La cappella degli Scrovegni, il capolavoro di Giotto a Padova
Quali opere hanno nutrito l'immaginario di Dante Alighieri contribuendo alla creazione della (Divina) Commedia? Quali mosaici, affreschi, sculture? Dell'arte, vista e contemplata, Dante non parla direttamente, ma possiamo provare a formulare delle ipotesi sui suoi viaggi, sui soggiorni in città d'arte come Firenze, Roma, Treviso e probabilmente Padova e Venezia.
Nel Medioevo esisteva un fortissimo legame tra testo e figura, questo per consentire una profonda riflessione sui dogmi: la componente figurativa della poesia dantesca "è totalmente immersa nel fervido e vivace universo di figure e simboli che fu alla base di ogni manifestazione artistica medievale". Esplorando territori reali e immaginari, Laura Pasquini, storica dell'arte, docente all'Università di Bologna e autrice del libro "Pigliare occhi, per aver la mente", Dante, la Commedia e le arti figurative recentemente pubblicato da Carocci, prova a risponde e a queste domande. Il viaggio che ci propone è affascinante, inizia all'Inferno, attraversa il Purgatorio, si conclude in Paradiso, rintracciando così "ciò che Dante ha visto, la sua biblioteca visiva, quella interiore, del quotidiano e del ricordo: le immagini consuete, le più diffuse e quelle eccezionali, messe in fila seguendo il tragitto delle tre cantiche per avere maggiore consapevolezza di un ipotesto da cui si è appresa l'innegabile consistenza. Le immagini, insomma, che consentono a loro volta di guardare attraverso la lente del poeta e, indossando i versi come fossero occhiali, osservare l'arte del Medioevo, inteso nell'accezione più ampia, con lo sguardo di chi lo attraversa temendo di patire le pene dell'inferno, sentendo la concreta prossimità del purgatorio e figurando le lontananze luminose del paradiso".
Professoressa Pasquini, iniziamo dal titolo: Pigliare occhi, per aver la mente. Si tratta di una citazione.
Il titolo è un verso del canto XXVII del Paradiso e ci dà il tenore della rilevanza che aveva l'arte per Dante. L'arte può "prendere gli occhi", ovvero catturare l'attenzione attraverso sguardo dello spettatore, "per aver la mente" e questa è la cosa importante: guidare lo spettatore a una riflessione interiore. Le immagini nel Medioevo non era decorazioni, avevano un senso profondo, Dante lo sapeva e le usava per adottare lo stesso principio: Pigliare occhi, per aver la mente.
Dunque, quale ruolo hanno svolto le immagini nella costruzione della poetica dantesca?
Dante vive in un contesto culturale in cui il messaggio politico, religioso e sociale era in gran parte affidato al mondo delle immagini, quindi era abituato ad attribuire significati che andavano oltre la rappresentazione pura e semplice dell'episodio figurativo. Le immagini non erano esclusivamente Biblia pauperum, ovvero la Bibbia dei poveri. Nel Medioevo le immagini erano usate per istruire coloro che non potevano leggere le Sacre Scritture e che non potevano accedere ai testi agiografici, ai manoscritti, perché pochissimi sapevano leggere: Dante sapeva di questo modo di intendere le immagini, percepite come attivatori della memoria, attraverso le immagini si poteva raggiungere la meditazione, tenendo conto del dogma rappresentato, ma la cosa fondamentale non era l'immagine fine a se stessa, le immagini nel Medioevo raramente erano solo decorative, ma aiutavano a pregare e favorivano la crescita interiore che Dante ci propone nel tragitto delle tre cantiche. Lui ci propone immagini poetiche, ci racconta quello che vede attraverso immagini precise, aiutandoci a figurare questo percorso. Usa le immagini perché sa bene che questa è la loro funzione: garantire una meditazione interiore.
L'Inferno di Coppo di Marcovaldo, particolare, Firenze, battistero di San Giovanni
Professoressa, le chiedo di selezionare per noi alcune immagini significative, seguendo l'ordine delle cantiche, in un percorso che inizia all'Inferno, attraversa il Purgatorio e si conclude in Paradiso.
Sicuramente per l'Inferno scelgo il bel San Giovanni, il Battistero di Firenze. Dante, prima dell'esilio, aveva sicuramente più volte meditato sotto quella cupola meravigliosa adornata dai migliori artisti di fine Duecento. Sicuramente meditò ampiamente di fronte all'Inferno di Coppo di Marcovaldo, un mosaico eseguito tra il 1260 e il 1270 con un demonio spaventoso a tre bocche, una è la bocca centrale con un personaggio che 'l capo ha dentro e fuor le gambe mena (Commedia, Inferno, canto XXXIV, ndr), mentre ci sono due serpenti che escono dalle orecchie del mostro e azzannano due peccatori che hanno il capo di sotto, nelle posizioni che lui darà a Giuda, Bruto e Cassio [...] Per il Purgatorio io penso alle sculture dei Pisano, che Dante non cita, ma d'altra parte un testo poetico non è tenuto a citare la fonte. Bisogna pensare a certi pulpiti scolpiti dai Pisano dove ci sono immagini vivide, in dialogo tra loro, esattamente come quelle da lui descritte nella prima cornice del Purgatorio [...] Per il Paradiso mi sposterei a Ravenna, con i mosaici, partendo da alcuni episodi strepitosi come la croce nel cielo di Marte che può essere paragonata con quella di Sant'Apollinare in Classe, ma io mi soffermerei soprattutto su un'immagine che a me colpisce: nel canto XXVIII del Paradiso Dante deve descrivere la visione di Dio, un punto luminosissimo circondato da nove cerchi. Ora, l'arte bizantina aveva codificato una modalità per descrivere l'epifania, la manifestazione di Dio, uno e trino: il monogramma, un punto circondato da cerchi luminosi. E nei mosaici di Ravenna, questi punti da cui irraggia la luce, circondati da cerchi luminosi, sono frequenti e di una forza espressiva incredibile. Io credo che, per descrivere l'indescrivibile, perché il Paradiso è indescrivibile [...], Dante abbia fatto tesoro di immagini astratte e totalmente evocative che aveva potuto vedere negli ultimi anni, abbastanza sereni, dell'esilio.
Padova custodisce un gioiello: la cappella degli Scrovegni, capolavoro di Giotto. Considerando che i due vissero nello stesso periodo e, con buona probabilità, attraversarono gli stessi luoghi, Dante riuscì ad ammirare la straordinaria opera di Giotto?
Quando si parla della biografia di Dante bisogna parlare di possibilità e non di certezze, facendo molta attenzione a non mettere Dante in posti dove non è stato. Benvenuto da Imola lo dava per certo: per lui, Dante e Giotto si incontrarono davanti alla controfacciata della Cappella degli Scrovegni - e cronologicamente potrebbe anche essere possibile - mentre Giotto dipingeva quella meraviglia di Giudizio universale, uno strepitoso Inferno. Ora, noi non abbiamo certezze documentarie. Possiamo immaginarlo. Del resto, questi due artisti sono vissuti nello stesso periodo, sono nati più o meno nello stesso posto, entrambi hanno voluto rappresentare a modo loro l'oltremondo: quindi è fantastico immaginarli lì a chiacchierare sulle possibili implicazioni, ma non possiamo esserne certi. Noi sappiamo che Dante, tra il 1304 e il 1306, si trattenne a Treviso, presso Gherardo da Camino, ed è quindi è possibile che da lì si sia spostato a Padova e Venezia, ma non ne abbiamo certezza. A noi cosa resta e cosa possiamo dire di questo possibile incontro? Entrambi hanno descritto un contesto infernale molto particolare, con strutture comuni ma soluzioni diverse: Giotto descrive Lucifero attraverso la defecazione delle anime, Dante immerge Lucifero nella ghiaccia di Cocito e, quindi, non lo mostra dal ventre in giù. Entrambi usano stilemi comuni: pongono dei peccatori a testa in giù con le gambe scalpitanti verso l'alto, lo fa Giotto e lo fa Dante nella pena dei simoniaci, entrambi descrivono la pena comminata ai ruffiani, ovvero d'essere fustigati dai diavoli nei rispettivi inferni, questa era la pena che nel Medioevo veniva riservata alle prostitute e ai loro lenoni. Di fatto, però, risolvono entrambi in maniera originale, non esiste una tangenza. Non abbiamo testimonianze certe, ma nemmeno altre che ci dicano che questo incontro non è mai avvenuto, quindi possiamo continuare a immaginarlo. Quel che è certo è che i due si conoscessero, o quanto meno che conoscessero la rispettiva fama: Dante cita Giotto nei canti centrali del Purgatorio, nella terzina che racconta dell'avvicendamento tra Cimabue e Giotto, Dante sa perfettamente che Giotto ha superato Cimabue proponendo un'arte assolutamente innovativa, e Giotto raffigura Dante al Bargello. Quindi, magari non si sono incontrati ma sicuramente conoscevano entrambi la grandezza dell'altro.