Il 2 ottobre 1869, centocinquanta anni fa, nasceva a Porbandar, in India, Mohandas Karamchand Gandhi, meglio conosciuto come il Mahatma. L’uomo che ha riconquistato l’indipendenza al suo paese con mezzi assolutamente non violenti. Una (o, forse, la) bandiera del pacifismo mondiale. Ma anche il trascinatore di folle considerato – a causa di quella che ebbe a definire una “superstizione diffusa” – un nemico della scienza.
La rivista scientifica Nature ha voluto ristabilire la verità intorno a questa superstizione e con un editoriale nel numero pubblicato oggi lo eleva addirittura a precursore della “scienza sostenibile”.
Il Mahatma Gandhi in realtà aveva in alta considerazione la scienza. Aveva capito quale fosse il suo ruolo – un ruolo assolutamente primario – nel mondo del Novecento. Tanto che tra i sette peccati più gravi aveva inserito quello della “scienza senza umanità”.
Dunque non la scienza. Ma le applicazioni della scienza che non tengono conto dell’uomo. Che invece di fare della conoscenza un fattore di inclusione sociale, ne fanno un fattore di esclusione sociale. E la sua India, dilaniata dalla disuguaglianza amplificata dall’occupazione inglese, era una drammatica e a tratti tragica dimostrazione di come gli uomini possono confezionare una “scienza senza umanità”. Il Mahatma fu assassinato nel 1948. E non fece in tempo ad avere notizia, il 3 dicembre 1984, del disastro di Bhopal, quando un incidente a un’industria chimica di proprietà occidentale, fece 5.000 morti. Un esempio di applicazione colonialista e senza umanità della scienza di cui l’India fu vittima.
Era questo di scienza – di applicazione della scienza – che Gandhi non amava e contro cui si batteva, sempre con metodo non violento. Ma lui non era affatto nemico del progresso tecnologico. Anzi, era “un ingegnere nel cuore”, come sostiene Anil Rajvanshi direttore del Nimbkar Agricultural Research Institute di Phaltan. Era un vero sperimentatore, una sorta di inventore: si trattasse di mettere a punto nuove trappole per serpenti o nuove calzature con la gomma di scarto.
Ma non è per questo che Naturelo elegge a campione della scienza sostenibile. Il fatto è che lui pensava a una scienza i cui benefici fossero a vantaggio anche e soprattutto dei più poveri, anche dell’ultimo contadino del più sperduto villaggio dell’India. E si accorgeva che la scienza - o meglio, lo sviluppo tecnologico – che si andava sviluppando in occidente con un modello che l’Occidente esportava in India e in tanti altri paesi sottosviluppati non era a vantaggio dell’intera umanità ma stava diventando un fattore di esclusione sociale. Il più potente fattore di esclusione sociale.
Il Mahatma non voleva quel modello per l’India, perché aveva capito che avrebbe acuito e non abbattuto le disuguaglianze tipiche della società del suo immenso e povero paese.
Già nella prima parte del XX secolo, Ghandi era diventata la bandiera del pacifismo mondiale insieme, non a caso, di un grande scienziato, Albert Einstein. E il fisico tedesco aveva una grande considerazione del Mahatma. Non lo considerava affatto un nemico della scienza. Ma un alleato nella battaglia per una “scienza con umanità”.
Il pensiero di Gandhi sulla “scienza senza umanità”, sostiene Nature, non può – non deve– essere classificato come “antiscientifico”. Al contrario è una visione estremamente moderna. Una visione, appunto, di scienza sostenibile, in termini sociali e in termini ecologici. D’altra parte non aveva sostenuto, all’inizio del XVII secolo, Francis Bacon, il pioniere del pensiero scientifico, che la scienza non deve essere a vantaggio di questo o di quello, ma dell’intera umanità?
È una bella rivincita della storia, dunque, che oggi sia proprio una rivista inglese a riconoscere la capacità visionaria del Mahatma Gandhi, scienziato oltre che ingegnere nel cuore, nel centocinquantesimo anniversario della sua nascita.