CULTURA

Inge Morath. Fotografare da Venezia in poi

Ottanta fotografie dedicate a Venezia per una mostra che offre complessivamente duecento scatti, tra reportage dal mondo e ritratti. L'incontro tra Inge Morath e la laguna è cruciale, determina una svolta: segna l'inizio della carriera della prima fotoreporter donna dell'agenzia Magnum.

Nel centenario della nascita di Morath (1923-2023), questa storia bella e poco nota viene raccontata in una mostra allestita a Palazzo Grimani, a Venezia (in magnifici spazi che meritano una visita, oltre l’esposizione).

Marco Minuz, co-organizzatore del progetto espositivo, definisce gli scatti di Morath, "la testimonianza di un rapporto, di una passione, di una necessità consolidatasi, progressivamente, con la macchina fotografica". E spiega a Il Bo Live: "A Venezia prenderà avvio la sua carriera [...] Quando tornerà in laguna per realizzare un reportage, a quattro anni di distanza dalla sua prima visita, estenderà il soggiorno restandoci circa sei settimane per rispondere a un interesse autentico e profondo per la città e per i suoi abitanti: le fotografie che abbiamo raccolto, circa ottanta, raccontano la Venezia degli anni Cinquanta, con piccoli scorci di quotidianità che mettono al centro sempre la persona, un filo rosso che accomuna le storie e le vite di tutti i fotografi dell'agenzia Magnum".

Servizio di Francesca Boccaletto e Massimo Pistore, traduzione di Elisabetta Tola

Inge Morath. Fotografare da Venezia in poi (18 gennaio - 4 giugno) è curata da Kurt Kaindl e Brigitte Blüml, con la direttrice del museo Valeria Finocchi. Presente a Venezia nei giorni dell'inaugurazione, Kurt Kaindl ha dialogato con Minuz, condividendo una attenta riflessione sullo sguardo, la carriera e l'anima della fotografa austriaca: "Il suo interesse principale era la bellezza, perché era convinta che questa potesse guarire il mondo".

"Tutti conosciamo l'espressione 'il momento decisivo', che è cruciale per la Magnum - spiega Kaindl -. È stato Henri Cartier-Bresson a coniare questa definizione e lei era la sua assistente, viaggiava con lui, era abituata a questo modo di lavorare. Avevano un occhio simile ed entrambi erano molto interessati all'arte, lei ha sempre raccontato che, quando viaggiavano e fotografavano insieme, andavano a visitare i musei, ad ammirare fotografie e dipinti. Guardando i lavori successivi di Morath si nota che è lei stessa ad applicare le regole utilizzate dagli artisti, infondendo, per esempio, una luce speciale sull'immagine". 

Alla fine degli anni Novanta Inge Morath inizia a scrivere Venedig, prefazione per il libro fotografico Venezia (edition Fotohof), pubblicato nel 2003. Morath muore a New York l’anno prima, nel 2002, senza riuscire a ultimare il testo: quest'ultimo resta introvabile per lungo tempo e non viene quindi inserito nel volume. Viene ritrovato a distanza di anni, tra gli oggetti lasciati dalla fotografa: è scritto in tedesco e inizia proprio con una dichiarazione d'amore per la città. Morath ricorda il suo primo incontro con Venezia, condivide i dettagli del viaggio del 1951, in compagnia del primo marito, il giornalista inglese Lionel Birch (da cui si separa nel 1954; diversi anni più tardi, nel 1962, sposa Arthur Miller, ma questa è un'altra storia), e di un destino di cui lei stessa prende consapevolezza proprio scattando le prime fotografie in laguna. In quegli anni lavora già alla Magnum, ha un buon occhio e non le manca la sensibilità, ma non è ancora una fotografa: grazie alla sua conoscenza della lingue, infatti, in agenzia si occupa di scrivere testi e didascalie per accompagnare gli scatti di altri, da Henri Cartier-Bresson a David Seymour, da George Rodger a Robert Capa.

Si può esplorare Venezia all'infinito Inge Morath

A Venezia tutto cambia. "Avevo con me una macchina fotografica, regalo di mia madre che per la maggior parte del tempo l'aveva tenuta fissata in cima al suo microscopio ma ora se ne era comprata una nuova. Quanto a me, non sapevo usarla e la perdevo spesso, anche se in qualche modo riuscivo sempre a ritrovarla [...] A Venezia pioveva. La luce era di una bellezza incredibile e all'improvviso mi convinsi della necessità di fotografarla: qualcuno doveva fotografare quella città. Chiamai alcuni fotografi, ma nessuno era interessato. Da Parigi, Bob (Robert) Capa si limitò a dire: Perché diavolo non la fai tu una fotografia, stupida?".

Così, dopo essere entrata in un negozio per comprare il rullino per la Contax, si apposta "in un angolo di strada dove la gente passava in un modo che mi sembrava interessante. Regolai l'apparecchio e premetti il pulsante di scatto appena tutto fu esattamente come lo volevo [...] Andai in giro per la città, fermandomi sui ponti, all'netrata delle chiese, in angoli che sembravano promettenti. Poi la pellicola finì. Ne comprai un'altra e in quell'istante decisi che avrei fatto la fotografa. Tenni segreta la decisione perché sembrava ridicola, e tutti sapevano che non avevo mai fatto una fotografia. Dovevo trovare la mia strada con qualsiasi mezzo, fare da sola il mio apprendistato. Ci volle più o meno una nno, e fu difficile, e bello".

Nel testo Venedig Morath racconta anche del suo ritorno, quattro anni più tardi, nell'autunno del 1955, per realizzare un reportage, per la rivista d'arte L'Oeil, dedicato alla scrittrice Mary McCarthy e al libro Venice Observed. Esplora la città accompagnata da un pittore locale, Bobo Ferruzzi, figlio di un noto antiquario e di una discendente della famiglia dei Balbi: lo incontra per caso, passeggiando tra calli e ponti, prima lo osserva dipingere, poi lo fotografa. Bobo diventa per lei una guida e un amico, le trova una buona pensione in cui alloggiare, la accompagna alla scoperta della Venezia più autentica e segreta. "Alzando lo sguardo mentre camminavo per i vicoli delle Fondamente Nuove, vedevo i panni stesi su fili legati tra un comignolo e l'altro, sembravano usciti da un quadro di Carpaccio. Dovunque le finestre avevano proporzioni di nobile eleganza, i portoni erano incorniciati di marmo [...] Dappertutto i gatti si stiracchiavano, sbirciavano dai davanzali delle finestre [...] All'interno dei musei era spesso molto buio e gli occhi impiegavano un po' ad adattarsi, ed era un bene perché eri costretto a guardare da vicino. Tiziano, Tintoretto, Bellini [...] Si può esplorare Venezia all'infinito".

Per Morath quel secondo soggiorno è esaltante, ricco di incontri, sorprese e rivelazioni tanto che, a distanza di molti anni, il ricordo di quel viaggio fa riemergere forti emozioni e rinnovati desideri che la porteranno a scrivere: "Naturalmente tornerò. Non ho finito, assolutamente no".

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