CULTURA

Dante700. Beatrice o “la donna-miracolo” e l'universo femminile dalla Vita Nuova alla Commedia

Le figure femminili all'interno dell'opera di Dante sono tantissime e molto diverse tra loro, e la loro presenza è spesso legata al tema dell'amore. Parlando di donne, infatti, Dante coglie spesso l'occasione di raccontare quel sentimento platonico, puro, allegorico, carnale, infedele o peccaminoso che è l'amore, e che assume tantissime forme ed espressioni diverse all'interno della sua opera.

Il primo nome che salta alla mente pensando a Dante, alle donne e all'amore, è sicuramente quello di Beatrice, un personaggio che compare fin dalla Vita Nova, e che è oggetto di un sentimento che muta progressivamente nel corso della produzione poetica di Dante. Se inizialmente assume infatti le caratteristiche tipiche dell'amor cortese, a un certo punto si trasforma in un amore gratuito e disinteressato, capace persino di continuare dopo la morte.

In questa tappa del nostro viaggio alla scoperta di Dante, in occasione del settecentesimo anniversario dalla sua scomparsa, parliamo di Beatrice e delle altre figure femminili presenti nella sua opera insieme al professor Giuseppe Ledda, del Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica dell'università di Bologna.

L'intervista completa al professor Giuseppe Ledda. Montaggio di Barbara Paknazar

La rappresentazione per eccellenza della presenza femminile nella poesia stilnovista era quella della donna-angelo, alla quale il poeta dedicava le sue lodi. Chi era allora questa donna angelo e in che modo la ritroviamo anche in Dante, nel personaggio di Beatrice?

“Nella poesia stilnovista, oltre che in quella trobadorica e siciliana, troviamo spesso l'immagine della donna paragonata a un angelo, ma si tratta di un paragone iperbolico”, chiarisce il professor Ledda. “Si tratta di un modo per dire che la sua bellezza è talmente straordinaria da essere paragonata a quella di un angelo. Poi ci sono poesie che mirano a lodare una donna per ottenerne in cambio i favori sessuali, anche se questo ricambio è presentato in una forma più eterea, come il sorriso o il saluto.

La poesia di Guido Guinizzelli Al cor gentil rempaira sempre amore viene spesso indicata come un momento di svolta in cui si passa dall'immagine retorica della donna angelo a una “metafisica”. Ma in quella canzone ci sono lodi iperboliche che paragonano la donna non a un angelo, ma a Dio, il quale alla fine accusa il poeta di essere stato blasfemo per aver paragonato la sua donna a lui, rivolgendole delle lodi che spettano soltanto alla divinità. E il poeta si scusa affermando che ella era talmente bella che sembrava un angelo. Tenne d'angel sembianza che fosse del Tuo regno.

In Dante, la donna non è mai paragonata esplicitamente a un angelo. Piuttosto, egli usa per Beatrice un altro termine: miracolo.

Quali sono allora la funzione narrativa e le caratteristiche principali del personaggio di Beatrice?

“È nella Vita Nova che avviene appunto la scoperta del miracolo”. Spiega il professor Ledda. “Nel sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare, Dante dice che Beatrice par che sia una cosa venuta / da cielo in terra a miracol mostrare.
Il miracolo è qualcosa realizzato dalla Divinità che va al di là delle leggi di natura. È un segno della potenza celeste che stimola alla fede e promuove le conversioni. Si tratta di un segno della grandezza di Dio che induce ad amare non la creatura, ma il creatore.
Quando Beatrice nega a Dante ciò che lui chiedeva in cambio della sua poesia, ovvero il saluto, che rappresentava per lui la salvezza, la salute e la gioia, il poeta inizia a scrivere di un amore gratuito, in cui non viene chiesto qualcosa in cambio, sia pure il saluto, ma si ama e basta.

Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia, quand'ella altrui saluta,
ch'ogne lingua devèn, tremando, muta,
e li occhi no l'ardiscon di guardare.

ella si va, sentendosi laudare,
benignamente e d'umiltà vestuta,
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.

[…]

Tanto gentile e tanto onesta pare. Dante Alighieri. Vita Nova, XXVI capitolo

La Vita Nova è un'opera di una ricchezza e di una complessità incredibile, e ci sono già le basi di ciò che diventerà la Commedia. È qui che avviene la morte di Beatrice e poi l'arrivo della donna pietosa e gentile che consola Dante. Ella diventa un amore sostitutivo di Beatrice, la quale in seguito torna in sogno al poeta, che affronta così il tema dell'amore oltre la morte. Beatrice promuove così il percorso di nobilitazione spirituale di Dante e il re-indirizzamento del suo amore da lei al creatore.
La Vita Nova si conclude con l'impossibilità di rappresentare questa mirabile visione di Beatrice, beata del paradiso, e con la promessa però di scrivere in futuro un libro in cui raccontare di Beatrice quello che non fu mai detto da nessun altro. Questa promessa però non la realizza. Per molti anni scrive poesie su altre donne, come le Rime petrose, dedicate a Madonna Petra.

Ma l'episodio più deviante rispetto al progetto della Vita Nova è quello del Convivio, in cui troviamo alcune canzoni scritte per quella stessa donna pietosa e gentile della Vita Nova. Ma a questo episodio, stavolta, non segue il ritorno di Beatrice, anzi. Dante racconta la stessa storia dal punto di vista opposto: il ritorno della donna gentile e l'abbandono di Beatrice.

È bene specificare che la donna gentile viene interpretata in realtà come l'allegoria della filosofia. Tuttavia, per quanto questa lettura allegorica smorzi un po' la sua funzione anti-Beatrice, ella è sicuramente un'altra persona, un altro amore, un altro percorso ideologico: si sceglie la filosofia al posto di quell'amore che conduce verso il creatore, rappresentato da Beatrice nella Vita Nova.

Già prima della Commedia, quindi, il rapporto di Dante con Beatrice è molto complicato, e lo smarrimento nella selva rappresenta proprio l'allontanamento del poeta dalla donna e dal percorso che lei indicava.
Nella Commedia viene recuperata la promessa di scrivere un poema paradisiaco per Beatrice. Nei primi due canti dell'opera, infatti, sono molte le tracce che permettono di ricollegarsi alla Vita Nova, tant'è vero che viene raccontato l'arrivo di Beatrice dal paradiso al limbo per soccorrere Dante che si era smarrito. Beatrice compie questa discesa dopo aver ottenuto il consenso da Dio ed essere stata spinta da Santa Lucia, che le ha detto: ché non soccorri quei che t'amo tanto […] ?

Dante viene soccorso perché è stato capace di quell'amore gratuito che non chiedeva niente in cambio. Per questo, pur essendosi allontanato da Beatrice, merita la possibilità di trovare soccorso e una via di salvezza. È qui che si realizza in pieno la funzione salvifica di Beatrice, ed è qui che il poeta compie in parte ciò che aveva promesso nella Vita Nova.
L'ascesa in paradiso avviene attraverso la luce del sole che Dante non osserva direttamente, bensì attraverso gli occhi della donna. Qui si realizza quella funzione di mediazione, di collegamento, tra la divinità e l'amante, proprio perché Beatrice non viene amata come un punto di amore definitivo e terminale, ma come la creatura in cui si riflette la bellezza del creatore e che è capace di guidare alla fonte della sua bellezza. Grazie alla bellezza divina riflessa in lei, si avvia l'ascesa paradisiaca di Dante”.

Beatrice naturalmente non è l'unica donna che ritroviamo nei versi di Dante. Quali altri personaggi femminili incontriamo nelle sue opere che sono significativi e che possono eventualmente presentare delle somiglianze e differenze con Beatrice?

“Nell'opera di Dante ritroviamo una grande varietà di donne. Non ci sono stereotipi, né generalizzazioni banalizzanti”, specifica il professor Ledda. “Il Purgatorio, ad esempio, è ricchissimo di figure femminili esemplari sia nel vizio che nella virtù. È lì che ritroviamo il tema straordinario delle preghiere di suffragio.

Ci sono poi personaggi femminili solidali all'idea di amore rappresentata da Beatrice, ma soprattutto figure che rappresentano invece un tipo di amore diverso. Giganteggia il personaggio di Francesca come esemplare di quel sentimento folle, peccaminoso e sensuale, che porta al peccato e poi alla morte e alla dannazione. È un personaggio che ha una grande complessità e Dante ne segnala tutti i limiti dal punto di vista morale.

Ma forse, ancora più interessante del personaggio di Francesca, è quello di Didone, che Dante recupera da Virgilio e che già nelle Rime petrose, nella poesia Così nel mio parlar voglio esser aspro, viene evocato come archetipo dell'amore folle, sensuale e irresistibile che porta alla tragedia e poi alla morte. Ogni volta che Dante parla d'amore, parla di Didone. Infatti la ritroviamo nel canto V dell'inferno, nel XXX del purgatorio, e nei canti VIII e IX del paradiso.

Persino il tema dell'amore per Beatrice ottiene il sigillo dal rovesciamento dell'archetipo negativo di Didone, perché nel momento in cui Dante arriva nel paradiso terrestre, percepisce la presenza di Beatrice e dice a Virgilio: Conosco i segni de l'antica fiamma (Purgatorio, XXX, 46-48). Sono le stesse parole (Agnosco veteris vestigia flammae) che Didone pronuncia nell'Eneide quando sente nascere l'innamoramento per Enea. Ma quello che per Didone è un amore sbagliato, perché tradiva la memoria del marito Sicheo e ostacolava Enea nel compimento della sua missione di fondare Roma, in Dante questo stesso verso virgiliano viene rovesciato per rappresentare il ritorno dell'autentico amore, da cui il poeta si era colpevolmente allontanato. Didone diventa quindi uno dei modelli su cui Dante costruisce, anche se per opposizione, l'immagine dell'amore salvifico per Beatrice”.

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