SOCIETÀ

Coronavirus, la musica tra streaming e solidarietà

Nel mondo che conoscevamo prima dell’arrivo del Covid-19  in questo momento dell’anno i festival musicali in programma tra la tarda primavera e l’estate iniziavano a definire i dettagli delle line up, i club invernali tiravano le somme di una stagione di concerti e cominciavano a pensare a quella successiva e gli appassionati di musica stilavano una lista dei desideri, magari organizzando le vacanze estive proprio sulla base degli eventi a cui tenevano maggiormente.

E invece tra festival rimandati (il Primavera Sound, in Spagna, spostato a fine agosto, il Coachella negli Stati Uniti slittato ad ottobre e il Glastonbury Festival nel Regno Unito riprogrammato per giugno 2021, per citare solo alcuni dei principali appuntamenti internazionali), programmazione live nei club saltata, concerti cancellati, negozi di dischi con le serrande abbassate e mancanza di nuove uscite, l’intera filiera della musica è in forte difficoltà e con essa tutte le professionalità che vi ruotano intorno.

Danni che Assomusica, considerando che a fine maggio saranno in totale 4.200 gli eventi saltati in Italia, ha stimato in oltre 60 milioni di euro per il solo settore dei live e la Fimi, Federazione industria musicale italiana, attraverso il suo amministratore Enzo Mazza, ha descritto un quadro particolarmente negativo per il mercato interno dal momento che “la produzione italiana nel 2019 ha rappresentato l’87% degli album più venduti, una delle percentuali di repertorio nazionale più alte al mondo”.

Eppure in questa fase di grande difficoltà dal mondo della musica sono arrivate proposte innovative e iniziative di solidarietà, sia attraverso grandi show ed eventi - come la serata Musica che unisce che il 31 marzo ha visto alcuni dei più famosi artisti del panorama italiano uniti in una staffetta di raccolta fondi a favore della Protezione Civile - sia grazie al lavoro di realtà legate al mondo indipendente che hanno sin da subito messo a punto nuove modalità di fruizione delle esibizioni con il duplice intento di mantenere vivo il contatto tra gli artisti e gli appassionati di musica e al tempo stesso di contribuire in chiave solidale. 

Abbiamo voluto approfondire alcune delle esperienze che si sono concretizzate grazie alla creatività degli artisti e degli organizzatori, anche per capire se sono nate idee che potranno avere uno sviluppo nella fase successiva all'emergenza. Le testimonianze che vi proponiamo sono quelle di Corrado Nuccini, fondatore dei Giardini di Mirò e direttore artistico del festival Ferrara sotto le stelle, e di Giordano Sangiorgi del Meeting etichette indipendenti, realtà che hanno in comune anche il traguardo di un'esperienza venticinquennale: era il 1996 quando a Ferrara prendeva il via la prima edizione di una rassegna sarebbe poi diventata uno dei festival musicali più apprezzati d'Italia. In quell'estate Piazza Castello ospitò lo storico concerto di Bob Dylan, e da allora il festival ha visto salire sul palco artisti come Patti Smith, David Byrne, Lou Reed, Radiohead, Sonic Youth, Pixies, The National, Sigur Rós, Arcade Fire, oltre a nomi di rilievo della scena rock e cantautorale italiana. Il 1995 è invece l'anno di nascita del Festival delle autoproduzioni che due anni dopo avrebbe assunto il nome di Mei, continuando a esprimere le principali produzioni discografiche indipendenti ed emergenti italiane.

L'intervista a Corrado Nuccini, direttore artistico di Ferrara sotto le stelle. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar

In questa prima fase l'idea di Ferrara sotto le stelle è stata quella di organizzare una rassegna di "vicinanza consentita" che ha preso il nome di Close Up: 65 eventi dal vivo, registrati a casa delle artiste e degli artisti che hanno partecipato, per un totale di 35 ore di musica diffusa attraverso i social network del festival e su Lepida Tv, canale satellitare della Regione Emilia Romagna, con una raccolta fondi a sostegno della Protezione civile regionale. "Innanzitutto - spiega il direttore artistico Corrado Nuccini - vorrei ringraziare tutti gli artisti che hanno partecipato e si sono esibiti dimostrando intelligenza, talento e capacità di dare una risposta a una situazione veramente estrema. Siamo partiti da questo concetto: come gestire un festival in un momento di crisi? La nostra idea è stata quella di esserci. Non dico che sia la soluzione migliore o l’unica da portare avanti, però è stata quella che istintivamente abbiamo voluto percorrere. Abbiamo cercato di inventarci un'idea, guardare in giro le cose che succedevano ed elaborare gli stimoli che avevamo. Quindi abbiamo prodotto dei contenuti online - preferisco questa definizione a quella di concerti in streaming perché ovviamente a noi tutti manca la musica dal vivo e non vogliamo proporre dei surrogati - e abbiamo visto che questo tipo di proposte, soprattutto nel primo momento di questa grande trasformazione della nostra vita, ha creato una sorta di strumento che può veicolare emozioni umane e vicinanza e infatti la rassegna si chiama Close Up. Voglio sottolineare proprio questo concetto di vicinanza, non solo dell’artista con i suoi fans ma di tutto un mondo che include anche professionisti del settore, appassionati, persone che in questo momento non possono nè partecipare nè far parte di eventi e così noi abbiamo provato a creare una sorta di comunità, di comfort zone in cui veicolare contenuti".

La prima parte della rassegna si è conclusa il 2 aprile con una maratona di dirette streaming e contenuti in prima visione e gli organizzatori stanno ragionando su quale evoluzione far prendere al progetto. "A differenza dei festival - prosegue Corrado Nuccini - che hanno una progettazione di anno in anno e sono quindi molto proiettati sul futuro, questa rassegna è focalizzata sull’oggi ed è la grande trasformazione di ogni tipo di attività in questa fase di emergenza e di crisi. Non esiste un concetto di progettazione a lungo termine perché il lungo termine ancora è ignoto. Adesso che la prima fase di Close Up è terminata per il futuro non immaginiamo una presenza così costante perché abbiamo pensato che questo momento, dopo la necessità di ritrovarsi e sentirci in qualche modo più vicini, la quotidianità si sta incrociando con l’eccezionalità dell’evento e quindi stiamo anche ragionando sul proporre contenuti che non siano esclusivamente di intrattenimento o comunque di condivisione di emozioni e di umanità, ma sia qualcosa che inizi a proiettarsi in una quotidianità. Di sicuro proveremo a fare dei contenuti più approfonditi, con un maggiore senso di narrazione anche perché poi nella quotidianità tornano le regole normali e si ricomincia a essere competitor di tanti altri media, come le radio che già fanno questo genere di cose. Noi cercheremo di avere una nostra identità e di realizzare contenuti più particolari. Inoltre stiamo pensando di attivare dei percorsi di formazione a distanza, coinvolgendo le persone e i collaboratori che hanno lavorato a Ferrara in questi anni, per fare una sorta di percorso di otto-dieci lezioni insieme a promoter dello spettacolo, profili specializzati nel settore della produzione e della comunicazione per puntare sulla formazione per figure professionali che poi possono tornare utili magari anche per noi o comunque per migliorare il sistema musicale quando potrà ripartire. Secondo me chi fa un lavoro creativo deve avere il coraggio di cambiare e trasformare, deve essere uno dei primi a farlo, senza la paura del giudizio altrui perché sarà sempre diviso. Noi abbiamo voluto provarci e abbiamo unito anche il messaggio che è giusto fare solidarietà in questo momento, non solo tra di noi ma anche per la Protezione civile e quindi per chi è in prima linea nell’emergenza sanitaria. Quindi posso dire che questa prima fase di Close Up per noi è stata molto costruttiva.

In questo periodo di emergenza sanitaria sono molte anche le iniziative del Mei, storica realtà del mondo indipendente che ha da poco raggiunto i 25 anni di attività: live in streaming, videoclip girati in casa, corsi di formazione per musicisti e cantanti, presentazioni a distanza di libri dedicati alla musica. Ne abbiamo parlato con il fondatore, Giordano Sangiorgi, con cui abbiamo anche affrontato il tema del futuro del settore.

L'intervista completa a Giordano Sangiorgi del Meeting etichette indipendenti. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar

"Diciamo che superato lo shock iniziale - spiega Giordano Sangiorgi - quando a ognuno di noi sono stati cancellati i lavori almeno fino a giugno-luglio, cosa che ovviamente ha colpito tutto l’ambito musicale e quindi ha portato a dover elaborare una modalità per mantenere alto il livello di attenzione verso il settore augurandosi che possa tornare ad essere come prima, quello che è immediatamente venuto in mente a chi lavora ogni giorno per innovare la musica italiana e portare linfa fresca alla canzone popolare contemporanea è stato proprio ideare un modo nuovo, molto spontaneo, di ritrovarsi intorno alla musica. Per cui sono nati diversi network, noi abbiamo partecipato ad almeno cinque di questi insieme ad altre realtà, che hanno proposto delle dirette di live in streaming spesso, con la solita generosità che hanno i musicisti e gli operatori di questa filiera, con degli sfondi benefici e anche con la finalità di sentirci vicini, sebbene purtroppo distanti. Quello che mi ha colpito è stata proprio la spontaneità di un’adesione fortissima. Noi abbiamo elaborato poi un qualcosa in più per le tante persone sono in casa e ci è sembrata l’occasione giusta anche per organizzare, sempre online, una sorta di scuola di formazione in ambito musicale e fare in modo che ogni giorno ci fosse almeno un incontro che permettesse al pubblico di approfondire delle tematiche legate alla cultura musicale. Ne è nato uno spazio che abbiamo chiamato, anche un po’ per ridere, “School of rock” e abbiamo già realizzato un corso per cantautori realizzato da De Angelis, con migliaia di visualizzazioni e con delle classi di oltre cento persone nello stesso momento. In più abbiamo fatto tante altre attività come presentazioni di libri sul tema musicale, corsi di chitarra rock, adesso avvieremo un approccio al canto per dare maggiore sicurezza a chi canta, video clip girati in casa a cui abbiamo dedicato un contest specifico. Insomma molte iniziative che hanno avuto un engagement notevolissimo e questo si lega anche all’esperienza, secondo me particolarmente interessante, che c’è stata all’inizio dell’emergenza con il fenomeno della musica dai balconi, quando si è visto come la musica sia proprio un elemento spontaneo che tende ad unire le persone nei momenti di difficoltà. Questo effetto benefico della musica è un elemento che non deve essere sottovalutato e lo si è ritrovato anche nei momenti più drammatici della storia, penso ad esempio alla lotta di liberazione quando, pur in un contesto così tragico, le persone dedicavano momenti alla musica per sentirsi meglio e alleviare la sofferenza. Detto questo, io credo che in questo momento nelle piattaforme streaming ci sia un’offerta talmente varia e interessante che andrebbe considerata sotto due aspetti: da un lato la grande ricchiezza della proposta musicale soprattutto da parte dei giovani artisti, io ne ho ascoltati tantissimi in questo mese e mezzo, forse quelli che avrei ascoltato in un anno, e questo mi ha permesso di apprezzare un panorama molto interessante, dall’altro lato credo che questa possa essere una forma futura di diffusione della musica, come accaduto con la scomparsa del supporto fisico. Chiaramente bisogna fare in modo che questi strumenti restino nelle mani di chi li produce e non vadano alle piattaforme multinazionali, altrimenti viene a mancare la monetizzazione che invece gli artisti meriterebbero. Aggiungo anche il fatto che alcuni enti si sono mossi verso questa direzione e mi sembra un aspetto molto positivo: ad esempio la Regione Emilia Romagna con Lepida Tv, canale su cui abbiamo già fatto una trentina di live in streaming con artisti giovani emiliano romagnoli e video clip, ma anche il comune di Napoli e quello di Firenze. Credo che siano festival, eventi e iniziative che dovrebbero essere visti in un’ottica di futuro sostegno: magari un’ipotesi può essere quella di creare una grande piattaforma nazionale che permetta di veicolare tutte queste attività".

Secondo un'indagine del 2018, sottolinea il fondatore del Mei, il settore musicale italiano è composto da 10 mila imprese con circa 50 mila lavoratori diretti, di questi la grande maggioranza sono micro e piccole imprese, cooperative, partite iva singole, freelance, lavoratori precari. E l'emergenza sanitaria che stiamo vivendo ha ricadute economiche molto pesanti su queste categorie professionali. "E' un mondo fatto da soggetti che già a monte hanno una scarsissima tutela - prosegue Giordano Sangiorgi - quell’ambito costituito anche dai lavori intermittenti che faticano a trovare una rappresentanza. All’interno del settore musicale la maggioranza dei profili che vi lavorano non sono ancora compresi nei decreti del governo che sono usciti fino ad ora. Il decreto Cura Italia, negli articoli tra l’88 e il 90, si occupa dell’ambito dello spettacolo e lì c’è una giustamente una tutela per gli autori, gli artisti in termini di esecutori, c’è una copertura per i consumatori che hanno comprato i biglietti di eventi che sono stati poi cancellati e questo è un ottimo intervento, ma non c’è una misura sui profili professionali di chi mette in moto la musica: da un lato i prodottori e dall’altro lato gli organizzatori di festival, contest ed eventi nei diversi spazi, imprese che mettono quindi il denaro per far viaggiare queste forme di arte. In questo modo è chiaro che è a rischio tutta la filiera perché se salvaguardi i creatori devi anche salvaguardare coloro che mettono in moto il meccanismo economico per far viaggiare il settore e per il momento non ci sono stati interventi da questo punto di vista. Successivamente c’è stato un secondo decreto, quello che ha stanziato i 400 miliardi complessivi, ma anche qui non c’è un vero sostegno: si tratta di prestiti infruttiferi e quindi soldi da restituire. L’esempio che noi prendiamo come modello e a cui facciamo riferimento è invece quello americano che ha dato immediatamente un sostegno alle atichette indipendenti ampliando il sostegno legato al welfare e dando 1200 dollari a tutti coloro che operano nella filiera della musica indipendente, qualunque sia il loro ruolo professionale".

Intanto gli operatori del settore musicale stanno cominciando anche a riflettere sulle progettualità da sviluppare quando arriverà il momento della ripartenza. "In questi giorni - conclude Giordano Sangiorgi - ci siamo confrontati con altri colleghi per ragionare insieme sugli scenari futuri dal punto di vista degli eventi musicali, siano essi concerti, dj set, discoteche, attività nei club, insomma quegli eventi che aggregano i giovani attraverso la musica e non solo i giovani. Devo dire che tra i colleghi c’è un po’ di scetticismo sulla possibilità di impostare una ripartenza, nel senso che non sapendo bene quali saranno le modalità che verranno indicate e quali saranno i tempi diventa davvero difficile sviluppare progettualità. Però un tema sul quale io mi sentirei di scommettere, anche se temo che nel nostro Paese non si farà, è che questa situazione ci ha dato la misura del fatto che servono interventi urgenti di sostegno alle piccole e imprese di questo settore altrimenti chiudono: chi ha perso il fatturato da febbraio ad agosto, perché per chi organizza gli eventi live sarà così, se non ha dei sostegni concreti chiude. E il rischio non riguarda solo di centri di aggregazione e di ritrovo ma anche piccole realtà che sono fragilissime economicamente ma ad alto tasso innovativo: Diodato che vince Sanremo viene da questo percorso, da queste piccole realtà che lavorano ogni giorno per scoprire artisti come lui. Il secondo aspetto è che auspico per il futuro è chiedere al ministero per i Beni e le attività culturali di fare un grande investimento su una piattaforma di streaming musicale italiano: cominciamo a tutelare, a diffondere, vendere e distribuire la musica in streaming e quella live, monetizzandola noi e senza più i passaggi nelle piattaforme internazionali monopoliste. Questo sarebbe un grande investimento culturale, tecnologico e digitale che ci metterebbe al passo e che sarebbe assolutamente da fare.

 

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012