Il carcere dell'Asinara
In tutto il mondo vi sono oggi appena una settantina di isole che misurano più di diecimila chilometri quadrati, solo due nel Mediterraneo, entrambe italiane, ovvero Sicilia e Sardegna (Cipro, Corsica, Creta sono un po’ più piccole). Le italiane “maggiori” sono anche regioni a statuto speciale (per autonomia e poteri), hanno geografia mediterranea e storia umana antichissime e complesse (comunque meticce), fra l’altro molto diverse l’una dall’altra. Tutte le altre isole italiane sono “minori”, sopra cento chilometri quadrati ve ne sono soltanto due (Elba in Toscana e Sant’Antioco in Sardegna), sopra cinquanta appena altre tre: Pantelleria in Sicilia, San Pietro e Asinara a sud ovest e a nord ovest della Sardegna. Segue la mitica Ischia in Campania (46,3, 5 comuni), ma la graduatoria è ovviamente diversa se si prende in considerazione la densa quantità dell’umana popolazione: Ischia che è l’ottava per grandezza diventa la terza abitata dopo Sicilia e Sardegna, seguono le “piccole” Venezia e Chioggia, poi la maggiore delle minori, l’Elba (8 comuni). L’Asinara non la trovate proprio in “classifica” visto che teoricamente il residente è uno solo. La settima e splendida isola italiana dell’Asinara, tanto istituzionalmente famosa quanto ancor poco conosciuta, è ora disabitata? Come è potuto accadere? Meglio o peggio per noi innamorati della Sardegna, di quell’isola, degli ecosistemi insulari, della vita sociale? Meglio, spieghiamo bene perché.
L’Asinara (Herculis insula, Herculea, Asenara, Sinaria) è un’ampia isola di 5.190 ettari nel nord ovest della Sardegna. Oggi fa parte del comune di Porto Torres (oltre 21.000 abitanti, in provincia di Sassari), costituendo la metà del complessivo territorio; possiede 113 km di frastagliate coste sulla rotta di popoli mediterranei con evidenti reperti nuragici. Geologicamente, si staccò dalla terraferma sarda a seguito di movimenti della crosta terrestre risalenti al Mesozoico-Cenozoico ed era originariamente costituita di rocce sedimentarie vulcaniche, poi divenute scistose metamorfiche con affioramenti granitici; seguì ovviamente l’evoluzione del Mediterraneo rispetto ai cambiamenti dell’altezza del livello del mare e della biodiversità. Da decine di millenni non fa parte di un arcipelago, restando molto vicina alla terraferma. Assomiglia a una mezzaluna allungata in senso sud ovest-nord est, sopra il comune (attuale) di Stintino e la minuscola isola Piana, separata da uno stretto di pochi metri di profondità. Mostra una forma a “nodi”, con quattro minimi rilievi collinari (la Punta della Scomunica è sui 408 metri) uniti da istmi e sentieri di granito.Naturalisticamente la flora è da area semi-arida, con il cespuglioso fiordaliso spinoso e la salicornia, la mattiola di Cala Sant’Andrea, il limonio di Campo Perdu, i lecci rimasti a Elighe Mannu e la macchia mediterranea di Cala d’Oliva; la fauna presenta specie cosiddette native (magnanina sarda, marangone dal ciuffo, gabbiano reale, falco pellegrino e il raro gabbiano corso) o introdotte da generazioni (come gli insoliti asinelli bianchi albini, o i recenti mufloni e cavalli); magnifico risulta l’ambiente marino, estese e integre praterie di posidonia e tartarughe aragoste cernie brune, i popoli dei fondali.
Non tutto si sa in ordine alla presenza umana nell’antichità. Ma gli abitanti furono sempre pochissimi, nell’ordine di poche centinaia, spesso indotti da presenze stagionali o allontanati da esodi improvvisi: pastori contadini pescatori (di tonni e coralli) di varie provenienze (molti dalla vicina Corsica); poi, in vario modo, anche soldati monaci corsari nobili villeggianti e pure infetti medici infermieri (per una sorta di quarantena sanitaria internazionale). Fatto sta che, fino al 1885 l’Asinara era abitata in modo stanziale, dopo non più. Fu destinata solamente a uso detentivo, abitata all’inizio da infetti e assistenti da una parte da carcerati e carcerieri dall’altra, con esistenze intrecciate. Dal 1885 per oltre un secolo l’isola ha svolto una funzione esclusiva di isolamento obbligato (come tante altre isole mediterranee e mondiali): all’inizio lazzaretto sabaudo e colonia agricola penale (con distaccamenti su tutta l'isola), poi dopo la prima guerra mondiale campo di concentramento e confino fascista (1930-1943), casa circondariale, carcere di massima sicurezza. Lo stabilimento penitenziario, articolato in diverse diramazioni, è rimasto attivo fino al 1998.
Nel 2002, infine, l'intera isola è stata dichiarata Parco nazionale dell'Asinara. Contornata da un’area marina protetta, è uno dei pochi casi al mondo di isola relativamente grande, tutta la superficie interna parco nazionale terrestre e tutte le acque intorno area marina protetta, senza nuclei residenti stabili e con severi criteri anche per la ricettività turistica, uno stupendo luogo da godere (se vi capita) con garbo, cura, onore e disciplina, nei mesi di questa calda estate 2022 (o in futuro). Si tratta di oltre 150 chilometri quadrati di valori naturalistici gestiti nel nome della salvaguardia ambientale e sociale da un ente unitario che fa riferimento allo Stato, il Ministero oggi della Transizione Ecologica, alla Regione, alla provincia di Sassari e al comune di Porto Torres, commissaria straordinaria Gabriela Scanu (il nuovo Presidente o la nuova Presidente dovrà essere presto nominato), direttore Vittorio Gazale (che vi ha fatto il ricercatore dal 1987 e fu il primo dipendente fin dal giugno 1999, con il nuovo incarico dal settembre 2019).
La storia moderna del carcere dell’Asinara ebbe inizio nel 1885 con l’istituzione di una Stazione Sanitaria (era quella l’urgenza) e di una Colonia Penale (come già accaduto su altre isole italiane, lì soprattutto per far lavorare i detenuti alle strutture sanitarie). L’isola fu requisita dallo Stato italiano, i quasi cinquecento abitanti delocalizzati, pastori e contadini nelle aree interne della Nurra tra l’Argentiera e Castelsardo, pescatori a fondare il borgo di Stintino nel comune di Sassari dove già c’era una tonnara (in modo di poter continuare a lavorare). Sull’isola gli sparsi insediamenti erano funzionali al lavoro agricolo dei carcerati (a Cala d’Oliva e ai Fornelli), all’inizio in parte destinati a rendere la zona di Cala Reale accessibile a concentrare e separare i malati a seconda della patologia infettiva (immaginatevi un enorme ospedale Covid-19), dove passarono decine di migliaia di contagiati civili e coatti (24.000 prigionieri di guerra, soprattutto austro-ungarici, solo nel 1915-16, dei quali 7.000 deceduti e il resto “salvati” attraverso una lunga via crucis verso la guarigione).
Sul finire degli anni Trenta, a seguito della guerra d’Abissinia, vi furono incarcerati prigionieri etiopi tra cui anche la figlia del Negus. A partire dagli anni settanta, su indicazione del Generale Dalla Chiesa, emerse una sorta di doppio regime penitenziario: da una parte distaccamenti di lavoro all’esterno per allevamento zootecnico, dall’altro trasformazione di parte dell’isola (a cominciare dalla diramazione di Fornelli) in carcere di massima sicurezza, per condannati per sequestro di persona, per appartenenti alle Brigate Rosse (tra cui Renato Curcio, Maurizio Ferrari, Roberto Ognibene, Alberto Franceschini e Lauro Azzolini, responsabili il 2 ottobre 1979 di una clamorosa rivolta per protestare contro la durezza delle condizioni di reclusione) e boss di mafia, camorra e altre organizzazioni criminali.
L’isola carcere ha conosciuto poche evasioni riuscite, quella più nota è del bandito sardo Matteo Boe che riuscì a fuggire il 1 settembre 1986 a bordo di un gommone. Uno degli ultimi mafiosi detenuti nell’isola è stato Totò Riina, rinchiuso in un bunker a Cala d’Oliva, dal 21 dicembre 1993 al luglio del 1997. Nell’agosto 1985 soggiornarono all’Asinara nella foresteria sempre di Cala d’Oliva (per motivi di sicurezza) i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (qualche riferimento a quegli anni), durante le lunghe complesse settimane impiegate per la stesura definitiva dell’ordinanza di rinvio a giudizio nella fase istruttoria del cosiddetto maxiprocesso (oggi è la sede del corpo forestale regionale e vi è stato organizzato un piccolo museo alla loro memoria). Innumerevoli sarebbero le ricerche storiche da fare sui malati e sui detenuti transitati per l’Asinara negli ultimi due secoli, su chi li assisteva, su chi vi è morto, sulle avventure insulari. Oggi è un parco che conserva memoria naturalistica e antropologica.
La trasformazione dell’Asinara da isola-penitenziario in ecosistema di godimento ecologico è esemplare rispetto alla storia di realtà analoghe. Il suo inizio risale a circa trent’anni e il conseguente percorso è stato complesso e contraddittorio. La legge quadro sulle aree protette (n. 394 del 6 dicembre 1991) istituì, infatti, il Parco nazionale del Golfo di Orosei, Gennargentu e dell’isola dell’Asinara, assurdamente comprensivo di entità geografiche separate e lontane centinaia di chilometri. La legge, per di più, si limitò a “prefigurare” il parco, rendendone l’istituzione solo eventuale, subordinata al perfezionamento, entro sei mesi, di un’apposita intesa tra Stato e Regione Sardegna. L’intesa, in realtà, intervenne ma non fu seguita da decisioni operative coerenti. Nel 1992 non vi era, in effetti, una reale volontà di istituire un parco. Piuttosto c’era un conflitto istituzionale sulla funzione dell’isola che era stabilmente, da oltre un secolo, un luogo di reclusione amministrato dal Ministero della Giustizia.
Chi era a conoscenza delle vicende dell’ordinamento penitenziario italiano ben sapeva che la previsione era di continuare a tenere detenuti sull’isola ancora molto a lungo. Pochi mesi dopo l’entrata in vigore della legge sui parchi (legge 394/1991) l’Asinara fu trasformata in supercarcere: cosa per molti versi comprensibile dato il contesto politico, sociale e criminale di quegli anni (in particolare dopo le tragiche uccisioni dei magistrati Falcone e Borsellino), caratterizzato dalla lotta alla mafia e alla criminalità organizzata, dalla necessità di rafforzare le misure di sicurezza e dalla scelta di imporre l’isolamento ai boss arrestati per bloccare le gerarchie e le libertà di manovra. Un decreto legge del 1992 finanziò un programma urgente di lavori mentre, in sede di conversione, si fissò al 31 dicembre 1995 il termine ultimo entro il quale sarebbe dovuta «cessare improrogabilmente l’utilizzazione, per finalità di detenzione, degli istituti penitenziari [...] dell’Asinara» ed essere realizzato davvero il parco sul territorio dell’isola.
Seguirono anni di scontro istituzionale aspro, senza esclusione di colpi, che riguardò diverse isole carcere. E ci furono anche proposte di mediazione. Per l’Asinara si ipotizzò anche di dividere l’isola a metà: in basso carcerieri e carcerati, in alto il vivente naturale libero. Infine impegno militante, lotta culturale, studi scientifici, pareri amministrativi, approfondimenti tecnici consentirono la destinazione a parco. Le misure provvisorie furono decretate già nel novembre 1997, nel 1998 il carcere venne definitivamente “svuotato” e si arrivò poi, dopo una lunga transizione, all’istituzione, fra agosto e dicembre 2002, sia dell’area protetta marina che dell’ente parco. Da quasi venti anni l’isola è esclusivamente un museo naturale pubblico a cielo aperto. Vi si sono girati vari film e moltissimi documentari. Vi arrivano circa 100.000 visitatori l’anno purtroppo perlopiù solo giornalieri (come fosse un monumento) e nei mesi torridi (come per il resto della Sardegna); invece si potrebbe restare almeno un paio di notti nelle strutture del Parco che garantiscono una buona offerta recettiva volutamente ridotta (una settantina nell’ostello, una decina alla locanda, alcuni nella foresteria per attività istituzionali e seminariali anche di studio e ricerca).
Il richiamo verso l’Asinara sta divenendo fortissimo, da parte di sardi (che l’hanno avuta requisita dallo Stato e necessariamente pochissimo frequentata), di turisti italiani (che molto apprezzano l’unicità dell’ecosistema), di turisti europei e mondiali (nonostante ancora fatichino a metterla nei propri itinerari), di vari visitatori specializzati sempre più appagati (per i fondali, l’apnea in profondità, le passeggiate esclusive, la mancanza di inquinamenti). Il successo è naturalistico in senso pieno, non solo balneare (anche per sostenibili sport acquatici), la scommessa è visitare approfonditamente senza risiedere stabilmente. Scegliete di restarvi una notte se potete, a primavera o in autunno preferibilmente. Sarà un’isola disabitata per tutti eccetto voi, disabitata come casa di tutto un anno, ben abitata come luogo di ecologia e cultura.
L’Asinara appare oggi al visitatore un ecosistema con un notevole livello di biodiversità, dove gli animali, sempre visibili all’interno di una vegetazione prepotente, si alternano a tracce della presenza umana con numerosi ruderi sparsi, testimonianze di passaggi stratificati nel tempo. Sono diversi i sentieri attrezzati dal parco che consentono di percorrere e scoprire i diversi specifici ambienti. Alla strada principale di 25 km con fondo in cemento integrato nel paesaggio che si snoda lungo il perimetro costiero, sono collegati dei sentieri sterrati, utilizzati in passato per attività prevalentemente pastorali, che costituiscono un’ottima risorsa per le attività escursionistiche e per la scoperta delle aree più selvagge e incontaminate. Su questa rete di sentieri sono dislocate le principali strutture dedicate all’informazione dei visitatori, agli osservatori di ricerca e alle sedi istituzionali degli enti istituzionali coinvolti. Ormai in Sardegna vi sono pure negozi di prodotti di bellezza realizzati con specie vegetali dell’isola. Notte e giorno, orizzonti e paesaggi, olfatti e viste, silenzi e suoni sono sanamente spettacolari.
La vita degli enti parco in Italia non è stata né ricca né facile, tuttavia restano un laboratorio ecologico istituzionale, un primo decennio stentato di insediamento, un secondo decennio di risorse grame e boicottaggi, un terzo decennio di lento progressivo consolidamento. Anche per i l’Asinara è andata più o meno così, purtroppo il ministero e le altre amministrazioni competenti (compresa la regione Sardegna) non sempre ci hanno creduto abbastanza. Si pensi che ormai l’ente Parco riceve, movimenta e investe oltre dieci milioni di euro l’anno (molto grazie a fondi europei). A fronte di continue lentezze e rigidità di chi dovrebbe collaborare, soprattutto a Cagliari (quasi un altro mondo). A fronte di un personale fermo all’assurdo DPCM del 2013 che poneva la pianta organica a 7 dipendenti (senza garantire comandi e pensionamenti, sicché oggi i dipendenti a tempo indeterminato in teoria sono solo 3)!