Nelle ultime settimane sono usciti due libri molto interessanti con un punto in comune. Il primo è firmato da un filosofo americano, Christopher Preston: si intitola L’era sintetica dove si prende in rassegna tutte le più avanzate e visionarie ricerche dove l’uomo sostituisce la natura con l’artificio. Il secondo è di Massimo Sandal e si intitola La malinconia del Mammut.
Il punto in comune di questi due volumi è che raccontano di questa possibilità tecnologica di far risorgere specie ormai estinte. Per fare qualche esempio: lo stambecco dei Pirenei, il tilacino australiano o il piccione migratore nordamericano. Insomma, tante specie estinte, delle quali conserviamo, però, tracce biologiche come il DNA, anche del mammut.
Questo processo si chiama “de-estinzione”: far risorgere animali estinti attraverso due tecnologie. La prima è la clonazione che però porta con sé dei notevoli problemi, tanto che nessuno è mai riuscito nell’impresa. Ora però si affaccia la seconda tecnologia: si tratta del gene-editing, cioè la possibilità di modificare anche in tanti punti diversi il DNA, come se fosse un copia e incolla di un programma di videoscrittura. A un ricercatore di Boston è venuta questa idea: prendere il DNA della specie più vicina al Mammut e correggerlo per fare in modo che assomigli il più possibile alla specie estinta. La domanda bioetica è: perché dovremmo farlo?