SOCIETÀ

L'Asia dice no alla spazzatura che il mondo non vuole più

Non se ne parla molto, ma che l’Asia sudorientale sia diventata la ‘nuova’ discarica del mondo non è faccenda poi così recente. La questione è diventata problema quando l’anno scorso la Cina, ha smesso di accettare e riciclare i rifiuti provenienti da mezzo mondo (tra cui scarti di lavorazione, cascami, rifiuti industriali e avanzi di materie plastiche). Solo nel 2016, infatti, il Paese aveva trasformato almeno la metà delle esportazioni mondiali di plastica, carta e metalli. Nell’estate del 2017, invece, il governo di Pechino ha notificato all’Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc-Wto) che da gennaio 2018 avrebbe vietato l’importazione di 24 tipologie di materiali da riciclare, tra cui la plastica.

Il divieto assoluto imposto dalla Cina ha fatto si che i paesi vicini del sud est asiatico diventassero la destinazione alternativa dove inviare spazzatura dall’Europa e dall’America. Così la Malesia è diventata uno dei più grossi importatori di rifiuti plastici arrivando ad accogliere oltre 195.000 tonnellate di plastica solo dagli Stati Uniti nei primi sei mesi del 2018 contro le 95.000 tonnellate importate da gennaio a novembre del 2017. Ma non solo l’America; rifiuti contaminati sono arrivati nel Paese asiatico da diverse zone del mondo (Inghilterra, Germania, Spagna, Francia, Australia e altre ancora) portando con sé problemi di vario genere, da quelli ambientali a quelli sanitari. Solo il 9% delle materie plastiche mondiali, infatti, viene riciclato, mentre il resto finisce a marcire in discariche o bruciato in modo illegale. Riconoscendo che il problema è sempre più diffuso, il Consiglio d’Europa lo scorso aprile ha aderito alle proposte di modifica della Convenzione di Basilea relative al controllo dei movimenti transfrontalieri dei rifiuti pericolosi e del loro smaltimento. In base alle nuove proposte i rifiuti particolari e quelli plastici pericolosi, rientreranno nel sistema di controllo previsto dalla Convenzione mentre gli altri potranno continuare ad essere oggetto di scambio tra paesi.

I primi a muoversi per cercare di non trasformarsi nelle nuove discariche dell'Occidente, sono stati alcuni dei paesi asiatici coinvolti, che hanno iniziato a rispedire al mittente i rifiuti pericolosi che qui arrivavano. Solo poche settimane fa il presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, aveva infatti minacciato di interrompere i rapporti diplomatici con il Canada se il governo non si fosse impegnato a riprendersi 69 containers contenenti 1500 tonnellate di immondizia fatti arrivare nel Paese tra il 2013 e il 2014. Tuttavia, la questione si è fatta più seria l’anno scorso quando Tailandia, Malesia e Vietnam hanno introdotto nuove norme per impedire ai rifiuti contaminati provenienti da paesi stranieri di entrare nei loro porti; ha iniziato la Malesia che rispedirà al mittente (Stati Uniti, Canada, Australia e Inghilterra) 3.000 tonnellate di plastica non riciclabile anche se è ancora molto il materiale difficilmente smaltibile che continua ad arrivare in modo illegale nei porti di questi paesi.

E il ruolo dell’Italia in tutto questo? Secondo il report internazionale ‘Le rotte globali, e italiane, dei rifiuti in plastica’ stilato da Greenpeace, il nostro Paese è all’undicesimo posto tra i principali esportatori di rifiuti plastici al mondo. Solo nel 2018 ha spedito all’estero poco meno di 200 mila tonnellate di scarti, in particolare, verso Austria, Spagna e Germania. Solo nel 2016 e 2017, invece, il 42% dei rifiuti plastici inviati dall’Italia fuori Europa (nello specifico, lo scarto della raccolta differenziata della plastica), era destinato alla Cina. Quello stesso materiale che, una volta lavorato nel Paese asiatico magari all’interno di impianti non autorizzati o fuori norma, tornava poi in Europa sotto forma di giocattoli, contenitori e oggetti realizzati, appunto, con plastica di scarto. Il recente divieto della Cina ha fatto si che ora anche il nostro Paese esporti, al di fuori dell’Europa, i propri rifiuti plastici soprattutto in Malesia e Vietnam. Ma anche quando la destinazione è un paese europeo, può succedere che, aggirando norme e divieti, la spazzatura finisca lo stesso in paesi dove le regole per lo smaltimento risultano 'maggiormente permissive'. E la prospettiva, per l'Italia, non sembra riservare grandi novità dal momento che, se esistono pochi impianti di recupero e riciclo di piccole dimensioni, quelli grandi (capaci cioè di trattare fino a 50.000 tonnellate all'anno di materiale) ad oggi si possono contare più o meno sulle dita di una mano. Il riciclo, quindi, non può essere considerata una misura sufficiente a risolvere i nostri problemi di smaltimento ma si fa invece sempre più urgente la necessità di produrre e utilizzare materiali alternativi che sostituiscano quei materiali difficilmente recuperabili, in particolare la plastica.

 

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