CULTURA

Tra distopia e realtà: il coronavirus nelle mani di uno scrittore

“… Pareva un venerdì sera come tutti gli altri. Genitori stanchi dalla settimana lavorativa si apprestavano a mettere la minestra in tavola, studenti felici dell’avvicinarsi del sabato riordinavano i libri o chattavano su whatsapp, i pendolari aspettavano il treno con lo smartphone in mano, gruppi di amici di vecchia data facevano la coda in pizzeria in attesa che il pizzaiolo sfornasse… e tutte le infinite possibili combinazioni di vita che un giorno qualsiasi di un anno qualsiasi riserva e che non alterano la gerarchia delle priorità che ciascuno si è costruito.

Poi, la notizia. Ci raggiunge a poco a poco, prima come un fastidio lieve, una puntura di zanzara di cui vogliamo dimenticarci immediatamente ma che invece comincia a incistarsi in un bubbone che brucia.

L’indomani è ancora tutto sotto controllo: le cameriere dei bar si affrettano a servire brioche agli avventori con il giornale sotto il braccio, le mamme organizzano pomeriggi con giochi per bambini, i fidanzati scelgono quale film andare a vedere al cinema, le adolescenti si danno appuntamento in palestra per la lezione di zumba, le signore vanno a farsi cambiare lo smalto in profumeria, compagnie di amici si organizzano per vedere il Carnevale in Piazza San Marco.

Ma nei gruppi whatsapp le informazioni cominciano a girare, lo stesso sui social, a metà tra lo scherzo e l’allarme; c’è chi si attacca ai telegiornali; le mamme cominciano a chiamare i figli perché stiano in casa; gli appuntamenti saltano; le persone si telefonano sconcertate: “Ma davvero?”.

L’indomani arriva l’ordinanza. Niente più zumba, o studiare in biblioteca, vietate attività come le presentazioni nelle librerie, sgomberare il Carnevale, annullare gli eventi pubblici. Chi esce di casa ha davanti un panorama desolato: quasi nessuno per le strade (le scuole sono chiuse), i bar sono deserti con sul banco decine di cornetti e tramezzini preparati che nessuno mangerà; le librerie di catena su due piani hanno uno, al massimo due avventori; i corridoi degli uffici sono silenziosi. E se da un lato il timore porta il silenzio e la calma – paradossalmente dilata quel tempo che di solito la frenesia della vita ci toglie – dall’altro invece aumenta il ticchettare della mente, il desiderio di mettersi in salvo (ma come? e da cosa?), di fare. Fare la spesa, fare scorte, lavarsi le mani con l’amuchina, preparare il disinfettante in casa perché i negozi sono stati svaligiati (una boccettina su ebay costa più di 100 euro), scrivere sui social cosa succede, mettersi la mascherina. E poi anche chiamare il numero di emergenza; dare consigli non richiesti, insomma alimentare quel gioco del telefono senza fili che invece andrebbe riagganciato...”.

Una condizione di sospensione che ricorda tanto quelle descritte nei libri di fantascienza, in cui, all'improvviso si manifesta un evento catastrofico inaspettato. Certo, non ci sogniamo di paragonare uno scenario da libro a quanto sta accadendo in questi giorni, per quanto alcune scene di panico e di psicosi collettiva - non giustificate a detta degli esperti - li possano ricordare. Ma dal punto di vista letterario tutto questo può essere di un certo interesse?

Abbiamo fatto due chiacchiere con chi di mestiere usa la fantasia per restituirci il mondo: un romanziere. Nella fattispecie abbiamo scelto Paolo Zardi, che non è nuovo a racconti sottilmente distopici (XXI secolo, Neo edizioni 2015; L’invenzione degli animali, Chiarelettere 2019).

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