SCIENZA E RICERCA

Cooling poverty: un problema di giustizia termica

Le ondate di calore stanno aumentando come intensità, durata e frequenza in ogni angolo del mondo, così come i tassi di mortalità dovuti all’eccesso di calore. In un mondo sempre più rovente, la possibilità di rinfrescare il proprio corpo e gli ambienti in cui si trascorrono le giornate sta diventando un requisito fondamentale per la salute, la qualità della vita e la sopravvivenza. Quest’esigenza sta facendo emergere un nuovo tipo di diseguaglianza: non tutti dispongono delle risorse materiali e immateriali necessarie per difendersi dal caldo, e chi non li ha sperimenta ciò che gli autori di un recente studio su Nature Sustainability  definiscono systemic cooling poverty (povertà di raffreddamento sistemica).

Come ha raccontato a Il Bo Live Antonella Mazzone, ricercatrice al dipartimento di antropologia e archeologia dell’università di Bristol e prima autrice dello studio, il concetto di cooling poverty è già presente in letteratura da alcuni anni e proviene da una lunga serie di studi e indicatori volti a misurare il confort termico secondo diversi criteri e parametri. “Negli anni Settanta del secolo scorso, quando la crisi petrolifera colpì i paesi occidentali europei e gli Stati Uniti, nacquero i concetti di fuel poverty (povertà di carburante) ed energy poverty (povertà energetica) per descrivere la condizione di quelle famiglie, non necessariamente a basso reddito, che non riuscivano a riscaldare le loro case durante l’inverno”, racconta Mazzone. “Sulla base di questi primi concetti sono stati costruiti molteplici indicatori, dapprima nei paesi del primo mondo e poi in quelli in via di sviluppo, per misurare il disagio dovuto all’assenza di confort termico e alla deprivazione energetica.

La povertà di raffreddamento viene indagata invece a partire dal 2019 grazie al lavoro di alcuni ricercatori spagnoli che, alla luce delle evidenze scientifiche sul cambiamento climatico e l’aumento delle temperature globali, hanno proposto il concetto di Summer Energy poverty per definire la deprivazione di sistemi di raffrescamento durante l’estate per le famiglie che vivono nell’emisfero settentrionale. Il problema di questo e degli altri approcci sviluppati successivamente in questo ambito di ricerca riguarda la loro tendenza a concentrarsi quasi solamente sulle condizioni socioeconomiche delle famiglie e sul possesso di sistemi di aria condizionata, tralasciando di considerare i molti altri fattori, materiali e immateriali, che consentono ciò che definiamo rinfrescamento passivo (passive cooling)”.

Il concetto di systemic cooling poverty sviluppato da Mazzone e coautori si discosta dai precedenti indicatori di povertà energetica o di combustibile proprio perché tiene conto del ruolo di molteplici infrastrutture di raffreddamento passivo che non dipendono dall’utilizzo di apparecchiature termoregolatrici. “Abbiamo approfondito, in particolare, quelle disuguaglianze strutturali che possono acuire il disagio termico”, spiega Mazzone. “Tali disuguaglianze dipendono da un insieme di variabili molto complesso che include, ad esempio, anche la dimensione delle conoscenze, dei comportamenti individuali e delle caratteristiche ambientali.

Abbiamo considerato, in particolare cinque dimensioni della povertà di raffreddamento: clima, infrastrutture, reti sociali, salute e conoscenza. Ognuna di esse è caratterizzata da un insieme di variabili, alcune delle quali sono cause della povertà da raffreddamento, mentre altre sono conseguenze e che vanno perciò considerate in maniera unitaria. Ad esempio, per valutare la gravità della cooling poverty in una determinata regione non è sufficiente considerare la quantità di persone che possono permettersi l’aria condizionata, ma bisogna incrociare questa stima con i dati climatici, con la presenza di infrastrutture passive e con l’incidenza di alcune malattie”.

Clima

La prima delle dimensioni individuate dagli autori è il clima, che ha un impatto diverso sulla cooling poverty di una certa area geografica non solo a seconda delle temperature medie, ma anche della percentuale di umidità. “Tassi di umidità molto elevati possono aumentare il rischio di mortalità, specialmente per i soggetti più fragili – in primis gli anziani, i bambini e le persone con determinati problemi di salute – a temperature che sarebbero invece tollerabili in presenza di un clima secco”, sottolinea Mazzone.

Infrastrutture per il confort termico

Il secondo dei parametri considerati riguarda il confort termico, che non dipende solo dal possesso di elettrodomestici in grado di rinfrescare l’ambiente e i cibi, ma anche dalle condizioni igieniche e dall’accesso all’acqua potabile, dal possesso di indumenti traspiranti in fibre naturali, dal livello di efficientamento energetico degli edifici e dall’assetto urbanistico. “Una variabile fondamentale riguarda la presenza di aree verdi o blu e di zone ombreggiate e ventilate in determinati quartieri o regioni, che evitano la formazione delle isole di calore urbano”, sottolinea Mazzone. “Ma anche alcuni comportamenti individuali, come le scelte di abbigliamento, possono aggravare una condizione di disagio termico. Sappiamo, ad esempio, che i tessuti naturali favoriscono la termoregolazione, al contrario delle fibre sintetiche su cui si fonda l’industria della fast fashion. Anche la disponibilità di una fornitura d’acqua pulita e sicura è fondamentale, e dipende a sua volta da un insieme di fattori molto complesso. Pensiamo, ad esempio che in India, dove certe case non hanno neanche il bagno e le latrine si trovano all’aria aperta, molte donne bevono il meno possibile proprio per evitare di recarsi in questi bagni pubblici ed essere esposte al rischio di subire violenza sessuale, che in alcune regioni del paese è molto alto”.

Reti sociali

Le disuguaglianze sociali (dovute al genere, all’etnia, alla sessualità, alle differenze di reddito e al livello di istruzione) e i modelli di segregazione residenziale (il fenomeno per cui le persone con caratteristiche sociodemografiche simili tendono a stabilirsi negli stessi quartieri) contribuiscono ad acuire la povertà di raffreddamento sistemica. Le famiglie a basso reddito o appartenenti a minoranze etniche sono quelle più a rischio di subire gli effetti dannosi dell’eccesso di calore, perché hanno più probabilità di vivere in quartieri con carenza di spazi verdi. In situazioni come queste, l’impossibilità di difendersi dal calore eccessivo non fa altro che esacerbare disuguaglianze già esistenti. “Le cosiddette infrastrutture sociali consistono anche in quelle reti di contatti e conoscenze che hanno un impatto sul confort termico”, riflette Mazzone. “Pensiamo, ad esempio, alla possibilità, per chi vive uno stress termico a casa propria, di andare a trovare parenti o amici che abitano in luoghi più freschi. Abbiamo considerato poi alcune dinamiche in grado di causare situazioni di ingiustizia termica: gli scarichi esterni dei condizionatori d’aria, ad esempio, aumentano la sofferenza dovuta all’eccesso di calore per le persone che lavorano all’aria aperta e per quelle senza fissa dimora”.

Salute

“Il quarto dei parametri che abbiamo individuato riguarda la salute”, prosegue Mazzone. “In questa dimensione rientrano molteplici variabili che possiamo annoverare sia tra le cause che tra gli effetti della cooling poverty. Pensiamo, ad esempio, all’aumento dei tassi di mortalità infantile come conseguenza della mancanza di quelle infrastrutture passive già descritte, in particolare i servizi igienici e la possibilità di conservare i cibi al fresco. È inoltre importante sapere quali sono le categorie più a rischio di sperimentare conseguenze particolarmente negative per l’eccesso di calore in relazione al loro stato di salute. Le persone già affette da alcune malattie cardiovascolari e respiratorie, ma anche da alcuni disturbi mentali e dal cancro, oltre che le donne incinte, sono infatti particolarmente esposte ai rischi dovuti allo stress termico e necessitano a maggior ragione di un sistema affidabile di infrastrutture di raffreddamento passive”.

Educazione e conoscenza

L’ultima delle dimensioni di cui si compone la systemic cooling poverty riguarda il livello di istruzione e gli standard lavorativi delle persone, oltre che l’accesso a quel livello minimo di conoscenza e informazioni sulle strategie da adottare per rinfrescare il proprio corpo e gli spazi in cui si vive. Proprio questo tipo di capitale culturale costituisce una risorsa immateriale fondamentale per adattarsi con successo all’aumento delle temperature. “La dimensione intangibile delle conoscenze individuali o collettive riguardo ai modi migliori per proteggersi dal calore eccessivo varia moltissimo tra le diverse aree geografiche”, chiarisce Mazzone. “Ad esempio, le persone nate nei paesi caldi dell’Europa meridionale sanno da generazioni che l’abitudine della siesta pomeridiana è un metodo di adattamento efficace per evitare di esporre il proprio corpo all’ambiente esterno nelle ore più calde. In alcuni paesi del Nord Africa, invece, è molto diffusa l’abitudine di dormire sui terrazzi o comunque all’aria aperta, mentre invece in Amazzonia i turni di lavoro pesante nei campi vengono concentrati nelle ore notturne antecedenti all’alba. Si tratta di strategie intuitive per combattere il calore, la cui inconsapevolezza rappresenta uno svantaggio. Per diffondere tali conoscenze, laddove esse manchino, è fondamentale il ruolo delle istituzioni che hanno il compito di fornire alla popolazione e alle aziende informazioni utili su come modificare le abitudini e i ritmi lavorativi per ridurre i rischi associati all’eccesso di calore. La cooling poverty impatta inoltre negativamente sull’accesso all’istruzione e sugli standard lavorativi. Quando mancano le infrastrutture passive di raffrescamento si osserva un peggioramento del rendimento scolastico e lavorativo, specialmente per le persone che lavorano all’esterno oppure in luoghi non adeguatamente ventilati e rinfrescati”.

Gli autori dello studio si augurano che il loro lavoro sia d’utilità per la definizione di interventi a livello nazionale e locale mirati a ridurre la sofferenza da eccesso di calore. “Non è sempre facile per i governi capire dove intervenire per ridurre la dimensione della cooling poverty, proprio perché si tratta di un fenomeno multifattoriale e che richiede interventi combinati in diversi ambiti, tra cui lo sviluppo urbanistico, i servizi sanitari e la comunicazione istituzionale”, riflette Mazzone. “Noi abbiamo approfondito tante diverse dimensioni che hanno un impatto sull'adattamento all’aumento delle temperature dovuto al cambiamento climatico; in questo modo i decisori politici possono valutare caso per caso su quale di queste variabili agire in base alla situazione specifica e alla disponibilità economica. Mentre in alcuni luoghi sarà prioritario, ad esempio, implementare l’adeguata fornitura di acqua potabile e i servizi igienici, altrove sarà piuttosto opportuno intervenire a livello di pianificazione urbanistica per migliorare la distribuzione di aree verdi tra i diversi quartieri. È importante comunicare che non esistono soluzioni uniche e definitive, ma è piuttosto necessario delineare un insieme di strategie diversificate, coordinate e basate sulla collaborazione tra diversi soggetti – governi, stakeholder e popolazione locale – per rispondere alle diverse dimensioni del problema”.

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