SOCIETÀ

Giustizia climatica e diritti delle popolazioni indigene secondo Chase Iron Eyes

Sta emergendo in modo sempre più chiaro che il cambiamento climatico non è una crisi esclusivamente ambientale. Uno degli impegni che i leader dei Paesi più ricchi dovranno dimostrare di saper mantenere alla COP26 di Glasgow, la conferenza sul clima dell’Onu prevista dal 31 ottobre al 12 novembre, è quello di destinare 100 miliardi di dollari (promessi già alla COP21 di Parigi) alle popolazioni che risultano più vulnerabili al cambiamento climatico pur avendo, queste ultime, contribuito in minima parte, quasi nulla, alle emissioni di anidride carbonica che causano il riscaldamento globale.

Si parla perciò di giustizia climatica, una questione sociale prima ancora che ecologica, che sarà anche al centro di una conferenza internazionale prevista per il 27 ottobre e organizzata dal centro di eccellenza Jean Monnet dell’università di Padova, coordinato dal geografo Massimo De Marchi e dedicato, il centro appunto, alla giustizia climatica.

“L'aspetto centrale di questo evento è far dialogare le comunità scientifiche con la società civile e i decisori politici sui temi inerenti alla giustizia climatica” spiega Salvatore Pappalardo, geografo membro del comitato scientifico del Centro Jean Monnet. “Nello specifico la conferenza vuole portare all'attenzione e chiarire la differenza tra "Carbon neutral" e "Carbon zero", con una particolare attenzione alle politiche per la transizione energetica e al tema del cosiddetto "Unburnable carbon", ovvero il carbonio che deve rimanere nel sottosuolo, soprattutto in aree ad elevata sensibilità biologica e culturale.

“Il programma è ricco e si parte con un intervento accademico della collega Meike Becker del Geophysical Institute, università di Bergen, e parte del board del Global Carbon Budget che pubblica un rapporto annuale sul bilancio del carbonio. Si conclude invece con le voci della società civile dell’organizzazione COP26 Coalition, che si stanno mobilitando in occasione del Summit climatico di Glasgow. Tra i vari interventi, segnalo il Dott. Harjeet Singh, portavoce della campagna per il trattato di non proliferazione dei combustibili fossili (Leave it underground: the Fossil Fuel Non-Proliferation Treaty) e l’avvocato Luca Saltalamacchia, della campagna Giudizio Universale”.

All’interno della conferenza interverrà anche Chase Iron Eyes, portavoce del Lakota People’s Law Project e membro degli Oglala - Lakota, una popolazione di nativi americani a loro volta parte dei Sioux (di cui faceva parte Toro Seduto).

A partire dal 2016 il popolo Lakota ha preso posizione contro lo sviluppo di un oleodotto, il Dakota Access Pipeline della società Energy Transfer Parners, che attraversa le terre native dei Lakota e che questi ultimi vedono come responsabile dell’inquinamento delle acque e dei terreni di quei luoghi.

Abbiamo avuto modo di intervistare Chase Iron Eyes, studioso della cultura tradizionale dei nativi americani, e di chiedergli cosa sia per lui e per le popolazioni che rappresenta il cambiamento climatico. “Il cambiamento climatico per noi è un rendersi consapevoli, è la specie umana che si assume la responsabilità di ciò che ha fatto, in termini dello stile di vita che ha propagato nel mondo. Uno dei nostri più grandi leader ha diffuso una profezia, il suo nome è Chief Frank Fools Crow, e ha detto che solo se il mondo sarà in grado di rimettere la terra in mani indigene il mondo potrà ricominciare a guarire. Dirò quindi che la giustizia climatica è una questione molto seria per noi e i nostri figli sono profondamente consapevoli della crisi che hanno ereditato. Ma non è troppo tardi".

Gli abbiamo chiesto cosa è accaduto nelle sue terre native, in riferimento allo sviluppo dell’oleodotto Dakota Access Pipeline, se si sente adeguatamente rappresentato all’interno di quelle sedi istituzionali che prendono decisioni le cui conseguenze ricadono anche sulle vite dei membri del suo popolo, e se esiste una connessione tra perdita di biodiversità e diritti delle popolazioni indigene.

Intervista a Chase Iron Eyes. Montaggio di Elisa Speronello

Mi chiamo Chase Iron Eyes sono nato nelle Black Hills, in quello che è chiamato Sud Dakota nelle mappe degli Stati Uniti, e sono cresciuto nella Standing Rock Nation, a volte chiamata riserva Standing Rock che non è il nome che diamo noi a questi luoghi, ma ora vivo nella terra di mio padre che è la riserva Pine Ridge, sempre in quello che è noto come Sud Dakota, e ora sono un padre, un marito e un rappresentante legale che lavora per la leadership tradizionale della nostra nazione, il popolo Lakota, la nazione Sioux, e per un movimento che lavora per riportare la nostra comunità a uno stato di stabilità e di prosperità. Come sai ora siamo occupati dagli Stati Uniti ed esistono antiche e ormai superate forme di oppressione legale ed economica che affliggono le nostre vite quotidiane. Per questo stiamo compiendo un lungo viaggio per riprenderci la nostra dignità e tutto quello che faccio è legato a questa visione d’insieme. E sono molto felice di poter dire che sono stato in Italia due volte, con mia figlia e mia moglie, ho visitato Firenze, la Toscana, Bologna, Cervia, Venezia. Portiamo avanti la tradizione di Sitting Bull (Toro Seduto) e Black Elk (Alce Nero), che pure hanno viaggiato in Italia per costruire relazioni e rafforzare la nostra amicizia e la nostra condivisione di conoscenze come popoli, come nazioni.

Che cos’è il cambiamento climatico per lei e per la comunità che rappresenta?

Il cambiamento climatico per noi è un rendersi consapevoli, è la specie umana che si assume la responsabilità di ciò che ha fatto, in termini dello stile di vita che ha propagato nel mondo. Significa che dobbiamo pienamente prendere consapevolezza di quella che noi chiamiamo una mitologia culturale moderna, in cui vediamo come supremi guardiani o verità l’efficacia del razionalismo scientifico, l’illuminismo, la supremazia tecnologica. Abbiamo creato una vita di comodità per la specie umana a detrimento dei nostri avi, secondo la nostra tradizionale visione del mondo. La specie umana, la specie su due gambe, è la più giovane figlia dell’essere che fa muovere la Terra in un moto sacro, e la specie umana è solo un membro di quella famiglia. Quindi il cambiamento climatico e la giustizia climatica per noi significano che dobbiamo tornare a una visione del mondo in cui usiamo la scienza e la tecnologia per creare armonia con l’ambiente che ci ha fatto nascere e che ci ha garantito il sostentamento. Sta all’essere umano riconoscere che c’è una relazione qui e dobbiamo usare le nostre migliori abilità per cambiare cammino. Sai che abbiamo un’impronta carbonica molto grande, stiamo avvelenando le acque della Terra, non abbiamo alcun rispetto dei siti sacri e delle realtà metafisiche sacre che sono a nostra disposizione, e questo avviene ovunque nel mondo. Quindi tutto questo per noi è parte del nostro viaggio e della nostra profezia. Uno dei nostri più grandi leader ha diffuso una profezia, il suo nome è Chief Frank Fools Crow, e ha detto che solo se il mondo sarà in grado di rimettere la terra in mani indigene il mondo ricomincerà a guarire. Dirò quindi che la giustizia climatica è una questione molto seria per noi e i nostri figli sono profondamente consapevoli della crisi che hanno ereditato, ma non è troppo tardi, non è mai troppo tardi per prendere coraggio e prendere posizione contro quei conglomerati corporativi, estrattivi e finanziari che hanno portato la battaglia di fronte alla mia porta di casa. A proposito di Standing Rock, non è mai troppo tardi per riconoscere che abbiamo diritti naturali, abbiamo diritti di nascita, diritti derivanti da trattati, diritti costituzionali e diritti umani e dobbiamo essere disposti a difendere questi diritti a tutti i costi. Ci troviamo in questa dinamica, in questa dialettica, ed è questo che sono per noi il cambiamento climatico e la giustizia climatica.

Cos’è accaduto nelle vostre terre native, in riferimento allo sviluppo dell’oleodotto Dakota Access Pipeline?

Mi sono candidato per il Congresso degli Stati Uniti nel Nord Dakota e ho perso le elezioni (del 2106, ndr). Allo stesso tempo Kelcy Warren che è amministratore delegato di una grande compagnia petrolifera chiamata Energy Transfer Partners ha annunciato l’intenzione di mettere un’infrastruttura energetica nel nostro territorio, nella terra nativa della nostra nazione, la nazione Sioux, la nazione Lakota. Ma la repubblica americana non riconosce i nostri diritti legali e questo per via della “dottrina della scoperta”, che fu diffusa non solo dall’Italia ma anche dalla Spagna e affonda le sue radici nel 1400, quando Cristoforo Colombo approdò lungo le nostre coste, il papa e il Vaticano hanno giocato un ruolo decisivo per le sorti delle popolazioni indigene. Per via di queste dottrine Kelcy Warren e Donald Trump si sentono autorizzati a trattarci come se non avessimo diritti, come se fossimo sub-umani, come se potessero costruire questi oleodotti e noi non ci opponessimo. Quando un essere umano è messo in un angolo e si sente minacciato tenderà a difendersi. Questo è quello che abbiamo fatto. Abbiamo adottato una presa di posizione cerimoniale, non violenta, di preghiera, contro coloro che continuano a istigare violenza contro di noi: Kelcy Warren, Energy Transfer Partners e contractors militari di una compagnia di sicurezza privata sono venuti nella nostra terra e si sono infiltrati nei campi di resistenza che minacciavano il loro ordine mondiale petrolchimico. Queste sono le stesse persone che determinano e dettano le politiche energetiche degli Stati Uniti e le sue politiche estere, che a volte sono la stessa cosa! È per questo che siamo in Medio Oriente, o perché ci sono stati attacchi terroristici contro gli Stati Uniti, è perché siamo dei bulli! Le nazioni indigene che hanno firmato trattati con gli Stati Uniti stanno dicendo ai leader degli Stati Uniti che noi siamo ancora qui, che le nostre terre, le nostre acque e i nostri siti sacri sono inviolabili, che non possiamo vivere senza la loro integrità e la loro santità. Noi ci siamo adattati e ci siamo evoluti, conosciamo le tecnologie dell’industria, il loro linguaggio, e stiamo tentando di tendere le mani e insegnare alle persone del mondo occidentale civilizzato che noi abbiamo molto da offrire. A Standing Rock 850 persone furono arrestate [da agosto 2016 a febbraio 2017, ndr], io fui minacciato con 6 anni di prigione, mi hanno denunciato per aver istigato una rivolta, semplicemente perché ho condiviso due dirette sui social media, invitando media, avvocati, rappresentanti legali, osservatori e altri a venire e prendere posizione con noi per difendere la Madre Terra e la nostra sovranità come popolazione indigena [le accuse contro Chase Iron Eyes sono cadute dopo un processo tra il 2018 e il 2019. Il Dakota Access Pipeline invece è in funzione da giugno 2017, ndr]. È davvero traumatico come le persone siano state brutalizzate, come le vite delle persone siano state messe in pericolo ed è stato un precursore di quello che il mondo ha visto con l’assassinio di George Floyd e il potenziamento di uno stato di polizia militarizzato. Coloro che amano la libertà, la giustizia e l’uguaglianza non possono abbandonare questa dinamica, dobbiamo sempre difendere quei diritti che per noi sono sacri e che per noi sono preziosi.

Che cos’è il Lakota People’s Law Project e che ruolo ha avuto in questo processo?

Lakota People’s Law Project è un’organizzazione di cui sono entrato a far parte dal 2012 perché combatteva contro il prelievo dei bambini nativi americani in violazione della legge statunitense e li mettevano in istituti che non sono affatto di supporto all’identità indigena, e perché combatteva contro la cancellazione culturale del genocidio. Queste scuole residenziali non sono scuole, ma piuttosto chiese o campi di concentramento. E per via della nostra capacità di sopravvivere e adattarci a torti che abbiamo subito ho aderito al Lakota People’s Law Project e nel 2016 quando è finita la mia corsa per il Congresso degli Stati Uniti, proprio perché sono un avvocato, uno studioso, un filosofo che ha studiato la visione del mondo antico del popolo Lakota sentivo che era mia responsabilità fornire un fondamento spirituale e legale alle ragioni per cui noi stavamo lì ai campi di resistenza combattendo contro le industrie estrattive. È per questo che ho comunicato al mondo e a coloro che erano lì sul campo che noi, la nazione Sioux, abbiamo un diritto su quei territori che viene prima di tutto, abbiamo il diritto di stare lì seppur non ci sia concesso di stare lì dal 1889, quando gli Stati Uniti ci hanno detto “noi confineremo voi indiani”, è così che le riserve sono cominciate: campi di prigionia di guerra, luoghi di confinamento. Ora sono le nostre terre e stiamo ancora tentando di creare opportunità per tutti noi e di unirci alla famiglia delle nazioni del mondo. Quindi la mia organizzazione, Lakota People’s Law Project, stava esprimendo le proprie posizioni e difendendo i propri diritti di sovranità e di eredità, di nascita, naturali, diritti umani, di tutti quelli che appartengono a Standing Rock. Quando sono stato denunciato in quanto “criminale”, mi hanno denunciato per sconfinamento, ed è legalmente impossibile per me sconfinare nella mia stessa terra. Mi hanno denunciato anche per incitamento alla rivolta. Mi sono dovuto affidare a diversi avvocati per difendermi e siamo stati in grado di mettere in piedi un fronte che ha un impatto di proporzioni globali. Ciò che è accaduto a Standing Rock era una cerimonia, che ha toccato tutte le coscienze degli esseri umani sulla Terra che sono stati in grado di vederla, e riconoscere che viviamo il tempo di una profezia, e mettiamo i nostri corpi in prima linea, e nella nostra visione del mondo questa è una cerimonia in cui sacrifichi la tua sicurezza, i tuoi mezzi di sostentamento, il tuo corpo, per un bene superiore, per qualcosa di più grande di noi, che è la Madre Terra e i luoghi sacri. E noi siamo l’ultima linea di difesa al mondo: persone dei popoli indigeni e i loro alleati, coloro che hanno capito che dire la verità rappresenta qualcosa di redentore, rappresenta un aspetto di redenzione della nostra specie, in luce del cammino che abbiamo intrapreso. È così che la mia organizzazione è coinvolta in Standing Rock e combattiamo ancora per vedere riparata la nostra integrità territoriale, che Energy Transfer Partners sta calpestando e loro e gli Stati Uniti dovrebbero pagarci un indennizzo per sconfinamento nelle nostre terre. Ma spesso questi argomenti puramente legali incontrano solo orecchie sorde e dobbiamo allora portarli nelle strade delle città. Proprio perché gli Stati Uniti hanno mentito ai propri cittadini sulla schiavitù e sul genocidio e la supremazia culturale euro-americana, o dell’uomo bianco, che è dominante in questo Paese, e per tutti coloro che non si identificano con questo patriarcato normativo bianco ed etero, siamo in uno stato politico di tumulto, e ogni tanto capita che si veda questo Paese bruciare, come è successo quando è stato ucciso George Floyd, perché noi non abbandoniamo gli ideali per cui i nostri padri fondatori hanno combattuto. E siamo qui a insegnare e a dire che dobbiamo passare oltre le differenze e alcune delle malattie come il razzismo o l’oppressione religiosa o le differenze di genere e le discriminazioni. Siamo qui a dire queste verità e ogni tanto si vede che tutto questo esce dagli argini perché veniamo ignorati, ma non possiamo restare ignorati per sempre, ma vogliamo restare dalla parte della pace e in buone relazioni con il mondo.

La vostra è una battaglia locale con risonanza globale. Tra qualche giorno i leader mondiali si riuniranno a Glasgow per la COP26 per compiere azioni, si spera, contro il cambiamento climatico e a riguardo della transizione energetica. Le popolazioni indigene sono adeguatamente rappresentate in quest’occasione? E che cosa chiedereste?

È una bella domanda. Al momento mi trovo nella riserva Pine Ridge della nazione Oglala – Lakota dove negli anni ‘70 gli Stati Uniti hanno scatenato unna guerra civile in cui mia madre e mio padre sono stati pesantemente coinvolti, la mia famiglia ha versato del sangue perché gli Stati Uniti hanno dato munizioni e armi oltre che finanziamenti e protezione legale ad alcuni del nostro popolo che hanno commesso queste violenze. Dopo questo periodo alcuni leader indigeni come Frank Fools Crow e altri sono andati a Ginevra in Svizzera a quello che ora è diventato il G20. Le Nazioni Unite allora non sapevano come intavolare un discorso con le popolazioni che preesistevano alla nascita di nazioni come gli Stati Uniti, il Canada, la Nuova Zelanda, l’Australia. Ovunque dove vi fosse stato colonialismo le Nazioni Unite han detto “aspettate un attimo, non sappiamo come trattare con voi popolazioni indigene, vi chiameremo organizzazioni non governative”. Le popolazioni indigene stanno ancora lottando per venir riconosciute come Stato nazionale, per essere in grado di presentarsi alla COP26 con le nostre autorità rappresentanti, ma anche se non dovessimo essere in grado di ottenere ciò saremo comunque lì a dire le nostre verità al mondo e a far sapere al mondo, insieme a mia figlia, Tokata Iron Eyes, amica di Greta Thunberg (abbiamo ospitato Greta qui nella nazione Sioux e negli Stati Uniti 2 anni fa), che il complesso industriale petrolchimiche ci sta portando sul precipizio di un evento che ha le dimensioni di un’estinzione, sul precipizio di un collasso climatico, e che abbiamo ancora il dovere e le capacità di agire per cambiare il modo in cui le nostre economie creano valore e abbandonare il petrolchimico a favore di biocarburanti e altre soluzioni.

Voglio ricordare che uno dei nostri leader più importanti è il custode per la diciannovesima generazione della Sacred Calf Pipe (la pipa di bisonte sacro, ndr), che è l’equivalente forse del Sacro Graal per il mondo occidentale, è il custode del potere della nostra nazione e dice che non è un caso che noi siamo nati in questo periodo, un periodo critico, un tempo di profezia, e i poteri della creazione ci hanno posto qui per una ragione e noi dobbiamo perseguire questa ragione, non possiamo più stare inermi e lasciare che le compagnie petrolchimiche e l’oppressione fascista dicano a noi, gli esseri umani, come dobbiamo vivere le nostre vite. Questi stessi esseri umani possono compiere questi cambiamenti, ma devono essere forzati lungo questo cammino. Viviamo in un mondo in cui una grande compagnia petrolifera può avvelenare un intero fiume e tutto quello che ottengono è una multa. Nessun uomo viene in prigione perché ha distrutto un intero fiume. Nessuno statuto aziendale viene revocato per aver violato tutti i nostri diritti collettivi, ma quando le nazioni indigene prendono posizione per difendere le acque sacre e le terre sacre per come noi le conosciamo da forze violente, siamo noi che veniamo messi in prigione, sono io che vengo denunciato, è la mia salute mentale che viene minacciata perché potrei andare in prigione. Quindi la comunità internazionale è pronta per la verità, è pronta per ricevere le nazioni indigene in un dialogo da governo a governo, anche se questa volta andremo ad esprimere la nostra volontà attraverso uno stato di Ong, ma questo non significa che non avremo relazioni con l’unione interparlamentare o l’Itaia o la Danimarca o altri che sappiano che a noi spetta il diritto di essere ciò che siamo, di vivere senza oppressione di regole colonialiste e abbiamo bisogno di stringere amicizie e di farlo in modo pacifico, ma a volte questo significa prendere posizione contro coloro che usano la violenza nei confronti del futuro dei nostri figli e della Madre Terra.

Una delle minacce maggiori che stiamo affrontando come comunità globale è la perdita e il collasso della biodiversità. Esiste una connessione tra la protezione dell’ambiente e della biodiversità da un lato e diritti delle popolazioni indigene dall’altro?

I nostri popoli, le nazioni indigene, hanno una responsabilità cosmologica nel proteggere e preservare le entità non umane come gli animali (anche se non li chiamiamo animali), come le piante. Questi sono i figli della creazione che hanno sostenuto la vita sul nostro pianeta per milioni di anni, miliardi di anni, e siccome abbiamo bisogno che le acque siano pulite e che la biologia dell’ecosistema in salute le nazioni indigene fanno ogni anno cerimonie con la Madre Terra e rinnoviamo il nostro impegno all’universo sacro. Quindi quando la biodiversità è minacciata le popolazioni indigene lo avvertono per prime perché siamo connessi alla terra, dipendiamo dalla terra. E anche se siamo solo il 5%, una piccola popolazione nel mondo, sediamo sul 20% dei territori della Terra e l’80% della biodiversità vive in quei territori dove noi viviamo. Quindi le nazioni indigene sono connesse alla capacità di sopravvivere del pianeta. Dirò che la nostra cosmologia ci dice che il nostro sangue, la nostra carne sono fatti del sangue e della carne della Madre Terra e le nostre ossa sono fatte della sostanza di ciò che ora chiamiamo la Roccia, la roccia della Madre Terra che è uno spirito nella nostra visione del mondo. E l’essere umano, più mette a tacere il rumore meglio può riconoscere che ogni respiro è un’esperienza unificante, un’espressione divina della nostra connessione e della nostra interdipendenza dalla Madre Terra e dalla biodiversità e dell’universo inconoscibile e infinitamente in espansione. Gli esseri umani sono parte di questa creazione e siamo stati sviati dalla civiltà occidentale, tutti noi. Ma ora noi siamo qui e abbiamo la capacità di cambiare la nostra realtà e riprenderci la nostra metafisica sacra. Questo è quello che stiamo facendo, questo è il cammino che stiamo percorrendo, e sono onorato di poter condividere un po’ di questo cammino e la nostra prospettiva.

Siamo noi che siamo onorati di averla avuta con noi, grazie delle sue parole e del suo tempo, è stato un piacere parlare con lei Chase Iron Eyes, il miglior augurio per tutti i suoi progetti.

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