CULTURA

Gabriele Dadati "riscrive" il ritratto di Klimt

C’è un momento in cui lo scrittore incontra la storia. Alle volte la cova per anni, certe altre emerge d’un tratto, i lettori immaginano sempre che si tratti di pura fantasia. E il più delle volte non è così. E se è parzialmente vero l’adagio “mai raccontare i fatti propri a un giornalista o a un romanziere” per scongiurare indesiderati disvelamenti, nel caso de La modella di Klimt di Gabriele Dadati (Baldini+Castoldi) è noto che i fatti sono davvero accaduti, quantomeno reale è la griglia sostanziale in cui si collocano, ma la bravura del romanziere è stata quella di trasfigurarli in un romanzo. Storico per di più.

In una sorta di trilogia ideale (dopo L’ultima notte di Antonio Canova e Nella pietra e nel sangue) La modella di Klimt parte da un fatto realmente accaduto: nel dicembre del 2019 a Piacenza viene inaspettatamente ritrovato il dipinto Ritratto di signora del maestro viennese trafugato 23 anni prima, e Dadati si trova sulla penna uno spunto complicato e affascinante. Il ritrovamento infatti avviene a ridosso di una mostra presso la galleria Ricci Oddi che vuole omaggiare il vecchio direttore, Stefano Fugazza, morto dieci anni prima, ma ancora in carica quando il furto avvenne, che di Dadati è il maestro. E Dadati a quella mostra sta lavorando.

Ecco che quindi il romanziere si trova a dover pensare due storie e, come ogni narratore fa, a tenersi a cavallo di quel labile confine tra realtà e finzione con cui ha costantemente a che fare per mestiere il narratore.

Compare quasi subito, nella storia, un misterioso personaggio che chiede all’io narrante un incontro: lui sa e forse anche lo scrittore sa, ma noi lettori di cosa verremo a conoscenza?

Certamente della storia di quel doppio ritratto che Klimt fece ad Anna, modella improvvisata in posa per un atelier, e che poi ridipinse sulla stessa tela sette anni dopo, per tirare fuori l’anima della giovane donna dopo che il destino con lei si era mostrato avverso. E lo scrittore con altri mezzi fa lo stesso. Passa dalla storia, dal qui e ora, all’allora e mai, o forse al per sempre, raccontando con delicatezza quell’insieme controverso di sentimenti e azioni che delineano una vita e la intrecciano alle altre.

Fu Anna un’amante di Klimt, per certi versi noto seduttore?

Gabriele Dadati mette sulla pagina un amore, quieto e inaspettato, e tratteggia un ritratto del “femminile” che trascende gli eventi e, per paradosso, il fatto da cui scaturisce la stessa narrazione. Il romanziere chiude gli occhi e immagina – per quello che gli è concesso (e molto è concesso pur nella cornice del romanzo storico per il quale il lettore accetta comunque la “sospensione dell’incredulità”) – un bacio, uno sguardo, un’intenzione. E racconta la forza silenziosa di un mondo, quello delle donne (altro personaggio chiave è Emilie Flöge, la proprietaria dell’atelier che commissionò il dipinto, e a sua volta musa del pittore), che diventava a cavallo tra Otto e Novecento sempre più visibile: “la seduzione era un elemento destabilizzante non perché fosse una novità, ma perché il baluginare della nascente consapevolezza che l’accompagnava faceva fibrillare la società. Per questo in Klimt le anse dei corpi femminili erano prossime a spire di serpenti e all’oro si alternavano i teschi”.

Abbiamo intervistato lo scrittore.

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