CULTURA

L’arte che nobilita l’uomo: la collezione Torlonia

Pur essendo stata per pochi giorni aperta al pubblico, la mostra dedicata alla collezione della famiglia Torlonia a Roma è una tappa importante per l’arte italiana: sarcofagi, busti e statue greco-romano sono il cuore pulsante della più importante collezione privata di arte antica al mondo. L’esposizione si compone di 90 opere su 620, visitabile fino al 26 giugno 2021 nella nuova sede espositiva dei Musei Capitolini, nelle sale di Villa Caffarelli. L’allestimento è stato progettato da David Chipperfield Architects Milano e ispirato al catalogo del Museo Torlonia del 1884.

Questa sarà una delle prime tappe di un tour che porterà le opere nei musei internazionali più importanti, per concludersi poi con il ritorno a Roma per l’apertura, o per meglio dire “ ri-apertura”, del Museo Torlonia. Il percorso espositivo inizia con l’evocazione della storica galleria, voluta da Alessandro Torlonia e attiva fino alla metà del Novecento, per poi andare a ritroso e articolarsi in cinque sezioni che raccontano non solo la storia del collezionismo ma anche della famiglia che, a partire dagli inizi dell’Ottocento, iniziò a costruire il proprio tesoro culturale.

Uno spirito collezionistico che si unisce alla volontà di possedere più opere possibili, gareggiando a volte con le altre famiglie nobili: la storia di una delle più giovani casate di Roma è davvero curiosa, tanto più che nella capitale è diventata ormai da due secoli sinonimo di ricchezza sfacciata. Partiamo dal suo antenato, Marin Tourlonias.

Si conosce poco sull’origine del capostipite della famiglia, solamente la sua provenienza, un villaggio sui monti dell’Alvernia, nella Francia centrale. Nel 1750 Marin arrivò a Roma, italianizzando il proprio nome e diventando Marino Torlonia. Secondo alcune fonti, la prima pietra per la costruzione della fortuna della famiglia fu l’eredità di una rendita concessa dal cardinale Troiano Acquaviva d’Aragona alla sua morte nel 1776, per il lavoro da cameriere a cui Marino si era dedicato dal suo arrivo nella capitale.

Iniziò così la sua attività di commerciante di stoffe pregiate e nel 1782 aprì un banco di cambio dove i mercanti e non solo potevano effettuare il cambio delle proprie monete nel conio locale. Ed è proprio questa occupazione che portò ai Torlonia una grande fortuna. Dopo la morte di Marino, il figlio Giovanni Raimondo decise di concentrarsi sull’attività bancaria, pur non abbandonando quella legata alla vendita di tessuti. La volontà di nobilitarsi fu uno dei principali motivi per cui la famiglia iniziò ad acquistare diversi terreni e i relativi titoli, diventando  marchese di Romavecchia nel 1797, duca di Bracciano nel 1803, principe di Civitella Cesi nel 1813 e duca di Poli e Guadagnolo nel 1820.

Secondo Stendhal, che frequentò da vicino la famiglia, Giovanni Raimondo “lo splendido” aveva due grandi passione: l’arte e il denaro. La famiglia diventò proprietaria di immobili, compresi alcuni teatri. Possiamo collocare l’inizio della formazione della collezione di opere d’arte dei Torlonia proprio in questo periodo: nel 1800, durante un’asta pubblica, Giovanni Raimondo acquistò la raccolta di modelli e calchi antichi in marmo, terracotta e bronzo dalla bottega dello scultore Bartolomeo Cavaceppi, con lo scopo di abbellire le principali residenze della famiglia. A questo primo nucleo si aggiunsero i reperti portati alla luce durante gli scavi nell’area di Roma Vecchia e la collezione della famiglia Giustiniani, acquistata nel 1825. Le ricchezze e le attività di famiglia passarono, dopo la morte di Giovanni Raimondo nel 1829, al terzogenito Alessandro.

Già attivo negli affari di famiglia dal 1824, Alessandro aumentò la visibilità dal punto di vista sia pubblico che sociale dei Torlonia, comprando e restaurando palazzi storici, teatri e altre proprietà in tutta la città, compreso un intero isolato vicino a Palazzo Torlonia. L’interesse per l’arte fu tramandato anche nella generazione successiva: oltre all’ampliamento delle aree in cui si continuò l’attività archeologica, Alessandro aggiunse ulteriore prestigio alla collezione di statue, attraverso l'acquisto di villa Albani e della sua raccolta, curata personalmente dallo storico dell’arte tedesco Johann Joachim Winckelmann. Nel 1875 Alessandro diede vita a un progetto culturale ambizioso: l’apertura del Museo Torlonia, ricavato da un vecchio granaio in via della Lungara. Fino a questo momento, la collezione era composta da 517 opere, provenienti sia dall’acquisto che dal ritrovamento negli scavi; nel 1884 raggiunse la cifra odierna di 620.

Nel 1876 e nel 1884 furono redatti due cataloghi della collezione, il primo a cura di Pietro Ercole Visconti e il secondo scritto da Carlo Ludovico Visconti, uno dei primi esempi di catalogo fotografico. Il Museo fu una delle tappe preferite dalla nobiltà romana: il suo accesso, infatti, era riservato. Nel 1948 il ministro dell’Istruzione Guido Gonnella decise di porre il vincolo sia sul museo che sulla collezione "per tradizione, fama e caratteristiche ambientali". Tuttavia, verso la metà degli anni Settanta, la famiglia decise di ristrutturare il tetto dell’edificio e le opere furono trasferite altrove: le 77 sale del museo, tuttavia, furono destinate a un altro utilizzo. La famiglia Torlonia si trovò citata in giudizio dallo Stato, per aver violato il vincolo imposto quasi trent'anni prima. La sentenza 2284 della Corte di Cassazione del 1979 confermò che l’intera collezione fu collocata «in locali angusti, insufficienti, pericolosi (...) stipate in maniera incredibile, addossate l’una all’altra senza alcun riferimento storico o di omogeneità». Alessandro Torlonia, nipote del fautore del Museo Torlonia, fu condannato al pagamento verso lo Stato di una somma pari al valore della cosa perduta o della diminuzione di valore subito. La sentenza non venne mai applicata e per molti anni si persero le tracce della collezione, fino al 2002 quando lo Stato propose che la collezione diventasse di proprietà pubblica per sanare l’abuso edilizio. Tutto si concluse con un nulla di fatto, come anche i tentativi successivi sia da parte dei governi che dei privati.

Come scritto in precedenza, la collezione è composta da 620 opere d’arte greca, romana ed etrusca, provenienti principalmente dall’acquisto di altre raccolte e più una ristretta parte dagli scavi archeologici nelle proprietà dei Torlonia. La varietà delle opere è davvero unica: possiamo trovare infatti statue a tutto tondo, bassorilievi, busti, ritratti di imperatori e reperti di vario genere in terracotta.

Tra queste spiccano numerosi capolavori come l’Hestia Giustiniani, l’unica replica in marmo intera e di grandi dimensioni di un originale in bronzo databile al 5° secolo a.C., oppure il ritratto della Fanciulla da Vulci con il suo stile unico avvolto dal mistero. Altro esempio è la Statua di caprone, proveniente dalla collezione Giustiniani e risalente all’età imperiale, in cui l’abilità di Gian Lorenzo Bernini fu impiegata per il restauro dell’opera.

In ordine: Hestia Giustiniani; Fanciulla da Vulci; Statua di caprone in riposo e Rilievo con scena di porto, ©FondazioneTorlonia PH Lorenzo De Masi

E sono proprio gli interventi di restauro per la mostra in villa Caffarelli che hanno permesso di portare alla luce alcuni aspetti affascinanti: il lavoro su Bassorilievo con veduta del Portus Augusti, ad esempio, ha svelato delle tracce dell’antica policromia andata perduta. La più grande e probabilmente più importante collezione privata al mondo di arte antica si sta piano piano aprendo al pubblico: il tour mondiale (sperando in un miglioramento della situazione pandemica) sarà l’occasione per la collezione di farsi ammirare, auspicando che al suo ritorno ci sia una “casa” in cui immergersi nella pura bellezza.

La Mitologia, nelle sua vaste diramazioni; l’Iconografia, nella certezza delle sue immagini; una serie che non ebbe ancora l’eguale in museo veruno, non esclusi quelli del Vaticano o del Campidoglio e non avrà mai forse nell’avvenire altra che la pareggi Dal catalogo del Museo Torlonia di sculture antiche di Pietro E. Visconti, 1876

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