SOCIETÀ
Le donne hanno il 25% in meno di diritti sul lavoro rispetto agli uomini
Donne e diritti sul lavoro: nel nuovo rapporto Women, business and the law 2019, pubblicato dalla Banca Mondiale, si prendono in considerazione le decisioni economiche e legislative che i paesi hanno intrapreso negli ultimi 10 anni per migliorare la situazione delle donne nel contesto lavorativo. La media mondiale è intorno ai 74 punti: in pratica le donne ricevono un quarto in meno di diritti sul lavoro rispetto agli uomini. Nel 2018 ci sono sei paesi che hanno raggiunto il punteggio di 100 nel rapporto della Banca mondiale: Belgio, Danimarca, Francia, Lettonia, Lussemburgo e Svezia. Dando uno sguardo in generale alla situazione, si può notare un progresso dal punto di vista del gender equality ma esistono diverse nazioni, soprattutto in Africa e Medio Oriente, che non raggiungono nemmeno la metà del punteggio massimo.
Secondo il rapporto, le donne iniziano la propria carriera lavorativa più tardi, a 25 anni, e la scelta del lavoro è condizionata da tre fattori principali: la sicurezza economica, la possibilità di crescita e l'equilibrio tra lavoro e vita privata. Ogni paese e la sua politica economica sono state analizzate attraverso otto indicatori che prendono in considerazione ogni fase della vita lavorativa della donna.
In primo luogo, viene presa in considerazione nel rapporto i vincoli sulla libertà di movimento, che comprendono sia la possibilità di andare concretamente a lavoro, sia la capacità di viaggiare. Denominato Going places, questo indicatore è al secondo posto per il minor numero di riforme fatte negli ultimi dieci anni. I paesi in cui il punteggio non raggiunge o equivale a 50 si concentrano principalmente nell'area mediorientale, come Iran, Iraq, Kuwait, Qatar, Arabia Saudita ma anche Afghanistan, Brunei, Cameron e Repubblica del Congo.
Il secondo indicatore è Starting a job e consiste nella valutazione di tutte quelle leggi e strumenti che permettono alle donne di entrare nel mondo del lavoro. Nel periodo di tempo preso in esame, questo ambito è quello che conta più riforme: 35 paesi hanno introdotto norme contro le molestie sessuali, 9 paesi invece hanno varato leggi contro la discriminazioni di genere nelle assunzioni.
Il divario salariale e la segregazione nel posto di lavoro sono due degli argomenti più discussi in questi ultimi anni: nell'indicatore Getting paid, infatti, si analizzano i profili dei vari paesi sotto questo punto di vista. In 10 anni, 22 paesi hanno rimosso le restrizioni lavorative nei confronti delle donne in alcuni ambiti, in particolare quello tecnologico, edilizio, energetico e dei trasporti, oltre quello legato al lavoro notturno.
Altro dato interessante riguarda il punto legato al matrimonio; la maggior parte delle riforme che rientrano nell'indicatore Getting married riguardano principalmente l'ambito delle violenze domestiche: in dieci anni, 47 paesi hanno introdotto leggi di questo tipo. Ma non solo: sono state anche varate norme che danno gli stessi diritti a donne e uomini in caso di divorzio (Bolivia, Equador, Malta e Nicaragua) mentre la Repubblica del Congo ha finalmente tolto l'obbligo di obbedienza delle moglie nei confronti del marito. Una spinta importante è stata data dalla quarta Conferenza mondiale sulle donne, tenutasi nel 1995 a Pechino: i punti principali riguardavano la parità di genere e l'empowerment delle donne, che si sono concretizzati nella Dichiarazione di Pechino. In questo contesto, si aggiunge anche il quinto punto Having children che riguarda la maternità e in particolare le leggi che tutelano il lavoro dopo la gravidanza: in 10 anni sono state attuate 57 riforme a cui si aggiungono 33 che riguardano il congedo di paternità.
In Running business invece le riforme che sono state apportate in 10 anni appartengono a diversi ambiti, come quello finanziario, legislativo ed economico. L'analisi, infatti, si concentra sulle possibilità concrete delle donne di avviare e gestire un'attività, comprendendo quindi l'accesso ai finanziamenti, la parità di genere a livello legislativo e la protezione dei consumatori. Il diritto di proprietà e di ereditarietà, circoscritto nell'indicatore Managing Assets, si registra la quantità minore di riforme: in dieci anni sono state solamente 4, il numero più basso fra tutti gli indicatori, con una frequenza di cambiamento molto lenta.
L'ultimo indicatore, Getting a Pension, prende in esame le leggi che influenzano la posizione pensionistica delle donne: in 10 anni, 22 paesi hanno equalizzato o avviato un percorso per la parità in fatto di pensioni tra uomini e donne, dando a quest'ultime la totalità dei benefici. Ci sono stati cambiamenti anche per quanto riguarda l'età di pensionamento (Albania, Bosnia-Erzegovina, Estonia, Etiopia, Grecia, Madagascar, Slovenia e Ucraina) e l'introduzione di crediti pensionistici per i periodi di maternità e di assistenza ai figli.
La situazione italiana
L'Italia ha un punteggio mediamente alto, stabilizzatosi da quasi 4 anni al 94,38. Dando uno sguardo ai vari indicatori, che raggiungono in quasi tutti i casi l'eccellenza, la questione delle pensioni e ferma a 75 punti: il gender gap si materializza principalmente nelle regioni del Nord Italia dove si può arrivare fino a 880 euro di differenza tra uomini e donne. Il motivo di questo disequilibrio non è ancora chiaro: in molti sostengono che rifletta la situazione lavorativa italiana, dove le donne hanno una percentuale minore di occupazione rispetto agli uomini. L'altro indicatore in cui la legge italiana non raggiunge il massimo punteggio è il Getting Married: in particolare, alle donne non spettano gli stessi diritti degli uomini nel momento in cui decidono di risposarsi.
Fonte: Women, business and the law 2019 - Banca Mondiale