SOCIETÀ

L'alieno nel piatto e l'impronta lieve sul pianeta

Tra acqua, vigneti, poche persone di passaggio all'ombra del campanile, eccoci a Mazzorbo, luogo incantato da raggiungere e scoprire con il giusto tempo. In quest'isola della laguna nord di Venezia, collegata alla più affollata Burano, si trova il ristorante Venissa (Stella Michelin e Stella verde Michelin) che oggi porta la firma di due chef, Chiara Pavan e Francesco Brutto. Proprio tra questi spazi - dagli esterni alla sala, fino alla cucina - anticipando di qualche ora il servizio, abbiamo incontrato Chiara Pavan: con lei abbiamo parlato di cucina ambientale e di paesaggio, specie invasive della laguna e cibo del futuro.

Determinata, competente, curiosa, Pavan ha una visione chiara e innovativa: "La mia idea è di mangiare e far mangiare quel che c'è", evitando ciò che sta scomparendo. Più precisamente, e per quanto riguarda le specie aliene invasive, di cui oggi tanto si parla, "l'obiettivo non è quello di sconfiggere l'invasore" ma di sfruttare quello che abbiamo in quantità, lasciando stare quello che stiamo perdendo. 

Quella pensata e proposta da Pavan e Brutto è una cucina ambientale, “che ha un duplice significato - spiega Pavan -, descrive il paesaggio che ci circonda e si prende cura dell'ambiente lagunare, in pericolo, di cui ho visto le trasformazioni in questi sette anni di lavoro a Venissa. Prendersi cura di un luogo così fragile vuole dire lasciare un’impronta lieve sul territorio: non utilizzare il pesce tradizionale che è quasi scomparso, individuare i prodotti a disposizione e, più in generale, proporre una cucina che abbia un impatto ambientale ridotto, con un menù più sostenibile".

Servizio di Francesca Boccaletto e Massimo Pistore

"A Venissa abbiamo degli orti, ma negli ultimi due anni è diventato tutto più difficile a causa della grande siccità dell'anno scorso, che ha causato la morte di vari alberi e di un terzo del vigneto e alla non produttività di tante piante che richiedono acqua, penso ai cetrioli. In generale, stiamo assistendo a un incremento della percentuale di sale nel terreno e questo oggi rende difficile la produzione di vegetali". Autoproduzione, anche se ormai solo parziale, "a cui si aggiunge l’utilizzo delle piante selvatiche. Con l'aumento della percentuale di sale sono infatti aumentate le piante alofite". Per quanto riguarda la proteina animale, a Venissa è stata fortemente ridotta. "I piatti plant-based occupano tre quarti del menù”, mentre per la (poca) proteina animale "ci siamo concentrati proprio sulle specie aliene invasive della Laguna e dell'Alto Adriatico".

Le specie aliene invasive sono state introdotte dall'uomo al di fuori del loro areale d'origine e hanno poi avuto un impatto diretto o indiretto sull'ambiente e sull'uomo stesso, causando danni all'ecosistema e all'economia: a spiegarlo è Filippo Piccardi, dottorando di Biologia marina all'Università di Padova. "Al momento la Laguna di Venezia è fortemente minacciata da queste specie, nel 2017 se ne contavano già oltre 75, un numero che si presume sia aumentato negli anni".

Il caso più eclatante è il granchio reale blu, callinectes sapidus, "ormai una delle maggiori specie invasive in tutto il mare Adriatico", e nel Mediterraneo. "Avvistato già alla fine degli anni Cinquanta in Laguna di Venezia, era poi scomparso per ripresentarsi qualche anno fa ed esplodere quest'anno, nel 2023". Tra le specie invasive troviamo anche la noce di mare, "che sta causando gravi danni alla piccola economia dei pescatori di Chioggia, Venezia e Burano perché, a causa della sua biologia caratterizzata da ermafroditismo simultaneo e grande voracità, riesce a predare uova, larve di pesci e tutto ciò che i pesci mangiano, causando una alterazione della catena trofica e una ostruzione fisica della rete da posta che il pescatore non riesce più a tirare su. Il pescato perciò risulta azzerato". Ai danni ambientali, con effetti a cascata che "senza azioni concrete e sistemi di controllo porteranno in un futuro prossimo a cancellare la ricchezza lagunare", si collegano quelli socio-economici: "Una omogeneizzazione dell'ambiente porterà a una riduzione del turismo, perché l’ambiente non sarà più ricco e vario, e la diminuzione del pescato porterà alla crisi della filiera ittica e, infine, a una crisi socio-economica, mancando una risorsa fondamentale come il pesce". 

Nel tempo, dunque, la laguna è cambiata: "Fino a qualche anno fa trovavo tante anguille, ora non ce ne sono praticamente più - racconta Chiara Pavan -. Lo stesso discorso si può fare per le seppie e le moeche stanno scomparendo. Parlo con i pescatori e mi dicono che negli ultimi vent'anni c'è stata una riduzione del 70% della fauna marina".

Specie che scompaiono e altre che prendono il sopravvento: "Il granchio blu è ormai molto presente in laguna: è un prodotto che noi abbiamo iniziato a usare già nel 2020. Non l'abbiamo mai tolto dal menù in questi tre anni. Oltre a questo, proprio con l'obiettivo di lasciar stare tutte le specie che stanno scomparendo, abbiamo cominciato a fare ricerca, con l'aiuto di una amica biologa, per capire quali altre valesse la pena utilizzare: penso alla rapana venosa, la anadara inaequivalvis, detta anche scafarca o scrigno di Venere, e il pesce serra”.

La cucina del futuro come sarà? "Come dovrebbe essere. Utilizzo il condizionale e non il futuro perché sono pessimista. Dunque, la cucina del futuro dovrebbe essere sicuramente più vegana: più vegetale, con meno proteina animale, quindi meno carne ma anche meno latticini, con meno pesce mangiato a caso, da consumare invece seguendo stagionalità ben precise". E Pavan conclude: "Ho fiducia nella ricerca. Quello che oggi viene visto come deleterio, penso invece che andrebbe guardato con interesse: mi riferisco alla carne coltivata, io sono molto aperta in tal senso":


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