SOCIETÀ

Coronavirus in Africa, l'epidemia a due velocità

Come evolverà l’epidemia di SarS-CoV-2 nel continente africano è ancora un’incognita. Di certo c’è che finora ha avuto un andamento lento. L’arrivo del nuovo coronavirus in Africa ha fatto paura fin dall’annuncio del primo caso, il 14 febbraio 2020, quando un uomo di 33 anni è risultato positivo al Covid-19 in Egitto. A distanza di quasi due mesi i numeri sono certamente più alti: più di 11.000 contagi in 52 dei 54 Paesi del continente, con circa 500 decessi e  più di 1.000 guarigioni. In una settimana i casi sono aumentati di 4.500 unità, mostrando che ora il contagio è in aumento. Un andamento epidemiologico, però, che risulta contenuto se viene confrontato con quello tenuto in altri Paesi, come l’Italia, o gli Stati Uniti, dove dopo due mesi, i numeri parlano chiaramente di un'epidemia generalizzata.

Ci sono stati in cui il virus risulta più concentrato, come in Sud Africa, Algeria, Egitto, Marocco, dove il contagio oscilla tra i 1.800 e i 1.200 casi. In generale però, il continente africano continua a presentare piccoli o grandi focolai, e ciò non significa che il pericolo sia contenuto o scampato, tutt’altro. “In Africa siamo a un bivio, potrebbe continuare questa epidemia a focolai, oppure di avere una pandemia globale a livello di intere nazioni infettate”, a dirlo è il dottor Andrea Atzori, responsabile delle relazioni internazionali di Medici con l’Africa Cuamm. Atzori, con una carriera alle spalle di tutto rispetto (tra gli altri CRI, Medicus Mundi, un cavalierato nell’ordine Stella della solidarietà italiana), si trova ora al lavoro nella sede padovana dell’ONG, ma è in costante contatto con i team che lavorano in 23 ospedali di otto Paesi africani.

Intervista ad Andrea Atzori, responsabile relazioni internazionali Medici con l'Africa Cuamm - Servizio di Elisa Speronello

Sulla possibile maggiore immunità delle persone di origine africana al contagio da Covid-19 Atzori non ha dubbi: servono maggiori dati e, soprattutto, servono dati che provengono dall’Africa. Sicuramente ci sono molte differenze tra le popolazioni africane e quelle dei paesi occidentali, primo su tutte, e anche più volte citato, è il clima. Poi ci sono differenze demografiche, infatti la popolazione africana è più giovane, quindi dovrebbe essere confrontata con dati analoghi. Infine Atzori ha spiegato che, nonostante l’emergenza sanitaria in Africa sia quasi la normalità e che il sistema sanitario è già forte di alcune scelte fatte durante altre epidemie, rimane comunque legato agli aiuti esterni, come quello fornito proprio da Medici con l’Africa Cuamm, che sta mettendo in sicurezza gli ospedali quando i casi sono ancora pochi. “Questa epidemia ci sta insegnando che,” continua Andrea Atzori, “è l’anello più debole che va difeso per primo”, quindi è necessario fare delle scelte strategiche per mettere in sicurezza gli ospedali africani, fornirli di mezzi per monitorare la situazione, e aiutarli a non collassare. L’Africa quindi, se si sommano le sue peculiarità culturali e sociali, i vari slum urbani delle capitali, con la scarsità di mezzi di cui dispone, rappresenta un potenziale di rischio altissimo.

Intanto John Nkengasong, il direttore di Africa CDC, il centro per il controllo e prevenzione delle malattie, nella conferenza stampa di giovedì 9 aprile 2020 ha dichiarato che l'Africa si è mobilitata molto e sta lavorando attivamente su più campi "per negare a questo nemico malvagio la possibilità di diffondersi". Nelle ultime due settimane, ha dichiarato Nkengasong, "abbiamo fatto qualcosa di notevole: abbiamo aumentato la capacità di diagnosticare il virus da due a 43 stati africani; ora i Paesi che hanno la capacità di fare il test diagnostico sono 48". L'obiettivo è ora quello di estendere le diagnosi a tutti gli ospedali, non solo quelli centrali, in modo da individuare i casi di contagio e isolarli. Il direttore di Africa CDC quindi si è rivolto ai media, chiedendo la massima collaborazione nell'informare correttamente la popolazione delle varie nazioni e di aiutare a diffondere le buone pratiche di contenimento del contagio. L'Africa quindi si sta preparando, sostenuta anche dalle donazioni e dalle organizzazioni non governative, ad affrontare l'evoluzione della pandemia entro il suo territorio. Infatti, nel mese di maggio, secondo Atzori, sarà più chiaro quale strada percorrerà l’epidemia in Africa; fino a quel momento bisogna continuare a lavorare per salvaguardare il continente più povero e debole del pianeta.

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