SOCIETÀ

Giovani e vecchi

Ottantenni di tutta Italia specie se giornalisti unitevi. 

Questo potrebbe essere l’incipit di un manifesto/invito ai numerosi superstiti della prima fase della vigente pandemia. Quando al grido di “prima di tutti i giovani”, gli anziani tendenti a vecchio sembravano destinati ad una inevitabile soccombenza. Siamo alla fase non so più di che numero e le sopravvivenze sono state parecchie. E tra queste non pochi sono giornalisti che non avendo perso l’uso della testa e delle mani continuano a scrivere e a vedersi pubblicati i loro articoli.

Come è noto a molti, la cosa ha un po’ disturbato un lettore il quale ne ha scritto a Michele Serra auspicando il ricambio generazionale tra giornalisti e chiamando anche in causa la bella firma di Natalia Aspesi la quale con la consueta ironia, dopo qualche giorno è intervenuta (“Tranquilli tolgo il disturbo”, la Repubblica 13 agosto 2020) avvertendo il lettore e chi ne condivideva il ragionamento, che presto il  suo posto “sarà vacante e se possibile dall’Isola dei Famosi Defunti, presentatrice nello studio Antinferno Nilla Pizzi, ne faciliterò l’occupazione, puntando per dispettosità caratteriale su qualche bel giovane mite e studioso piuttosto che su una combattiva signorina sempre all’erta”. L’augurio (che faccio anche a me e coetanei) è che quel posto resti ancora a lungo occupato. Abbiamo appena finito di celebrare centenari o alcuni che lo sarebbero stati mentre incalza quello che sarebbe stato il centenario di Giorgio Bocca e può bastare. Lasciando ad altri, se e quando lo vorranno, le ulteriori celebrazioni.

In realtà il problema non sta tanto nel riconoscere che in questa affollata “villa arzilli” c’è ancora chi con buona attenzione e riconosciuta importanza dice e scrive cose che hanno presa su un pubblico di indefinibile età. Sarebbe invece tale, il problema, se questi arzilli vecchietti togliessero il posto a giovani capaci allo stesso modo in cui, salvinianamente, gli immigrati dall’altra parte del Mediterraneo vengono accusati di toglierlo  a potenziali lavoratori italiani. Niente di più falso mi pare dall’una e dall’altra parte.

Tuttavia c’è ed è ben noto un problema giovani. Cioè di ragazzi capaci che lasciando la Scuola e poi l’Università non trovano un posto in cui lavorare per mettere a frutto (per loro e per la comunità) quelle capacità e le conoscenze acquisite.  E non lo trovano non perché qualche vecchio gli occupa il posto e non si decide a morire o a campare con la pensione. Bensì perché lo Stato  e le sue diramazioni periferiche (Regioni e Comuni) non vogliono capire che dovrebbero spendere sino all’ultimo euro disponibile in ricerca scientifica e tecnologica;  nelle scuole e nelle università. Né solo lo Stato. Le grandi imprese, soprattutto industriali, dovrebbero fare altrettanto e non badare solo a come risparmiare qualche euro da trasformare in profitti. Non lo vogliono capire. E i giovani di quest’altra parte del Mediterraneo se ne vanno oltr’Alpe. Dove li attendono, gli danno uno stipendio, una stanza e gli strumenti per lavorare. E ne traggono il vantaggio che ne potrebbero e dovrebbero trarre qui Stato, Regioni, Comuni. Industrie.

Lo ha detto anche Mario Draghi il 18 agosto al meeting dell’amicizia a Rimini: “Ai giovani bisogna dare di più” affrontando “le sfide che ci pone la ricostruzione” postpandemica.

La pandemia, ha ricordato Draghi, minaccia non solo l’economia, ma anche “il tessuto della nostra società, così come l’abbiamo finora conosciuta; diffonde incertezza, penalizza l’occupazione, paralizza i consumi e gli investimenti.” Cioè dà una mazzata proprio ai più giovani per i quali e con i quali la ricostruzione andrebbe impostata e realizzata. 

Poiché non c’è da illudersi che tutto tornerà come prima mentre è più probabile che si vivrà un inevitabile cambiamento, bisogna innanzitutto dare ai giovani la possibilità di esserne protagonisti nella gestione. Anche perché non va dimenticato che da tutte le più recenti crisi economiche dal 1973/74 in poi si è sempre usciti con non trascurabili vantaggi nel mondo della produzione ripresa anche con maggior lena e migliori risultati del periodo pre-crisi, ma sempre a spese di tagli nella occupazione.

È difficile prevedere quando e come si uscirà dalla crisi pandemica, ma non bisogna perdere la strada. E per farlo è, ancora una volta, prezioso il suggerimento di Draghi il quale ha detto che “Vengono in mente le parole della ’preghiera per la serenità’ di Karl Paul Reinhold Niebuhr che chiede al Signore: «Dammi la serenità per accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso cambiare, e la saggezza di capire la differenza».

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