SOCIETÀ

Lagarde e von der Leyen, politiche diverse di fronte alla crisi

Christine Lagarde e Ursula von der Leyen: per la prima volta l’Europa si prepara a fronteggiare una crisi gravissima con due donne ai vertici delle sue istituzioni. Lagarde, voluta da Macron alla guida della BCE, a suo tempo è stata scelta anche per portare avanti una politica di continuità rispetto al suo predecessore Mario Draghi; von der Leyen, messa a capo della Commissione Europea da Angela Merkel, avrebbe dal canto suo dovuto incarnare la faccia inflessibile e rigorista della Germania.

Eppure questi ruoli, attribuiti troppo frettolosamente, negli ultimi giorni sembrano quasi essersi rovesciati. Mentre con l’esplodere della pandemia la tedesca ha infatti subito mandato un messaggio di solidarietà all’Italia, provando persino a cimentarsi con la nostra lingua, la francese ha dichiarato né più né meno che le difficoltà finanziare dell’Italia non erano competenza della BCE: “We are not here to close spreads”, ha scandito sorridendo nella stessa conferenza stampa in cui annunciava una serie di misure per aiutare le piccole e medie imprese.

 

Lagarde ha cercato di correggere il tiro con dichiarazioni successive, così come altri membri della BCE, ma il danno era ormai fatto, con il crollo della borsa italiana che si è portato dietro tutti i principali mercati europei e americani. Tanto che alla fine l’Istituto di Francoforte ha subito non solo i rimproveri, prevedibili, del presidente del consiglio Conte e di un convinto europeista come il presidente della Repubblica Mattarella, ma persino un parziale smarcamento da parte di Emmanuel Macron.

Quasi a rispondere allo scivolone della collega, von der Leyen si è affrettata a rassicurare l’Italia promettendo misure concrete: le borse hanno risposto bene, l’Europa ha (forse) trovato la sua salvatrice. Qualche giorno dopo la presidente della Commissione è intervenuta anche per cercare di impedire il blocco del mercato comune, garantendo l'arrivo di apparecchi medicali in Italia ed evitando le chiusure delle singole nazioni. Anche se, secondo alcuni, si tratta anche di un modo per proteggere il fianco del governo federale tedesco, il quale – in barba al patto europeo di stabilità e crescita – ha annunciato un piano straordinario di 550 miliardi per sostenere l’economia.

Altri hanno anche messo in dubbio che quello della presidente della BCE sia stato un errore involontario; Lagarde non è certamente una persona inesperta: è stata ministro dell’economia e, soprattutto, a lungo direttrice del Fondo Monetario Internazionale. Le sue parole sono state sicuramente inopportune e sbagliate nella tempistica – come dimostra il fatto che sono state subito corrette – ma non riflettono forse le idee di una componente importante della classe dirigente europea?

Tanto più che dichiarazioni simili negli anni scorsi sono state fatte ripetutamente anche da Mario Draghi, sempre pronto a richiamare l’Italia a fare riforme per eliminare gli sprechi e riconquistare competitività sui mercati internazionali. Lorenzo Forni, economista dell’università di Padova, è sicuro nella sua analisi: “Quella di Lagarde è stata senza dubbio una leggerezza, vedete le correzioni fatte il giorno dopo da lei stessa e da vari membri della BCE. Al Fondo Monetario Internazionale, a cui era abituata, il grado di attenzione dei mercati è certamente diverso”. Ma se è così fosse, che fine farebbe l’autorevolezza dell’Istituto di Francoforte? “Difficile da dire, ma è certamente un bel colpo alla credibilità di Lagarde come banchiere centrale. Certamente nei confronti del mercato, mentre internamente può anche creare tensioni tra i falchi e le colombe: bisognerà capire quale nuovo equilibrio si realizzerà all'interno del governing council”.

Guarda l'intervista completa a Lorenzo Forni

Sta di fatto che, in una situazione d’emergenza come quella attuale, Lagarde e von der Leryen incarnano a loro modo due approcci distinti, anche se non opposti, alla costruzione europea. Una differenza che viene anche da due diversi percorsi professionali e politici.

Lagarde, 64 anni appena compiuti, potrebbe essere definita una tecnocrate a metà: si è formata nei grandi studi legali internazionali, ma spesso è stata vista con scetticismo dagli esperti perché non ha una specifica formazione economica e deve quindi fare molto affidamento sui suoi collaboratori. Inoltre su di lei pesa l’eredità di Mario Draghi, che durante il suo mandato ha lasciato un segno decisivo nel peso e nel ruolo attuali della BCE.

Dall’altro lato von der Leyen ha un profilo più politico: 62 anni, medico con sette figli e “conservatrice atipica”, deve la sua carriera politica soprattutto ad Angela Merkel, che dal 2005 l’ha sempre chiamata a far parte dei suoi governi. Intransigente sostenitrice dell’austerity ai tempi della crisi greca, successivamente si è accreditata come sostenitrice dei diritti civili – da convinta fautrice del riconoscimento dei matrimoni gay in Germania – e della Green economy. Guardata all’inizio con sospetto, oggi ha la possibilità di imprimere una svolta all’azione delle istituzioni europee, finora sopraffatte da una crisi in cui sono emersi soprattutto i singoli Stati (spesso con esiti tutt’altro che confortanti). Ci riuscirà?

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