CULTURA

Emma Strada, la prima ingegnera nell'Italia d'inizio Novecento

Al volgere degli anni Dieci del 900, a Torino, Emma era ingegnera. E ingegneri erano anche suo padre e suo fratello. Emma lavorava nello studio tecnico del padre, Ernesto Strada, per il quale progettava e sovrintendeva alla costruzione di opere importanti: ferrovie, gallerie, acquedotti. Come suo fratello Eugenio. Una vocazione di famiglia, un unico studio di progettazione, costruzione e perizie.

Emma però era un po’ speciale, perché non se ne vedevano in giro molte di persone in abito lungo e cappellino, come lei, a dirigere i lavori nei cantieri in quell'Italia d’inizio secolo. Erano gli anni durante i quali in Italia si stava avviando un processo di industrializzazione e modernizzazione che aveva trovato un epicentro proprio a Torino, la città di Emma.

Non se ne vedevano molte come lei, anche perché proprio lei era stata la prima: la prima donna in Italia a laurearsi “ingegnere”, il 5 settembre del 1908. Tanto che, si dice, la commissione di laurea si era trovata in difficoltà nello stabilire se attribuirle invece il titolo di “ingegneressa”, ma aveva comunque optato - non sorprendentemente – per rispettare la tradizione al maschile.

Emma Strada, sabato scorso, al nostro Istituto Superiore Politecnico ha conseguito a pieni voti la laurea in ingegneria civile. La signorina Strada è così la prima donna-ingegnere che si conti in Italia e ha appena altre due o tre colleghe all'estero La Stampa, Torino, 7 settembre 1908

Con il regolamento Bonghi, varato nel 1874, le donne erano state finalmente ammesse all’università al pari degli uomini. Tre anni dopo, nel 1877, era stata conferita la prima laurea a una donna, Ernestina Paper, in Medicina; a ruota, arrivarono anche le prime lauree in lettere, scienze, giurisprudenza. Ma fino al 1908 nessuna donna si era mai laureata in ingegneria.

Per arrivare alla laurea, Emma aveva percorso le tappe canoniche, iniziando nel 1903 col frequentare il biennio propedeutico di Scienze matematiche e fisiche all’Università di Torino. Per poter accedere al triennio e alla laurea, gli aspiranti ingegneri dovevano infatti ottenere una licenza in Scienze fisico-matematiche e un certificato almeno sufficiente in Disegno d’ornato e d’architettura. Ma Emma era brava e il biennio di “Scienze per l’ingegneria” non si era rivelato un ostacolo. Soprattutto, Emma era motivata e stimolata dalla sua famiglia, in particolare dal padre, spirito decisamente progressista per l’epoca.

Nel 1905 era dunque riuscita a iscriversi al corso di Ingegneria civile della Scuola d’Applicazione, che l’anno successivo si sarebbe fusa con il Regio Museo Industriale, dando vita al Regio Politecnico di Torino. In tre anni Emma Strada, numero di matricola 36, si sarebbe laureata a pieni voti, terza su 62 iscritti al corso.

Fresca neolaureata, aveva iniziato a lavorare immediatamente nello studio che portava il nome di Ernesto Strada e che gestiva commesse importanti, anche grazie alla rete di conoscenze che il padre di Emma aveva intessuto in lunghi anni di professione e a un periodo di consigliere provinciale a Torino. Le commesse erano dunque impegnativo e il primo lavoro che Emma si ritrovò a seguire fu un’opera di bonifica decisamente impegnativa: per due anni seguì di persona i lavori per la realizzazione di una “galleria di ribasso” in Valle d’Aosta, funzionale a drenare l’acqua da una miniera di pirite cuprifera; e non lo fece dal suo studio a Torino, ben inteso, ma in cantiere a Ollomont, da mattina a sera, alternandosi al padre.

La presenza in alternanza era una necessità per la giovane ingegnera, perché l’anno successivo alla laurea si era anche impegnata accademicamente col professor Luigi Pagliani, direttore del Gabinetto di Igiene industriale all’Università di Torino, del quale fu assistente straordinaria fino al 1915. Quell’anno, infatti, suo padre morì e il suo studio venne intestato a Eugenio, il fratello di Emma
Lasciata l’Università, l’ingegnera Strada s’impegnò a tempo pieno nel lavoro in studio, proseguendo lavori che aveva iniziato col padre: seguì la progettazione di alcuni edifici residenziali in Liguria e a Torino, dell’ampliamento del municipio di Varazze, di un asilo infantile, di tratti ferroviari e tramviari, del ramo calabro dell’acquedotto pugliese, e di una galleria per l’auto-moto-funicolare di Catanzaro. Lavorò perfino al progetto per le operazioni di scavo di una miniera d’oro a Macugnaga, ai piedi della parete est del Monte Rosa, occupandosi anche della direzione dei lavori.

Prima della Seconda guerra le venne chiesto di applicarsi su di un altro fronte professionale ancora: non si trattava di progettare bonifiche, ferrovie, edifici o miniere, ma di elaborare e mettere a punto un processo di fabbricazione del gas petrolio liquido a partire da materiali di scarto delle raffinerie del petrolio (gas di butano e di propano, che oggi non verrebbero considerati esattamente “scarti”). Il processo venne sperimentato a Marghera, ma per mancanza di fondi il progetto passò di mano.
Tanti e diversissimi, quindi, i lavori di Emma per lo studio Strada, eppure nessuno dei progetti porta la sua firma. Non sorprende, visto lei non chiese mai di essere iscritta all'Albo degli ingegneri fino agli anni Cinquanta. Non ce n’era probabilmente bisogno nell'economia dello studio, né probabilmente nella sua immagine.

Qualcosa però più tardi cambiò: Emma Strada, al di là dello studio di famiglia, iniziò ad assumersi delle responsabilità anche in campo sociale in quanto pioniera della professionalità al femminile in campi un tempo preclusi alle donne. Ottenne con successo il titolo professionale e con questo, orgogliosamente, si adoperò per il riconoscimento dell’impegno femminile nell'ingegneria.

Nel 1957 fondò l’Associazione italiana donne ingegnere e architetto (Aidia) assieme ad Anna Enrichetta Amour, Laura Lange, Ines del Tetto, Lidia Landi, Adelia Racheli, Vittoria Ilardi, Alessandra Bonfanti e alla prima laureata in ingegneria all'Università di Padova, Elvira Poli, da allora vicepresidente fino al 1969. L’Associazione, ancora oggi attiva, nacque dunque per valorizzare il ruolo delle donne nella scienza e nella tecnica, per fare da ponte e collante fra queste professioniste, promuovere scambi d’idee e di risorse, coltivare rapporti con associazioni estere analoghe. Emma Strada fu la prima presidente di questa associazione e per essa si adoperò sempre attivamente, organizzando manifestazioni culturali e sociali, sempre a sostegno del valore del contributo delle donne. Il suo impegno nell’Aidia l'accompagnò fino alla morte, nel 1970.

In quell'anno, la percentuale delle donne laureate in ingegneria era l’1%; dieci anni dopo sarebbe stata una percentuale ancora risicata, il 5%. Oggi l’incidenza si attesta attorno al 28%: grandi passi sono stati fatti, anche grazie a persone come Emma, ma la strada è lunga. Speriamo di percorrerla più velocemente, d’ora in poi.

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