Foto: Remo Casilli/Reuters
Non è un approccio molto originale, ma non mi riesce di non dire “Laudato si’ Francesco” ogni volta che penso, parlo o scrivo della Enciclica del 24 maggio 2015 (ma pubblicata il seguente 18 giugno): “Laudato si’ sulla cura della casa comune”. Tanto meno mi riesce di non farlo in questa occasione, cinque anni dopo, quando, malgrado il grandissimo successo mediatico dei contenuti di quella enciclica poco o niente ne è stato rispettato con i fatti. Come è noto, il titolo dell’Enciclica è tratto dal Cantico delle creature di San Francesco. In modo particolare da “Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.” Versi con i quali Francesco da Assisi anticipa di ottocento anni (era il 1224) il concetto di bene comune.
Un’ecologia integrale richiede di dedicare un po’ di tempo per recuperare la serena armonia con il creato, per riflettere sul nostro stile di vita e i nostri ideali, per contemplare il Creatore, che vive tra di noi e in ciò che ci circonda. #LaudatoSi5
— Papa Francesco (@Pontifex_it) May 24, 2020
Se ne sono accumulati di eventi in questo lunghissimo periodo: guerre, scoperte di immense nuove terre, pandemie, carestie, rivoluzioni politiche, culturali ed economiche. Molti dei quali totalmente incuranti di nostra matre terra e del suo sustentare et governare et produrre. Il risultato lo stiamo vivendo da decenni: da quando, caso mai non ce ne fossimo accorti da soli, scienziati e organizzazioni di sicura credibilità ci hanno avvertiti che l’equilibrio climatico stabilitosi sulla Terra circa 12.000 anni fa si stava rompendo e le temperature andavano aumentando in modo incontrollato in seguito al continuo ammasso in atmosfera di “gas serra”. Dal 1992 (Rio de Janeiro) dove più dove meno (soprattutto dove meno) si è cominciato a riflettere sulla gravità del problema provando a suggerire azioni di “riparazione”. Nulla è successo che consentisse di sperare in miglioramenti della situazione che invece continuava a peggiorare.
Allora? Allora Papa Francesco da Roma sulla scia di Francesco d’Assisi ha provato a dire la sua. Con lo strumento proprio dei Papi. Cioè con un’enciclica - la Laudato si’- che ha dato la sveglia a chi continua a stare con la testa sotto la sabbia; conforto a chi la tiene ben fuori e sostegno a chi da decenni va allertando gli amministratori del bene comune Terra.
È un’enciclica nella quale non entra nel dettaglio dei mutamenti climatici, ma allarga l’osservazione ad una esigenza: quella di un’ecologia integrale, in cui la preoccupazione per la natura, l’equità verso i poveri, l’impegno nella società, ma anche la gioia e la pace interiore risultano inseparabili. Nei sei capitoli dell’Enciclica, il Papa evidenzia che la nostra Terra, maltrattata e saccheggiata, richiede una “conversione ecologica”, un “cambiamento di rotta” affinché l’uomo si assuma la responsabilità di un impegno per “la cura della casa comune”. Impegno che include anche lo sradicamento della miseria, l’attenzione per i poveri, l’accesso equo, per tutti, alle risorse del Pianeta.
Come ricordavo sono passati cinque anni durante i quali non vi è chi, anche appena un po’ interessato alle cose della Chiesa e ai contenuti “ambientalisti” della Enciclica, non ne abbia scritto, lodato, moderatamente criticato. Quelli che, coerentemente con quanto hanno sempre sostenuto, non ne condividono nemmeno una parola, hanno sostanzialmente detto che, tuttavia, qualcosa se la poteva risparmiare… Né è mancato chi (Azzurra Barbuto, Il Vaticano si converte al gretinismo spinto, “Libero”, 19 giugno 2020) in un abbastanza volgare "mischiafrancesca", stabilito che c’è una “svolta verde nella Chiesa che pensa più alle piante che ai fedeli”, ne ricava che “il Vaticano si converte al gretinismo spinto” arrivando a sostenere che Papa Francesco si è fatto condizionare dalla giovane Greta di cui abbiamo ricordato il biennio di attività il 23 agosto scorso ( Come osate! ). Anche per tutto questo mi sento innanzitutto di dire Laudato si’ Francesco.
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Perché nelle 192 pagine dell’enciclica vi sono molte cose che, senza successo, da anni in parecchi cerchiamo di approfondire e sulle quali cerchiamo di allertare chi governa e i nostri fratelli governati. Cercando di sensibilizzarli sui rischi gravi che corrono il nostro pianeta e i suoi circa otto miliardi di abitanti e, più ancora, quelli che vi si aggiungeranno nei prossimi anni.
Laudato si’ Francesco perché cerca di spiegare che se non ci sbrighiamo potremmo non farcela ad invertire la rotta.
Laudato si’ Francesco perché mi sembra lecito credere che non proprio per caso cinque mesi dopo l’enciclica, a dicembre del 2015, capi di Stato e di Governo si sono incontrati a Parigi per tentare un accordo serio per tentare di rallentare e bloccare il possibile disastro.
Laudato si’ Francesco perché solo chi riteneva che l’ambiente fosse mare, monti, fiumi, laghi, uccellini e stambecchi può stupirsi dell’approccio e dei contenuti dell’enciclica di Papa Francesco, e del suo concetto di ecologia integrale. Un’enciclica che, intendendo che “tutto è intimamente relazionato” è perfettamente “allineata” con l’ambientalismo più attento e moderno.
Significa che, come scrisse Vito Mancuso (Da san Francesco a Francesco “la repubblica” 16 giugno 2015), l’ecologia “da mera preoccupazione per l’ambiente naturale, mostra di essere al contempo cura dell’umanità nel segno ancora una volta dell’ecologia integrale”.
Vale a dire che l’enciclica induce al ripensamento della ricorrente interpretazione dell’ambiente con l’aggettivazione di naturale. Dimenticando o ignorando che ambiente significa “ciò che sta intorno” e che ciò che ci sta intorno è sempre meno natura e sempre più, soprattutto, città nelle quali vivono almeno 3,8 miliardi di persone che saranno il doppio a fine secolo quando la popolazione terrestre, verosimilmente, toccherà il picco di 9-10 miliardi. Ed è qui che i più poveri subiscono “gli effetti più gravi di tutte le aggressioni ambientali”. Per cui, scrive sempre il laudato Francesco, si pone la necessità di “cambiare il modello di sviluppo globale” perché “il ritmo di consumo, di spreco e di alterazione dell’ambiente ha superato le possibilità del pianeta, in maniera tale che lo stile di vita attuale, essendo insostenibile, può sfociare solamente in catastrofi”.
Insomma cinque anni fa Francesco si chiedeva, ma lo chiedeva a tutti noi, “Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo?. La risposta tarda ancora ad arrivare. Peggio. Perché la comparsa e/o la riconferma sulla scena politica internazionale di persone alle quali è assolutamente estraneo il concetto di domani, lascia poco spazio alla speranza di cambiamento.