SOCIETÀ

Un crisi alimentare globale alle porte

Rugby, nel North Dakota, è una cittadina del profondo Midwest degli Stati Uniti ed è famosa per essere il centro geografico del continente. Fondata nel 1886 dai coloni che dall’est cercavano terre da coltivare, Rugby, come tutto lo Stato, è ancora oggi uno dei centri di produzione cerealicola statunitense. Secondo quanto riportato dall’Economist, da quando è iniziata la guerra in Ucraina c’è stata un’intensa attività attorno alla distribuzione del grano. Un dipendente di uno dei centri di stoccaggio riferisce che c’è un’incessante ricorso alle riserve nei silos e nonostante ciò il prezzo non è calato.

Lo attestano anche le informazioni che provengono dalla FAO, l’istituto delle Nazioni Unite che si occupa di agricoltura e cibo. Secondo i dati del loro indice dei prezzi del cibo, aprile ha visto un leggerissimo calo dopo i record di marzo. Una situazione che fa dire allo stesso dipendente del centro di stoccaggio di Rugby che “quello che rimane nei magazzini probabilmente lo tratterranno, giusto per vedere che cosa succede”. Cioè, se i prezzi saliranno di nuovo, portando a guadagni ancora maggiori. Dopo la guerra e gli effetti delle sanzioni sull’approvvigionamento di cereali - senza mai dimenticare i problemi legati alla siccità di cui abbiamo scritto qualche tempo fa - ora sembra arrivato il momento della discesa in campo della speculazione.

I profitti della fame

All’inizio di maggio 2022, Lighthouse Reports, un collettivo specializzato in inchieste giornalistiche internazionali, ha pubblicato il risultato di una loro indagine sugli effetti della finanziarizzazione del settore agricolo. Come ha sottolineato per Italia e Europa ISMEA, l’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare che monitora questo settore per conto del Ministero per le Politiche Agricole e Forestali italiano, i prezzi dei cereali stavano già salendo prima dello scoppio del conflitto in Ucraina. I giornalisti di Lighthouse Report scrivono che “l’aumento dei prezzi dei generi alimentari sta già avendo un impatto negativo in tutto il mondo, in particolare nei paesi dipendenti dalle importazioni. La Banca Mondiale ha stimato che per ogni aumento di un punto percentuale dei prezzi alimentari, 10 milioni di persone sono gettate nella povertà estrema”.

Per capire quali sono i paesi più a rischio, basta tornare all’approfondimento dell’Economist. Sono una cinquantina i paesi del mondo che dipendono dalle esportazioni di Russia e Ucraina per più del 30% delle loro importazioni di grano. Ce ne sono quattro, Egitto, Turchia, Bangladesh e Iran, che importano più del 60% del proprio fabbisogno dai due paesi in guerra. In questi casi, gli effetti delle sanzioni potrebbero essere letali. Secondo quanto riporta l’Economist, infatti, le sanzioni colpiscono direttamente o indirettamente circa il 15% delle calorie in commercio a livello mondiale.

 

In questa situazione, mostra l’inchiesta di Lighthouse Report, l’aumento dei prezzi esacerbato dalla crisi militare e politica è stato alimentato in precedenza da una forte attività di lobbying da parte di investitori finanziari che avevano interesse a limitare la regolamentazione dei prezzi del cibo. Ci sarebbe un precedente, quello della crisi dei prezzi del biennio 2007-2008, ma attorno a esso non c’è consenso accademico sul contributo della speculazione finanziaria. Ma i ricercatori dell’Università di Bonn, in Germania, hanno raccontato a Lighthouse Report che “non possiamo escludere il rischio che un'eccessiva speculazione contribuisca già alla volatilità dei prezzi alimentari e ad amplificati picchi”.

 

I rischi attuali

La via rimane però stretta, per tutti i motivi elencati qui sopra, a cui vanno aggiunti altri due elementi. Il primo, che coinvolge direttamente l’Ucraina, riguarda il prossimo raccolto. Con i campi minati o comunque non sicuri, con gli uomini al fronte, secondo quanto riportato da una indagine del Ministero dell’Agricoltura di Kyiv, tra il 30 il 50% dei campi di grano non saranno seminati durante questa stagione. Un diminuzione di potenziale raccolto a cui si aggiunge la preoccupazione per il meteo: un’eccessiva siccità o qualche altro fattore potrebbe infatti ridurre anche la produzione laddove si riuscirà a seminare.

Un secondo fattore, questa volta conseguenza dell’aumento dei prezzi, è la scelta da parte degli agricoltori di che cosa seminare o piantare nei propri campi. Per esempio, ci raccontava un agronomo del nordest italiano, che l’aumento dei prezzi dei semi di girasole dovuti alle mancate esportazioni dell’Ucraina (primo produttore in questo settore a livello mondiale) sta inducendo molti agricoltori a scegliere il girasole al posto dei cereali. Altro caso simile è riportato dal Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti: con i prezzi della soia in salita, molti imprenditori agricoli statunitensi stanno pensando di passare dal mais alla soia. Ciò implica la possibilità che i prezzi di frumento e mais crescano ulteriormente, alimentando ancora una volta l’interesse per la speculazione sui prezzi da parte degli investitori finanziari.

Continuare a fare affidamento su una manciata di prodotti alimentari e pochi paesi per l'approvvigionamento alimentare globale, combinato con la finanza di stampo predatorio che scommette sul cibo, è una ricetta per il disastro Olivier De Schutter, co-presidente di IPES

E gli effetti locali, in termini di produzione alimentare, non esistono praticamente più. Come scrive l’Economist, oggi produrre cibo significa necessariamente stare in un mercato globale e interconnesso. Quello che succede a Rugby, North Dakota, può avere effetti in Italia o in Indonesia, e viceversa. La situazione si è fatta ancora più complicata con l’aumento dell’interesse da parte del mondo finanziario, giustificata sul piano dei profitti dai prezzi record degli ultimi anni. Sembra che all’orizzonte si stia formando una tempesta perfetta. Questo è il riferimento che ha scelto IPES-Food, un gruppo internazionale di esperti sui sistemi alimentari sostenibili, per l’ultimo report: Another perfect storm?

Nel rapporto gli analisti di IPES puntano il dito contro la mancanza di una regolamentazione internazionale e di una strategia a medio e lungo termine che possa limitare questo tipo di crisi. Olivier De Schutter, co-presidente di IPES, scrive: “Una nuova generazione sta ancora una volta affrontando una crescente insicurezza alimentare e sembra che non abbiamo imparato la lezione dall'ultima crisi dei prezzi dei prodotti alimentari. Continuare a fare affidamento su una manciata di prodotti alimentari e pochi paesi per l'approvvigionamento alimentare globale, combinato con la finanza di stampo predatorio che scommette sul cibo, è una ricetta per il disastro”.

 

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