cluster di sette casi non legati a viaggi in aree endemiche ha dimostrato quanto sia importante mantenere un livello costante di sorveglianza per questa malattia”.

 

Malaria e non solo

La malaria non è l’unica malattia infettiva che deve far tenere alta la guardia. Nel nostro paese sono presenti altre patologie che si trasmettono attraverso zanzare autoctone, come per esempio la febbre causata dal virus West Nile, trasmessa dalla zanzara comune (Culex pipiens). “Nel 2018”, riportano Boccolini e Di Luca, “ha causato 595 casi di infezione nell’uomo, con 238 forme neuro-invasive e nel 2022 i casi sono stati 566, con 285 forme neuro-invasive”.

D’importazione sono invece chikungunya, Zika e dengue, malattie che vengono trasmesse dalla zanzara tigre (Aedes albopictus): “possono produrre focolai autoctoni più o meno estesi, come già accaduto con le due vaste epidemie di chikungunya del 2007 e del 2017, che hanno coinvolto centinaia di persone, o con il circoscritto focolaio di dengue in Veneto, nell’agosto 2020”.

 

Eradicazione della malaria?

Per il 2030 l’OMS ha fissato un obiettivo particolarmente ambizioso, ovvero ridurre del 90% i casi di malaria nel mondo. Ambizione che sembra scontrarsi con i dati non incoraggianti degli ultimi anni. Sono proprio le informazioni più aggiornate dell’ISS che raccontano come "il numero di Paesi con meno di 100 casi di malaria autoctona è passato da 6 a 27 tra il 2000 e il 2019", ma proseguono "gli innegabili progressi ottenuti nell’ultimo decennio hanno subito ora una battuta d’arresto, dal momento che le cifre relative al numero di casi e alla mortalità per malaria a livello globale sono in stallo da quattro anni". Eradicare una malattia infettiva come la malaria è quindi all’orizzonte? Rispondere è ovviamente complesso. E come ha recentemente spiegato al BoLive Nicoletta Dentico, responsabile del programma Giustizia Sanitaria della Society for International Development, uno dei punti fondamentali è un approccio che non sia solamente orientato ai dati e ai numeri, ma che prenda in considerazione il contesto di vita delle persone nella sua totalità.

Parole che riecheggiano quanto dichiarato anche da Boccolini e Di Luca, che sottolineano come l’approccio più efficace per provare a sconfiggere la malaria sia quello che viene chiamato One Health (letteralmente ‘una sola salute’). Va ricordato che “questa è una malattia della povertà che a sua volta genera povertà”. Anche nei paesi dove è endemica, infatti, la malaria non è distribuita in modo uniforme, ma a macchia di leopardo e il rischio di malaria varia significativamente all’interno dello stesso paese. Ne consegue che “le strategie adottate per un’area non sono necessariamente appropriate per altre zone”.  Ma, in attesa dello sviluppo di un vaccino antimalarico realmente efficace, concludono Boccolini e Di Luca “con l’uso di approcci integrati si può almeno ragionare in termini di riduzione dell’impatto di questa malattia nei paesi endemici”.

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