SOCIETÀ

L'agonia del Venezuela, tra accuse di elezioni falsate e crisi economica

C’è chi l’ha definita una “farsa elettorale”, chi invece parla di “definitivo trionfo del chavismo”. Ma in Venezuela da anni va così: il confine tra cronaca politica e opinioni è piuttosto labile. La notizia più recente, sfrondata da qualsiasi pregiudizio, è che il Gran Polo Patriótico, l’alleanza che sostiene il presidente eletto, Nicolas Maduro, delfino e successore dell’ex presidente socialista Hugo Chavez, ha stravinto le elezioni parlamentari del 6 dicembre scorso, tornando ad avere la maggioranza anche dell’Assemblea Legislativa (253 seggi su 277), che nelle elezioni del 2015 era passata sotto il controllo dell’opposizione. A fronte però di un’astensione altissima: soltanto il 31% dei venezuelani è andato a votare. L’opposizione, che aveva invitato i suoi elettori a disertare le urne, perciò s’intesta il “merito” di questo risultato. Juan Guaidó, leader del partito di centro “Voluntad Popular” ed ex presidente dell’Assemblea, nel 2019, spalleggiato dal presidente americano Donald Trump, si era autoproclamato presidente transitorio del Venezuela (riconosciuto da 55 nazioni, compresi i più grandi paesi dell’Unione Europea, ad eccezione dell’Italia, che ha mantenuto una sostanziale “terzietà” senza schierarsi). Guaidò ha parlato in questo caso di “elezioni truffa”. Il vicepresidente americano uscente, Mike Pence, ha subito dichiarato che «gli Stati Uniti continueranno a riconoscere Guaidò come presidente». Mentre il segretario di Stato, Mike Pompeo, ha così commentato: «La comunità internazionale non può permettere a Maduro di rubare una seconda elezione, dopo quella del 2018». Anche l’Unione Europea ha fatto sapere di ritenere «non credibile» il risultato della consultazione elettorale. «Le elezioni per l’Assemblea nazionale venezuelana si sono purtroppo svolte senza un accordo nazionale sulle condizioni elettorali e non hanno rispettato gli standard internazionali minimi per un processo credibile e per mobilitare il popolo venezuelano a partecipare», ha affermato in una nota Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Ue per la politica estera. Risultato non riconosciuto anche dall’Osa (organizzazione degli Stati Americani) e singolarmente da diversi altri paesi (tra i quali Brasile, Perù, Ecuador, Gran Bretagna, Canada). A sostegno del presidente socialista si sono invece schierati Russia, Cina, Cuba, Turchia, Iran e Siria.

Elezioni falsate? Gli osservatori dicono di no

«Oggi il Venezuela si sveglia con una nuova alba di pace, gioia, unità e rafforzamento delle istituzioni democratiche», ha scritto Maduro su Twitter. La destra replica accusando apertamente il regime di atrocità: «Ci hanno imprigionato, ci hanno torturato e ci hanno assassinato, ma eccoci qui e qui saremo finché non vedremo il nostro Venezuela condurre a un paese libero, democratico e senza dittatura», ha replicato Guaidò, sul quale restano ombre per il presunto ruolo avuto nel fallito golpe dell’aprile 2019. Ma è pur vero che nessuno parla apertamente di brogli. Le elezioni dovrebbero essere considerate “falsate” (ed è questa la versione che viene presa per buona, senza nemmeno l’affiorare di un dubbio, in gran parte del resto del mondo), sulla base di quanto dichiarato prima del voto dallo stesso Guaidò: «Non ci sono le condizioni per elezioni libere, giuste, verificabili. Se io volessi candidarmi non potrei, per volere della dittatura. E, come me, altri 300 politici perseguitati dal regime». Come Leopoldo Lopez, l’ex sindaco di Caracas costretto a rifugiarsi in Spagna per sfuggire alla cattura, dopo aver tentato di rovesciare il regime nel 2019.

Tuttavia, per restare alle opinioni, è bene ricordare che le elezioni venezuelane sono state seguite da centinaia di osservatori stranieri provenienti da 34 paesi, invitati dallo stesso governo venezuelano (già alla fine del 2019) per garantire il rispetto degli standard di voto: «Che le Nazioni Unite osservino, che l’Unione Europea osservi, se lo desidera: noi siamo pronti a invitare tutti gli organismi e tutti i paesi in buona fede a inviare osservatori», aveva annunciato Jorge Rodríguez Gómez, vicepresidente del Venezuela e ministro del Turismo e della Cultura. Onu e Unione Europea hanno deciso di non inviare missioni. Tra gli osservatori internazionali presenti, anche gli ex presidenti dell’Ecuador, Rafael Correa, e della Bolivia, Evo Morales, che hanno pubblicamente sostenuto la piena legittimità delle operazioni di voto. Secondo Ignacio Ramonet, scrittore e giornalista spagnolo, direttore fino al 2008 del periodico francese Le Monde Diplomatique, appena tornato dal Venezuela, «l’Unione Europea non ha giustificazioni politiche per ignorare e dichiarare illegittime le elezioni parlamentari in Venezuela». Elogi anche da Danny Shaw, ricercatore della Public University di New York, che in un’intervista riportata dall’emittente televisiva venezuelana TeleSUR, ha ribadito la legittimità delle procedure elettorali. «Ho potuto verificare che tutto ciò che si dice negli Stati Uniti è una bugia: i venezuelani potrebbero benissimo dare lezioni di democrazia agli statunitensi». 

Tra corruzione e repressione: per Maduro una vittoria sbiadita 

Ora viene da chiedersi: tutti al soldo di Maduro? O viceversa, tutti coloro che denunciano le nefandezze della “democratura” (la democrazia mascherata da dittatura, come denuncia l’opposizione) sono a libro paga di Guaidò, e dunque degli Stati Uniti? Come dicevamo all’inizio: il confine tra cronaca e ideologia è assai labile quando si parla di Venezuela, da qualsiasi punto si osservi la situazione. L’unico binario che resta da seguire è quello dei fatti, e delle analisi che ne conseguono. Anzitutto non c’è dubbio che Maduro sia tornato al controllo totale del Paese. Ma questo non vuol dire automaticamente stabilità. Perché l’assenza dei partiti dell’opposizione alla consultazione parlamentare ha concesso di certo al Presidente una vittoria piuttosto semplice e con largo margine: come segnare a porta vuota e senza avversari in campo. Ma sul “valore politico” di questa affermazione c’è molto da dire. La scarsa affluenza fa sicuramente “sbiadire” il risultato (anche se non è un record assoluto: nelle parlamentari del 2005, con Chavez presidente, si presentò ai seggi appena il 25% degli aventi diritto), che nel 2015, con la destra schierata compatta, aveva perso il controllo dell’Assemblea Nazionale. Salvo poi esautorarla con l’insediamento di un’Assemblea Nazionale Costituente, un organismo parallelo (controllato pienamente dal presidente socialista) chiamato formalmente a elaborare una nuova costituzione, ma che di fatto svolgeva un ruolo legislativo e che “consentiva”, allo stesso Maduro, di ignorare le delibere dell’Assemblea Nazionale presieduta da Guaidò. Il che ha dato sostanza a quell’accusa di deriva autoritaria che la destra denuncia e che parte della sinistra, proprio per il distacco progressivo del governo dagli ideali chavisti di “socialismo democratico”, comincia a soffrire. L’Alternativa Popular Revolucionaria (Apr) si è così schierata non con il Partido Socialista Unido del Presidente, ma con il Partido Comunista, l’unico ammesso a partecipare: meno del 3% dei voti. Ma l’irruzione della polizia nella sede del partito proprio il giorno delle elezioni, con l’arresto di alcuni militanti comunisti, dà il senso della “frattura” (e dei modi prediletti da Maduro). Il che lascia ombre cupe sul suo futuro. Secondo il New York Times molti ex attivisti hanno cominciato a manifestare e a denunciare pubblicamente episodi di corruzione all’interno del governo. Il Presidente ha risposto ordinando una dura repressione contro i “dissidenti di sinistra”, al pari di quella riservata agli oppositori. 

Venezuela in una drammatica crisi economica

Nel mezzo di questo gioco delle parti, dove il vero e il verosimile si confondono, dove la verità andrebbe cercata osservandola da vicinissimo, resta il Venezuela. Travolto da una colossale crisi economica e sociale, di certo aggravata dalle sanzioni imposte dagli Stati Uniti (il danno stimato è di 200 miliardi di dollari) nel tentativo di dare la “spallata” definitiva a Maduro (spallata mancata: un altro fallimento della politica estera di Trump). In un anno l’inflazione ha superato il 4mila per cento. Nell’ultimo mese i prezzi al consumo sono aumentati del 65,7%. Ovunque, anche a Caracas, mancano acqua e gas, mancano i generi di prima necessità, è finita la benzina (ed è un paradosso per un paese che ha la più grande riserva di petrolio al mondo: conseguenza del tracollo dell’industria petrolifera), la corrente elettrica è spesso un optional. La carenza di generi alimentari è drammatica. La moneta locale, il Bolivar, vale talmente poco che ormai si paga quasi soltanto con dollari americani. Il Pil dovrebbe calare quest’anno del 15% (e la recessione va avanti dal 2014). L’Economist ha pubblicato i risultati di una ricerca condotta da tre Università venezuelane: il 79% dei venezuelani si trova attualmente in stato di estrema povertà, mentre il 30% dei bambini sotto ai 5 anni soffre di malnutrizione cronica.

Così chi può scappa (senza peraltro poter rientrare, con le frontiere chiuse al dilagare della pandemia da Coronavirus). Secondo l’Onu negli ultimi anni 5,4 milioni di venezuelani hanno lasciato il paese con ogni mezzo (spesso a piedi) per rifugiarsi altrove (soprattutto in altri paesi dell’America Latina e dei Caraibi). L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) hanno stimato che per far fronte ai bisogni primari dei migranti sarebbero necessari 1,2 miliardi di euro.

Bassissimo gradimento: è la sconfitta della politica

E’ il fallimento del Venezuela e della sua politica. E anche questo è un fatto. L’ultimo sondaggio effettuato dalla società Datanálisis prima delle elezioni rilevava che il 62% dei venezuelani non sostiene né il governo di Maduro né l’opposizione di Guaidò. «Qui non ci sono eroi politici», ha commentato José Antonio Gil Yepes, socio amministratore di Datanálisis. «Né il governo né l’opposizione attraggono o convincono. Ciò che spiega il fallimento dell'establishment politico in generale, è che stanno lavorando secondo i propri interessi, per arrivare o rimanere al potere. Ma non stanno accompagnando le persone nella risoluzione dei loro problemi quotidiani». Le percentuali di gradimento sono sconfortanti: Guaidó (che sta perdendo ulteriormente appeal) era al 27%, l’esiliato Lopez al 16,2%, Maduro addirittura al 14,4%: un dato che letto al contrario porta all’83% dei giudizi negativi. Il Libertador, come viene chiamato, ha ben poco da festeggiare. Ma sono tutti segnali che indicano come la crisi è ormai prossima all’irreversibile. Resta l’incognita Biden: come si comporterà il nuovo presidente degli Stati Uniti? Pino Arlacchi, sociologo ed ex funzionario dell’Onu, ha appena pubblicato un articolo sul quotidiano online l’AntiDiplomatico: «Sul Venezuela non credo che Biden effettuerà alcuna svolta radicale rispetto alla posizione di Trump», scrive Arlacchi. «Nel senso che non abolirà subito le sanzioni devastanti contro la popolazione di quella nazione. Penso che Biden procederà piuttosto a una graduale de-escalation dell’ostilità statunitense spalmata lungo l’intero arco del suo mandato». Tempi lunghi quindi. L’agonia del Venezuela è ancora lontana dalla fine.

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