SOCIETÀ

Emissioni globali nel 2021: il rapporto della Commissione Europea

Il 2020 è stato un anno sospeso. Attività economiche ferme, trasporti e viaggi bloccati, lockdown generalizzati: l’imperversare della pandemia ha obbligato tutti a modificare le proprie abitudini, a sospendere – appunto – il cosiddetto business as usual.

Questa forzata interruzione di moltissime attività umane ha avuto, come si sa, effetti immediati sull’ambiente naturale. Si mormorava, in quei mesi, che la natura si stesse finalmente riappropriando dei propri spazi; ci si stupiva dell’aria limpida sopra le grandi metropoli. La diminuzione della pressione umana sulla natura, osservata da molti a livello empirico, è stata poi confermata dai dati: ad esempio, le emissioni di CO2, il principale gas climalterante immesso in atmosfera come effetto collaterale della crescita economica, sono drasticamente diminuite in tutto il mondo rispetto agli anni precedenti. C’è stato chi – ottimista – ha ritenuto, interpretando questi dati, che l’umanità avesse finalmente imboccato la strada della decarbonizzazione, e che un evento drammatico come una pandemia ci avesse aperto gli occhi sulla necessità di instaurare un rapporto diverso, più pacifico, con il mondo naturale.

Tutte queste speranze sono state però rapidamente smorzate nei mesi successivi: la ripresa economica ha preso il via, le attività economiche sono ripartite e tutto è tornato come prima. Non per tutti, in realtà, come prima: vi sono, in effetti, considerevoli differenze tra i Paesi con riferimento sia alle prestazioni economiche, sia a quelle ambientali.

Per quanto riguarda queste ultime, offre un quadro dettagliato della situazione a livello nazionale e globale l’ultimo rapporto sulle emissioni globali di CO2 (dal 1970 al 2021), che presenta i dati raccolti nell’Emissions Database for Global Atmospheric Research (EDGAR), curato dal Joint Research Centre della Commissione Europea. La quantificazione delle emissioni di CO2 contenuta nel rapporto tiene in considerazione gli effetti della produzione di combustibili fossili, del loro consumo in diversi settori (trasporti, commercio, costruzioni), e l’impatto, in termini di assorbimento ed emissione, dell’utilizzo di suolo (agricoltura, gestione forestale, deforestazione, incendi).

Nel 2021 le emissioni sono tornate a crescere

Nel 2020, le emissioni di CO2 da fonti fossili sono diminuite complessivamente del 5,3% rispetto all’anno precedente; nel 2021, non appena le restrizioni per il contenimento del contagio da Covid-19 sono state allentate, i livelli di emissioni sono tornati pressoché ai livelli pre-pandemici, con una flessione rispetto al 2019 dello 0,36%.

Pochissimi Paesi hanno proseguito la tendenza decrescente avviata – loro malgrado – durante il primo anno della pandemia: tra questi va annoverata l’Australia, unica tra i principali emettitori a confermare la tendenza discendente anche nel 2021 (-2,4% rispetto al 2020). Al contrario, sono soltanto due i Paesi le cui emissioni hanno continuato ad aumentare persino nel 2020: si tratta di Cina e Iran, che hanno confermato sia per il 2020 che per il 2021 un trend in crescita rispetto agli anni precedenti.

Posto che quasi tutti i Paesi hanno emesso maggiori quantità di CO2 nel 2021 rispetto al 2020, solo sette nazioni hanno superato, nel 2021, i livelli di emissioni raggiunti nel 2019: Cina, India, Russia, Iran, Arabia Saudita, Brasile e Turchia. Tra queste, non a caso, vi sono alcuni tra i maggiori emettitori a livello globale: la Cina (prima in classifica, responsabile del 32,9% del totale annuale di emissioni), l’India e la Russia (rispettivamente quarta e quinta della lista), l’Iran e l’Arabia Saudita (al settimo e al decimo posto).

L’Unione Europea, terza maggiore emettitrice al mondo (responsabile del 7% delle emissioni annuali) presenta invece una tendenza ‘mista’: anche qui, infatti, nel 2021 si è registrato un balzo in avanti rispetto all’anno precedente in termini di volume di emissioni, ma il totale è comunque inferiore del 5% rispetto alle emissioni del 2019; solo in quattro Stati membri (Slovacchia, Polonia, Malta, Bulgaria) si è osservata una tendenza opposta, con emissioni maggiori nel 2021 rispetto al 2019.

Anche per gli Stati Uniti – secondo maggior emettitore globale – è confermata la tendenza generale di crescita delle emissioni nel 2021 a confronto con l’anno pandemico (+6,5%). Combinando questo dato con la considerevole riduzione verificatasi nel 2020, le emissioni del Paese risultano in calo del 5,2% rispetto ai livelli del 2019, in linea con la – seppur flebile – tendenza decrescente rispetto al 1990 (-6,2%).

Il primato in termini di emissioni climalteranti – riflesso di un’esponenziale e rapidissima crescita economica – pertiene alla Cina, Paese che nel 2021 ha emesso una quantità di anidride carbonica cinque volte superiore ai livelli del 1990, e che, nel breve arco temporale di due anni (dal 2019 al 2021) ha aumentato le emissioni del 5,9%. Secondo i dati disponibili, l’aumento osservato nel 2021 è dovuto principalmente al maggiore consumo di combustibili fossili rispetto agli anni precedenti: non è inutile notare, a tal proposito, che il combustibile fossile ancora oggi maggiormente impiegato nella Repubblica Popolare Cinese è il carbone, che copre il 54,7% del fabbisogno nazionale.

Non solo la Cina, ma anche l’India – altra economia emergente, con una chiara trazione di energia fossile, quarta nazione per quota di emissioni su scala globale – presenta un segno positivo se si comparano i livelli di emissioni del 2021 rispetto al 2019. La grande differenza rispetto alle economie più industrializzate è tuttavia ancora ben visibile se si guarda non la quantità totale di emissioni, ma la distribuzione pro capite: mentre in Europa si calcola che le emissioni pro capite ammontino a circa 6,25 t annue a persona, e negli Stati Uniti raggiungano le 14,2 t a persona, in India sono sette volte inferiori a quelle degli Stati Uniti e tre/quattro volte minori rispetto ad Europa e Cina. Un dato estremamente significativo, che racconta la dissociazione tra la forte crescita economica del Paese e la capacità di redistribuire equamente la ricchezza tra la popolazione.

Quanto incidono le foreste?

Una delle più interessanti novità del nuovo rapporto EDGAR è l’inserimento dei risultati sull’impatto dell’utilizzo di suolo, del cambiamento di destinazione d’uso del suolo, e delle foreste (tre ambiti indicati collettivamente con la sigla LULUCF: Land Use, Land Use Change, Forestry) in termini di emissioni e di assorbimento di anidride carbonica.

Ebbene, le stime riportano che nel 2020 il settore LULUCF avrebbe rimosso dall’atmosfera 3,9 Gt di CO2, corrispondente a circa un decimo delle emissioni globali antropogeniche annuali. È un dato in linea con il decennio precedente, che mostra tuttavia un netto calo (-12%) rispetto alla capacità di assorbimento calcolata per il 2010. I ricercatori hanno inoltre stimato che, tra gli ambienti che contribuiscono alla cattura di CO2, le foreste gestite hanno l’impatto maggiore: nel solo 2020 hanno rimosso dall’atmosfera 8,4 Gt di CO2, cioè circa il 22% delle emissioni annuali.

D’altra parte, gli incendi boschivi e la deforestazione sono stati causa di emissioni: si stima che, nel 2020, gli incendi abbiamo immesso in atmosfera 0,66Gt di CO2 e la deforestazione sia stata responsabile dell’emissione netta di 4 Gt di CO2, equivalente al 10,6% del totale annuo. Nel 2021, questi dati sono anche peggiori: le emissioni riconducibili agli incendi hanno ammontato a 0,7 Gt. Ciò mette in luce una preoccupante riduzione della capacità degli ambienti forestali di agire come ‘serbatoio’ di emissioni carboniche. A dimostrazione di ciò, è stato ad esempio stimato che nell’Unione Europea la capacità degli ambienti forestali di assorbire di CO2 si è ridotta del 40% negli ultimi trent’anni.

Obiettivi ancora lontani

Il mondo, purtroppo, è ancora ben lontano dall’imboccare una strada di sostenibilità. Dal 1990 al 2021, le emissioni annuali sono aumentate del 66,6%. Certo, negli ultimi anni si è registrata una lieve curva discendente, ma la ripresa post-covid ha determinato una nuova impennata delle emissioni antropogeniche. Dopo la battuta d’arresto pandemica, dunque, sono molti i governi che hanno ridimensionato le ambizioni di sostenibilità, anteponendo ad esse la necessità di sostenere una crescita economica lineare e senza limiti. I risultati positivi raggiunti negli anni ’10 in termini di decarbonizzazione sono stati, in alcuni casi, pressoché annullati dalla corsa verso una nuova fase di crescita. La difficile situazione politica ed economica internazionale, infine, è particolarmente allarmante in tal senso: il fatto che anche molti dei paesi industrializzati stiano affrontando difficoltà energetiche rischia di determinare un’ulteriore battuta d’arresto sulla strada verso la riduzione del nostro impatto sul mondo naturale.

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