CULTURA

A Venezia la forza poetica dei giovani sudanesi

Alla fine cosa resta? Quali pensieri ci attraversano al termine della proiezione, quando si riaccendono le luci in sala? Di fronte agli esiti della storia, raccontata nel documentario di Hind Meddeb, prevale lo sconforto o resiste una luce? Istintivamente, spettatori inermi di una repressione di cui non conosciamo davvero le dolorose conseguenze, proviamo soprattutto una rabbia profonda, che sembra cancellare ogni altra emozione. La verità è che non possiamo ignorare quel che abbiamo visto nei complessivi 76 minuti di racconto: la poesia, i canti, il desiderio di rinascita e libertà, l’esplosione di vita dei giovani attivisti sudanesi ci sono rimasti incollati addosso.

“When I met you, I too began to dream with you”, spiega la stessa regista-voce narrante all’inizio del viaggio riferendosi agli incontri che generano sogni condivisi. Le riprese iniziano nella primavera 2019: dopo la caduta del regime di Omar al-Bashir, in Sudan si insedia una giunta militare. Hind Meddeb filma il sit-in dei giovani attivisti sudanesi davanti al quartier generale dell’esercito, a Khartum, cinquantasette giorni di protesta pacifica, per la democrazia. È ancora lì, il 3 giugno 2019, quando i militari reprimono duramente le proteste uccidendo centinaia di manifestanti, nell’ultima notte di Ramadan, e continua a seguirli negli anni successivi quando, nonostante tutto e per lungo tempo, quei giovani continuano a credere e lottare per un futuro diverso. Con le ultime mosse del consiglio militare di transizione la situazione crolla e spazza via ogni speranza di cambiamento: il potere prevaricatore e la violenza divorano tutto annientando i sogni di democrazia e costringendo infine molti giovani a scegliere la strada dell'esilio.

Quando uccidono uno di noi è come se uccidessero tutti i giovani

Presentato ora, in occasione della 81esima Mostra internazionale del cinema di Venezia, come evento speciale delle Giornate degli autori, Soudan, Souviens-Toi (Sudan, remember us) è un'opera lucida e, al tempo stesso, intensamente poetica, che permette di entrare nel presente del Sudan esplorando ogni angolo, dal più luminoso al più oscuro, seguendo la narrazione attenta dei fatti ma con la giusta dose di partecipazione. Così, nelle storie dei singoli ritroviamo la Storia recente di un Paese troppo spesso dimenticato. Da questo punto di vista, da sempre, la Mostra si rivela uno strumento prezioso: da un lato megafono per chi ha urgenza di dire e sceglie il linguaggio del cinema per farlo, dall’altro imperdibile occasione di conoscenza per chi assiste. A ribadirlo sono gli stessi protagonisti: attraverso azioni poetiche corali e cartelli artigianali esibiti nel corso delle proteste, sottolineano la necessità di uscire dai confini del Sudan per comunicare con il resto del mondo.

Non hanno sentito la folla ruggire?

Il coro di voci contro le forze dell’oppressione, il desiderio di libertà, le manifestazioni pacifiche attraversate da poesie e canti, la speranza nei volti dei ventenni Shajane, Maha, Muzamil e Khattab, politicamente attivi e con spiccate sensibilità artistiche: il loro messaggio arriva dritto al cuore tenendoci al sicuro, permettendoci di osservare la realtà da un punto di vista privilegiato, senza rischiare nulla. Noi restiamo seduti in sala, neanche lontanamente sfiorati dal pericolo, dalle violenze, dalla paura: ci viene chiesto "solo" di prestare attenzione, conoscere, parlarne ora o ancora, ricordare quei ragazzi, quelle ragazze e i tanti bambini di strada che li hanno accompagnati dando vita a un canto collettivo per la democrazia, una rivoluzione giovane e femminista, guidata da donne coraggiose e consapevoli.

“In Sudan, le persone recitano poesie alla stessa frequenza del respiro. Per loro è uno strumento di resistenza che vien fuori dalle conversazioni, dalle manifestazioni, dalle scritte sui muri”, ha spiegato Meddeb, cresciuta tra la Francia, il Marocco e la Tunisia che, con il suo lavoro, sceglie di osservare le forme di resistenza all’ordine precostituito dando voce a chi si ribella. “Man mano che procedevo nella mia ricerca, ho percepito i contorni di una nuova era che definirei ‘post-islamista’ [...] La nuova generazione si batte per la libertà di coscienza, come descritto in questa famosa poesia: Ci uccidono in nome della religione. Ma l’Islam dice: insorgete contro i tiranni! Una pallottola non uccide. Il silenzio sì. Il Sudan si trova all’incrocio di mondi che ho frequentato fin dall’infanzia. I miei genitori hanno lasciato il Nord Africa negli anni Settanta alla ricerca della libertà in Europa. […] Questo film racconta il tentativo impossibile di cambiare. Di fronte a un esercito potente come può un movimento pacifico far sentire la propria voce?”.

Citizens’ government? Yes, yes, yes. Military government? No, No, No. I won’t go home, I want my rights! Let’s build a citizens’ government. Justice for students killed by the old regime. Freedom, peace, dignity! (dai canti dei giovani sudanesi)

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