La morte del dissenso: lezioni dalla Bielorussia sulla fragilità della libertà accademica
Proteste Bielorussia 2020 REUTERS/Vasily Fedosenko
“Libertà accademica in Europa: in buona salute ma rischia una lenta erosione.” Questa frase, apparsa in un articolo del maggio scorso de Il Bo Live, cattura una tensione nota a molti: la libertà accademica appare solida, finché non viene spazzata via da un giorno all’altro. In Bielorussia questa fragilità è evidente e concreta: lì, la sua perdita non è un’ipotesi, ma una realtà vissuta. E l’avvertimento che ne emerge non riguarda solo l’Europa orientale: attraversa confini ed interroga tutto il continente sul valore reale di questa libertà.
Le università bielorusse, un tempo centri di apprendimento e ricerca, hanno subito una trasformazione radicale dopo le proteste del 2020 contro il regime di Alexander Lukashenko. Studenti espulsi o incarcerati, docenti silenziati o licenziati: l’istruzione superiore è diventata uno strumento di repressione. Nel giugno 2025, presso l’Università di Padova, l’evento di advocacy organizzato da Scholars at Risk (SAR) ha riunito ricercatori, studenti, e difensori dei diritti umani per discutere il caso bielorusso, non come tragedia lontana, ma come un monito reale. Cosa accade quando la libertà accademica crolla? E quale ruolo possono giocare le istituzioni europee per fermare questa deriva?
La situazione in Bielorussia
Gli ospiti bielorussi in esilio hanno raccontato di un regime intento a soffocare ogni forma di dissenso attraverso la paura e la repressione. Alana Gebremariam, ex studentessa ed attivista, ha rammentato come la speranza iniziale, manifestata nei flash mob, negli scioperi dei docenti e nelle proteste degli studenti, sia stata rapidamente infranta. “Lottavamo per farci sentire,” ha ricordato, “ma non ci aspettavamo un livello di repressione simile.” È stata arrestata e condannata a due anni e mezzo in una colonia penale, dove ha affrontato celle sovraffollate, condizioni insalubri e l’umiliazione quotidiana del lavoro forzato.
La sua storia non è un caso isolato, ma fa parte di una tendenza più ampia. Fino al 2024, studenti e docenti in Bielorussia hanno continuato a subire persecuzioni per qualsiasi tipo di critica, secondo University World News. I processi universitari, come quello del 2023 in cui alcuni studenti furono accusati di “oltraggio al presidente”, hanno trasformato le università in luoghi di intimidazione e controllo.
La libertà accademica non è un diritto acquisito
Paola Molino, professoressa di storia all’Università di Padova, ha offerto una prospettiva lucida: la libertà accademica, lungi dall’essere un diritto universale, è stata storicamente un privilegio condizionato. “Le università hanno sempre operato all'interno di sistemi di potere,” ha osservato. Forze religiose, politiche o economiche hanno da sempre influenzato ciò che può essere insegnato, ricercato o messo in discussione. Ancora oggi, istituzioni apparentemente indipendenti vengono plasmate da finanziamenti, politiche ed interessi politici, che siano in Bielorussia, Ungheria, Turchia o Stati Uniti.
Per questo Molino ha messo in guardia dal romanticizzare il passato: “La storia non dovrebbe mai diventare un vincolo per il presente,” ha affermato. Piuttosto, deve affinare la nostra comprensione del presente. Se la libertà accademica deve restare significativa, deve essere costantemente riaffermata, non solo in tempi di crisi, ma anche in quelli di compiacenza.
Molino ha aggiunto che difendere la libertà accademica oggi potrebbe richiedere una certa dose di ribellione: “Non è facile disobbedire quando chi sfideresti – la famiglia o l’università – sembra fare del suo meglio per sostenerti. È difficile opporsi quando coloro al potere appaiono gentili in superficie. Ma è proprio in quei momenti che il pensiero critico conta di più.”
Reti di solidarietà: costruire risposte istituzionali
Di fronte a minacce crescenti, le istituzioni stanno sviluppando nuovi strumenti per difendere la libertà accademica. SAR Italia sta lanciando una serie di podcast, SAR Italy on the Record, con l’obiettivo di amplificare le voci di chi lotta per mantenere viva la libertà accademica. Il progetto raccoglie interviste, casi studio e racconti dalla Bielorussia, Palestina, Turchia, Stati Uniti e oltre, sottolineando che le pressioni sulla libertà accademica non sono confinate ad una sola regione, ma seguono uno schema globale. Lo scopo non è solo documentare, ma incitare alla riflessione e costruire una memoria collettiva.
Inoltre, il podcast non si limita a raccontare storie: fa parte di uno sforzo più ampio per sviluppare materiali formativi, campagne di sensibilizzazione pubblica e strumenti accessibili per ospitare studiosi a rischio. L’Alleanza Universitaria Europea Arqus contribuisce traducendo la ricerca in risorse pratiche e ampliando l’accesso a queste conversazioni attraverso iniziative guidate dagli studenti e media digitali. Un workshop di storytelling, ad esempio, ha invitato gli studenti SAR a creare narrazioni digitali, non solo come atto espressivo, ma come vero e proprio ascolto di esperienze spesso marginalizzate.
Le università come piattaforme d’azione
Maksim Zafranski, membro della Belarusian Students’ Association (Associazione degli studenti bielorussi), ha sottolineato che le università non sono terreni neutri. “Sono piattaforme,” ha osservato. “Se usate bene, possono generare slancio politico.” La sua organizzazione ha collaborato con SAR e altri per pubblicare rapporti utilizzati in attività diplomatiche di advocacy e campagne di liberazione. “Gli studenti hanno più potere di quanto pensino,” ha aggiunto. “Perfino un post su Instagram può innescare qualcosa.”
L’idea che i piccoli gesti possano avere effetti a catena è un tema ricorrente. Oggi l’advocacy non riguarda solamente le grandi manifestazioni, ma comprende anche petizioni, campagne creative, podcast e visibilità costante. Le università possono offrire un ambiente relativamente sicuro per parlare e costruire alleanze. Tuttavia, anche nei Paesi democratici questa sicurezza non è mai totale, e ancor di più, nei contesti autoritari diventa un lusso da usare con consapevolezza.
Cultura in esilio: preservare l’identità attraverso i libri
L’evento ha guardato anche oltre l’attivismo immediato, verso il lavoro più lento e costante della resistenza culturale. Rappresentanti di Skaryna Press, casa editrice bielorussa con sede a Londra, hanno raccontato di preservare l’identità culturale attraverso la lingua e la letteratura. La casa pubblica principalmente in bielorusso: una scelta intenzionale, dato che il regime promuove aggressivamente il russo come lingua dominante.
Sono stati pubblicati saggi, memorie ed opere creative che in Bielorussia verrebbero con ogni probabilità censurate. “I libri avvicinano le persone,” ha affermato il direttore Ihar Ivanou. “Talvolta si parte dalla letteratura, poi nasce la conversazione, e infine le idee.”
Questa continuità culturale, soprattutto in esilio, costituisce una forma di resistenza silenziosa, ma potente. “La Bielorussia non finisce ai suoi confini.” Per chi non può tornare a casa, pubblicare significa restare radicati, testimoniare ed immaginare un futuro oltre la repressione, con le proprie parole e nella propria lingua.
Il caso della Bielorussia non è solo una tragedia: è una lente per guardare noi stessi. Ci costringe a porci domande scomode: cosa significa davvero libertà accademica in Europa, Medio Oriente o nelle Americhe? Chi può reclamarla, e chi ne resta escluso? E come possono le istituzioni sostenerla non solo a parole, ma nella pratica quotidiana?
L’evento di advocacy non ha offerto risposte semplici, ma ha chiarito una cosa: la libertà accademica non è mai garantita. Non riguarda solo leggi o regolamenti, ma la possibilità di parlare, mettere in discussione ed immaginare senza paura. In Bielorussia quella libertà si conquista, voce dopo voce – e la loro lotta ci ricorda perché dovrebbe contare ovunque.