SOCIETÀ

L'editoriale. Il purè su Monet e quello sui nostri occhi

L’occasione di essere all’interno della mostra L’occhio in gioco a Palazzo del Monte di Pietà, a fianco di un dipinto di Kandinskij, mi darebbe la possibilità di lanciare della salsa di pomodoro o del purè. Voi tutti mi prendereste per un pazzo o per un criminale, anche senza rovinare l’opera. Naturalmente lo sarei e non farei mai un gesto del genere: qualsiasi forma di protesta non deve mai implicare un danno a persone o cose e deve rimanere dentro l’alveo della legalità. Non lo farei mai e non sono d’accordo con chi lo fa ma mi vengono in mente due però.

Il primo è quale tipo di commenti sono stati fatti a questi gesti eclatanti: “Ma come hanno fatto a eludere i sistemi di sicurezza?”, “come è possibile averli fatti entrare?” ecc. E mi è venuto da pensare che ci sono dei giovani che stanno puntando il dito verso la Luna, verso un problema enorme come il cambiamento climatico ma noi tutti continuiamo a guardare solo al dito, e non alla Luna.

Oppure, alcuni giornalisti, in modo paternalistico, hanno elargito consigli alle persone che bloccano le tangenziali o imbrattano le opere d’arte nei musei, senza però entrare nel merito dell’argomento, del contenuto della protesta. Chi elargisce consigli cosa sta facendo per risolvere il problema denunciato da questi gesti? Si dovrebbe fare più attenzione agli aspetti sostanziali e meno a quelli formali. In molti, soprattutto giovani, mi scrivono – in preda a un’eco-ansia – dicendomi che non sanno più cosa fare per essere ascoltati sui problemi del climate change. Dobbiamo porci la necessità di ascoltare la sofferenza di queste generazioni di persone più giovani della nostra per comprendere cosa stanno cercando di comunicare e il motivo. Altrimenti, il purè non è soltanto sopra al quadro di Monet, ma anche davanti ai nostri occhi.

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