The Quantum Effect: arte e fisica quantistica allo specchio

Jacqui Davies “Time Forks Perpetually Towards Innumerable Futures. In One Of Them I Am Your Enemy” (2025, fotogramma dal film, courtesy SMAC)
Entrare nella Sala 0 significa ritrovare la propria immagine riflessa dagli specchi che coprono quasi completamente le superfici. Possiamo così vedere un infinito numero di noi ripetersi in immaginari corridoi che, nell’opera dell’artista Isa Genzken, alludono alle illimitate possibili prospettive sul mondo: siamo una sola persona con tanti altri noi che esistono e contemporaneamente non esistono. Si apre così The Quantum Effect, l’ultima mostra ospitata nelle sale di SMAC (San Marco Art Centre), il nuovo spazio espositivo che occupa una porzione delle Procuratie Vecchie affacciato sull’unica piazza di Venezia.
Alla presentazione della mostra, che rimarrà aperta fino al 23 novembre, Daniel Birnbaum, uno dei due curatori, ha raccontato del timore che lo ha preso quando la dirigenza di SMAC lo ha avvicinato per chiedergli di organizzare un’esibizione che raccontasse la fisica quantistica, nata circa un secolo fa da un manipolo di scienziati geniali che hanno modificato profondamente la nostra comprensione di ciò che ci circonda. “Ho pensato che fosse un progetto impossibile”, ha raccontato. E non tanto perché la nuova fisica non abbia avuto impatti nel mondo artistico - tutt’altro -, ma sembrava un compito che andava al di là delle sue capacità di curatore museale e artistico. Però alla collega Jacqui Davies, co-curatrice di The Quantum Effect, è subito venuta in mente Alice nel Paese delle Meraviglie, anche lei, come noi nella Sala 0 della mostra, sorpresa e affascinata dall’effetto a catena provocato dagli specchi. E in qualche modo i due hanno trovato una strada.
Non una, ma infinite mostre
L’impianto concettuale alla base della mostra è l’incertezza della conoscenza del mondo naturale che la fisica quantistica ha introdotto nella nostra cultura. Il percorso espositivo, infatti, non è lineare, ma dalla Sala 0 si dipartono due possibili percorsi. A destra troviamo otto sale che raccontano con opere che provengono da ambiti artistici molto diversi, l’idea dell’effetto quantistico che Birnbaum e Davies hanno voluto mettere in scena. Ma a sinistra troviamo altrettante sale che, secondo l’intenzione della curatela, “mostrano le stesse cose delle altre otto, ma non esattamente”.

I curatori accanto a una delle opere di Tomás Saraceno esposte (Foto Enrico Fiorese, courtesy SMAC))
Un primo riferimento, quasi ovvio, è l’esperimento del gatto di Schrodinger: finché è dentro alla scatola assieme al veleno è sia vivo, sia morto; ma nel momento in cui la apriamo, il gatto assume uno solo dei due stati possibili. La scelta di andare verso destra o sinistra, a partire dall’inizio della mostra, comporta quindi l’impossibilità di fruire di una parte delle opere senza portare con noi il ricordo, e quindi un condizionamento, di quanto già visto o meno nell’altra ala.
Ma tutto il percorso è disseminato di confronti diretti tra l’atto artistico e uno o più concetti della fisica quantistica. Per esempio, l’artista Sturtevant, diventata nota nel mondo dell’arte per la sua riproposizione e reinterpretazione di opere di Marcel Duchamp e Joseph Beuys, rilegge Nudo che scende le scale di Duchamp sovrapponendo intenzionalmente movimenti e azioni che avvengono in tempi diversi e che invece nell’opera appaiono simultaneamente. Ma non finisce qui, perché nella sala è collocata una videocamera che manda in tempo reale le immagini in un’altra sala, nell’ala opposta, della mostra. È l’opera di Faustine Quantum Studio che si intitola “The Pauli effect, superposition”: dentro vi troviamo una versione doppia del Nudo che scende le scale di Sturtenvart, ma che è contemporaneamente anche una reinterpretazione dell’originale duchampiano, e che nell’interpretazione qui proposta si moltiplica praticamente all’infinito. Quanti Nudo esistono contemporaneamente?
Aprire la mente con domande
Ma non si deve pensare che il percorso proposto sia una elucubrazione mentale astratta, che giochi solamente con il fascino di concetti complessi che possono declinarsi in effetti percettivi singolari. Grande spazio, infatti, è dedicato anche all’approfondimento dei fenomeni fisici che hanno segnato la storia della fisica quantistica. Per esempio, proprio Jacqui Davies ha reinterpretato la biforcazione temporale, la base del multiverso di fantascientifica memoria, in un breve film intitolato, significativamente, time forks perpetually towards innumerable futures, in one of them i am your enemy (‘il tempo si biforca perpetuamente verso innumerevoli futuri, in uno di essi io sono il tuo nemico’).

Daniel Birnbaum e Jacqui Davies davanti a Sturtevant “Duchamp descendant l'escalier” (Foto: Enrico Fiorese, courtesy SMAC)
Spazio, quindi, anche per i qubit, i “bit quantistici” alla base dei computer quantistici, in cui gli stati possibili non sono solo 0 e 1, ma tutti quelli - infiniti - compresi tra l’uno e l’altro. Oppure alle conseguenze della conoscenza così profonda del comportamento dei nuclei atomici: le bombe nucleari. O ancora, ai grandi interrogativi scaturiti dalla rivoluzione quantistica, come la materia oscura e l’energia oscura, che ancora oggi sono terre da esplorare per la scienza. Nel pieno rispetto della vocazione di SMAC, The Quantum Effect è un percorso sensoriale e intellettuale che si pone volontariamente a cavaliere tra arte e scienza mostrando nettamente come la divisione tra le branche della cultura sia artificiosa.