SCIENZA E RICERCA

Decarbonizzazione e aria più pulita: si eviterebbero molti decessi

La Pianura Padana è una delle aree più inquinate d’Europa. La concentrazione di particolato atmosferico PM 2,5 è in alcune città addirittura 4 volte al di sopra dei limiti indicati dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), pari a 5 microgrammi per metro cubo (µg/m3).

Il rapporto dell’Agenzia Europea per l’Ambiente riporta che nel 2021 l’esposizione al particolato fine, associato a malattie respiratorie e cardiovascolari, ha causato 46.790 morti in Italia. In Europa nello stesso anno è stato associato a 253.000 decessi.

Una delle principali conseguenze del cambiamento climatico in area mediterranea saranno fenomeni siccitosi più frequenti e intensi. Particolarmente preoccupante è quello che sta colpendo in questi giorni la Catalogna, che prova a reagire con razionamento idrico e desalinizzazione dell’acqua di mare. In Italia il timore è che la prossima estate possa replicare quella del 2022, quando il fiume Po ha raggiunto minimi che non si vedevano da 70 anni.

La prolungata assenza di precipitazioni rende l’aria particolarmente irrespirabile, soprattutto in quelle aree in cui i tassi di inquinamento sono già molto alti. In Pianura Padana alla formazione di PM 2,5 contribuisce anche l’elevata presenza di allevamenti, ma, ampliando lo sguardo a livello globale, alla formazione del particolato contribuiscono le stesse fonti che sono responsabili delle emissioni di CO2 e del riscaldamento globale.

Il consumo di combustibili fossili infatti, oltre alle emissioni di che alterano il clima, produce anche ossidi di azoto e di zolfo che si combinano in atmosfera con altre particelle (come ad esempio l’ammoniaca presente nei reflui zootecnici, ma non solo) e formano le polveri sottili, nocive per la salute umana.

Uno studio recente pubblicato su PNAS da un gruppo internazionale di ricercatori ha provato a calcolare gli effetti delle azioni di decarbonizzazione sulla riduzione delle morti premature nel corso del XXI secolo, per una migliore qualità dell’aria, oltre che per minore esposizione alle ondate di calore. Il lavoro ha considerato 4 Paesi asiatici (Cina, India, Pakistan e Bangladesh), dove i livelli di inquinamento sono tra i più alti al mondo, e gli Stati Uniti.

“Quantifichiamo questi benefici, mostrando che evitano milioni di morti premature ogni anno e che nelle aree asiatiche in via di sviluppo superano di gran lunga i costi della mitigazione”, riportano gli autori, che sottolineano quanto per queste ragioni sia infondata “la percezione, che rischia di rallentare la decarbonizzazione, secondo cui la riduzione delle emissioni ha bisogno di sacrifici nel breve termine mentre i vantaggi arrivano solo in futuro”.

I risultati, che sono una conferma anche di studi precedenti, sono particolarmente importanti per proseguire lungo la strada della transizione ecologica ed energetica, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. L’India infatti è ancora altamente dipendente dal consumo di carbone e registra livelli di PM 2,5 anche 10 volte superiori ai livelli di sicurezza fissati dall’Oms.

Avendo storicamente contribuito solo in minima parta alle emissioni responsabili del riscaldamento globale negli ultimi 200 anni, nelle ultime Conferenze sul clima, e in particolare alla Cop 26 di Glasgow, aveva fatto il valere il proprio diritto allo sviluppo, continuando a fare affidamento su risorse emissive e inquinanti, come i Paesi occidentali hanno fatto per decenni.

La consapevolezza che un minor consumo di idrocarburi ha effetti benefici riscontrabili nel breve periodo in termini di migliore qualità dell’aria e ridotta mortalità può ulteriormente incentivare l’allontanamento dai combustibili fossili anche in Paesi che come l’India hanno fissato l’obiettivo della neutralità climatica al 2070, invece che a metà secolo, sottolinea lo studio.

I ricercatori hanno simulato l’andamento delle concentrazioni di PM 2,5 in due possibili scenari: il primo di forte mitigazione, il secondo di elevate emissioni fino al 2100. In tutti e 5 i Paesi considerati, l’esposizione alle polvere sottili è molto più alta nello scenario più emissivo.

Nel trarre bilanci sulle conseguenze che ciò può avere sui tassi di mortalità occorre tuttavia fare attenzione: con il fisiologico aumento della popolazione infatti a fine secolo il numero di decessi nei Paesi considerati nello studio è destinato ad aumentare. Occorre pertanto considerare diversi fattori, non solo ambientali, ma anche socio-economici e soprattutto demografici.

Alcuni dati riportati nello studio infatti potrebbero apparire davvero controintuitivi, ma hanno invece una spiegazione coerente. “Si consideri ad esempio l’India a fine secolo, dove nello scenario di mitigazione le morti annuali collegate a PM 2,5 sono circa 2 milioni in più rispetto a quelle del periodo 2015 – 2019, primariamente per l’invecchiamento della popolazione, e i tassi di decessi a causa di PM 2,5 e calore sono più alti nello scenario di mitigazione rispetto a quello più emissivo”.

Un simile dato in realtà indica uno sviluppo positivo, scrivono gli autori: la longevità a fine secolo è sostanzialmente aumentata nello scenario di mitigazione e di conseguenza “si registra un aumento della mortalità causata da inquinamento e calore tra i più anziani che non sono deceduti prima per altre cause”.

L’inquinamento continuerà a essere causa di morte, anche nel caso in cui riusciremo nel corso dei decenni a contenere le emissioni climalteranti e ridurre le concentrazioni di PM 2,5 e altre polveri sottili. Coloro che arrivano a età più avanzatrestano, in media, i più fragili. Tagliare però questo venerabile traguardo, senza essere stati esposti tutta la vita ai rischi di un’aria malsana, è quello che le azioni di decarbonizzazione possono aiutarci a fare. Oltre a contrastare l’avanzamento del risaldamento globale.

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