SCIENZA E RICERCA

Edilizia: qual è lo stato di sicurezza delle infrastrutture italiane?

“È un problema sostanzialmente di tipo politico. Che livello di rischio vogliamo sopportare? Dato che il rischio zero non esiste, bisogna stabilire il livello di rischio accettabile per tutto il patrimonio infrastrutturale italiano”. Carlo Pellegrino, direttore del dipartimento di Ingegneria civile edile e ambientale dell’università di Padova, tocca una questione spinosa per il nostro Paese: lo stato di conservazione (e sicurezza) del patrimonio edilizio italiano.

La situazione, del resto, è sotto gli occhi di tutti. Prendiamo le scuole, a titolo di esempio: le notizie (anche recenti) di cedimenti infrastrutturali non sono infrequenti. Secondo uno studio di Save the Children dal titolo Ancora a rischio – Proteggere i bambini dalle emergenze, circa quattro milioni e mezzo di studenti soggetti all’obbligo scolastico vivono in aree ad alta o medio-alta pericolosità sismica (il territorio totale o parziale di 76 Province su 110), nelle quali si trovano 17.187 edifici scolastici. Il tema della sicurezza degli edifici scolastici non riguarda tuttavia solo le strutture in zone sismiche: ad oggi infatti, secondo i dati del ministero dell’Istruzione dell’università e della ricerca, solo il 53,2% delle strutture possiede il certificato di collaudo statico e il 53,8% non ha quello di agibilità/abitabilità.   

Riprese e montaggio di Elisa Speronello

Dopo i recenti terremoti – sottolinea Pellegrino riferendosi, in modo particolare, agli edifici (scolastici e non) costruiti in zone sismiche – è emerso il problema della gestione e della vulnerabilità del patrimonio edilizio infrastrutturale italiano. La maggior parte degli edifici sono stati realizzati prima del 1974, anno in cui è stata pubblicata per la prima volta una legge sismica che prevede delle regole di progettazione specifiche per le costruzioni in zona sismica”. Il percorso legislativo ha portato, nel 2018, alla pubblicazione di norme tecniche per le costruzioni che prevedono una serie di regole e dettagli costruttivi specifici per le costruzioni in zona sismica. E la riclassificazione normativa ha comportato una riclassificazione sismica del territorio nazionale: via via che le conoscenze sismiche avanzavano, il livello di pericolosità sismica di molte zone del territorio nazionale è aumentato e alcune zone che non erano considerate sismiche lo sono diventate.

Pellegrino spiega che questo è un fattore determinante, dato che una costruzione progettata per assorbire soltanto azioni verticali, come il peso delle persone o l’arredo, ha una concezione strutturale completamente diversa rispetto a una costruzione che deve sopportare anche azioni sismiche. Senza contare l’inevitabile degrado che hanno subito gli edifici nel tempo.

“E’ chiaro – continua l’ingegnere – che, visto il quadro generale, bisogna allocare delle risorse innanzitutto per programmare una campagna di valutazione dello stato di condizione delle costruzioni esistenti. Sulla base di questa, bisognerà poi stabilire una strategia di intervento che vada dagli edifici più sensibili, quelli pubblici, come le scuole, gli ospedali, e tutta una serie di ulteriori edifici e di ponti che sono strategici anche per le operazioni di protezione civile, se dovesse verificarsi un evento sismico”. Conclude Pellegrino: “Se si riesce a fare in modo che chi deve prendere le decisioni politiche acquisti questa consapevolezza e allochi delle risorse, allora possono seguire delle azioni operative che portino gradualmente alla messa in sicurezza dell’intero patrimonio nazionale”.  

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