SOCIETÀ

Inquinamento dell’aria e cambiamento climatico: tutelare le persone fragili

Durante l’inverno, le ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale) del Veneto, dell’Emilia-Romagna e della Lombardia pubblicano, tre volte a settimana, dei bollettini sulla qualità dell’aria nelle rispettive regioni e sulla possibile allerta per i livelli di PM10. Nelle scorse settimane, i livelli di allerta sono rimasti invariabilmente alti. Come nel resto della pianura Padana, infatti, anche in Veneto l’aria è spesso sporca, con livelli di agenti inquinanti (tra tutti, particolato fine – PM10, composto da particelle il cui diametro minore di 10 μm, e PM2,5, inferiori a 2,5 μm –, azoto e monossido di carbonio) ben oltre le soglie consentite per legge.

Secondo la direttiva europea 2008/50/CE, recepita dall’Italia con il decreto legislativo 155/2010, i valori limite per la tutela della salute umana corrispondono a un massimo di 50 μg/m3 al giorno, da non registrarsi per più di 35 giorni all’anno, per quanto riguarda i PM10; per il monossido di carbonio, il limite è fissato a una media giornaliera di 10mg/m3 al giorno. Ebbene, nella pianura Padana il superamento di questi valori è tutt’altro che una novità. Complice la conformazione geomorfologica (la presenza di Alpi e Appennini limitano la circolazione dell’aria), l’altissima densità abitativa (che causa un aumento dei trasporti e degli impianti di riscaldamento in funzione) e il gran numero di aziende, allevamenti intensivi e attività agricole industriali, l’area è infatti stabilmente riconosciuta come una tra le regioni più inquinate dell’Unione europea. Nell’ultimo aggiornamento della classifica delle città più inquinate al mondo (tenendo in considerazione i livelli di PM2,5 nell’aria) stilata dalla piattaforma di informazione IQAir, Milano figura al terzo posto, preceduta soltanto da Chengdu, in Cina, e da Dhaka, in India.

Tutto questo inquinamento ha pesanti ripercussioni sulla salute pubblica, oltre che sul benessere di altri animali e piante. Infatti, gli agenti inquinanti sospesi nelle nuvole di smog che avvolgono le nostre città sono tossici, e possono contribuire all’insorgenza di tumori, malattie acute e croniche dell’apparato respiratorio, del sistema cardiovascolare, e possono perfino essere causa di patologie di natura neurologica.


LEGGI ANCHE:


 

L’inquinamento atmosferico è, oggi, il principale fattore di rischio ambientale per le morti premature nel mondo: è dunque un’emergenza da affrontare, e che interagisce con altre questioni scottanti legate al nostro rapporto con il mondo naturale. A dimostrare quanto questa interazione tra attività umane, tutela ambientale e salute umana sia stretta è proprio l’analisi del legame tra l’inquinamento atmosferico e il cambiamento climatico, entrambi effetti collaterali delle attività che connotano lo stile di vita odierno. Anche il cambiamento climatico, infatti, ha una significativa influenza negativa sulla salute umana, e l’ulteriore riduzione della qualità dell’aria proprio per via dell’aumento delle temperature atmosferiche ne è un esempio lampante.

Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica PNAS ha messo in evidenza i complessi legami tra salute ed eguaglianza sociale in relazione all’inquinamento atmosferico in un contesto di cambiamento del clima. Con un’analisi specificamente concentrata sul contesto statunitense, un gruppo di ricercatori delle università di Harvard e di Georgetown ha evidenziato come il tasso di esposizione a una bassa qualità dell’aria sia legato al contesto sociale ed economico nel quale si vive, e ha calcolato quali siano le misure più adeguate da adottare per ridurre l’esposizione agli inquinanti atmosferici con l’obiettivo di tutelare i più vulnerabili.

I ricercatori sottolineano che, in un modello business as usual, in cui non si prevede alcuna riduzione delle emissioni nei prossimi decenni, il numero di giorni all’anno in cui si renderà necessario diramare allerte per l’inquinamento atmosferico potrebbe quadruplicare entro il 2100. Questo aumento non interesserebbe, però, l’intero territorio nazionale (nel caso in analisi, gli Stati Uniti), ma si concentrerebbe in misura sproporzionata nelle aree in cui la popolazione è prevalentemente di colore, con redditi più bassi e case peggio isolate (questa caratteristica è importante nel misurare l’esposizione agli inquinanti atmosferici, poiché una casa meglio isolata fa penetrare negli ambienti chiusi quantità minori di agenti inquinanti). Entro la fine del secolo, dunque, le più frequenti allerte per l’inquinamento atmosferico potrebbero gravare in modo sproporzionato sulle popolazioni già marginalizzate per motivi etnici o socio-economici.

Questa ingiustizia, che lega la questione ambientale a quella sociale, deve essere affrontata – sostengono i ricercatori – attraverso interventi mirati di politica pubblica. Infatti, fare affidamento unicamente sulla capacità individuale di adattamento è irrealistico e rischioso. Irrealistico poiché non è detto che vi sia, tra i più esposti, una diffusa consapevolezza dei rischi per la salute determinati dall’esposizione prolungata agli inquinanti atmosferici, e non sempre gli individui agiscono in modo del tutto razionale; rischioso perché in molti casi i più vulnerabili non hanno modo di adattarsi (ad esempio, è il caso delle persone senzatetto, di coloro che lavorano all’aperto, o di famiglie che vivono in ambienti con una qualità dell’aria insalubre anche al chiuso).

L’implementazione di decise misure di mitigazione del cambiamento climatico (cioè, una drastica riduzione delle emissioni di gas climalteranti) si rende dunque necessaria anche per la tutela della salute delle fasce di popolazione più fragili. Tuttavia, gli autori della ricerca hanno dimostrato che i maggiori benefici si raggiungono combinando gli effetti delle politiche di mitigazione e adattamento. Da una parte, infatti, adeguate politiche di mitigazione riducono la necessità di adattarsi a un clima in rapido cambiamento e proteggono anche coloro che non hanno i mezzi per adattarsi; dall’altra parte, un certo grado di adattamento appare comunque auspicabile. Tra le misure di adattamento individuate come più efficaci dai ricercatori vi sono l’elaborazione di forme di compensazione per coloro che acconsentono a rimanere in luoghi chiusi per ridurre l’esposizione agli inquinanti atmosferici, il miglioramento della qualità degli edifici e l’aumento della consapevolezza sul tema.

Riconoscendo che i costi del nostro modello di sviluppo sono distribuiti in modo ineguale e agendo di conseguenza, con l’obiettivo di affrontare i problemi e, al tempo stesso, proteggere i più vulnerabili, si potrebbero salvare molte vite e rendere le nostre società più giuste.

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012