Foto: Peter Cairns / Northshots
In Francia, la lince rischia – di nuovo – l’estinzione. Le ultime 150 linci adulte rimaste nelle montagne del Giura francese hanno un grado di consanguineità talmente alto che, se non si interviene con nuovi rilasci e sforzi di tutela immediati, questi felini potrebbero sparire entro i prossimi 30 anni. A dare l’allarme sulle pagine di Frontiers in Conservation Science sono gli scienziati del Centre Athenas, un centro per la protezione della fauna selvatica nella Francia orientale, con un paper dal titolo che non lascia molto spazio alle interpretazioni: «il tempo sta per scadere», scrivono.
Vittima di una persecuzione diretta che è andata avanti tra il Settecento e i primi del Novecento, il felino più grande d’Europa si è estinto in molte aree del continente. La lince europea (Lynx lynx) veniva cacciata per la sua ricercata pelliccia maculata, perché ritenuta una minaccia per il bestiame domestico e uno sgradito rivale nella caccia agli ungulati come caprioli e camosci. Così, tra la caccia indiscriminata, la drastica riduzione delle loro prede e le trasformazioni dell’habitat, questo felino dalle orecchie ornate da ciuffetti neri è sparito anche dall’intera Francia.
Tuttavia, alla fine degli anni Settanta, la lince euroasiatica è riapparsa nel Giura francese a seguito della dispersione delle linci reintrodotte in Svizzera dalla regione dei Carpazi. Mentre un altro gruppetto di linci venne rilasciato 200 km a nord, nelle montagne dei Vosgi. Si sperava così di espandere la popolazione alpina, che è sicuramente quella meno numerosa. Oggi, infatti, in Europa vivono circa 10.000 linci: la maggior parte delle quali in Scandinavia, nei Carpazi e in Polonia. Ma i piani di reintroduzione non sono andati esattamente come sperato e nel giro dei 20 anni, le linci reintrodotte nei Vosgi si sono estinte a causa del bracconaggio ancora presente e per le collisioni con le automobili. È andata un po’ meglio a quelle rilasciate nel Giura: secondo Nathen Huvier del Centre Athenas, primo autore dello studio, oggi tra queste montagne vivono tra le 120 e le 150 linci adulte. Nessuna di loro, però, pare avere scambi genetici con altri esemplari della Germania o della Svizzera e in 40 anni ci si aspettava di arrivare ad avere una popolazione più numerosa.
Inoltre le minacce di matrice antropica che hanno determinato l’estinzione locale della lince sui Vosgi, sono purtroppo valide anche per le linci del Giura francese: anche qui bracconaggio e gli impatti con automobili e altri veicoli fanno stragi di innocenti. Ora, però, ci si è resi conto di una minaccia ben più subdola: un elevato tasso di consanguineità che rischia di compromettere la vitalità dell’intera popolazione.
Tra il 2008 e il 2020, gli scienziati del Centre Athenas guidati da Nathen Huvier hanno raccolto 88 campioni di DNA da linci trovate ferite, morte o rimaste orfane e li hanno analizzati per saggiare la variabilità genetica della popolazione: un dato che dice molto sulla forma fisica degli individui, sulle malattie ereditarie e sulla resilienza della popolazione, ovvero la capacità degli individui di adattarsi ai cambiamenti ambientali o superare possibili epidemie. Ed è qui che è arrivata l’amara sorpresa: c’è un livello di consanguineità altissimo, al punto che la popolazione di 150 individui adulti, in realtà, avrebbe una variabilità genetica pari a quella di soli 38 individui. E questo ovviamente espone le linci francesi a un rapido collasso in caso di epidemie, modifiche ambientali o malattie ereditarie.
«Una soluzione semplice potrebbe essere quella di rimpinguare la popolazione trasferendo altri individui dalla Svizzera o dalla Germania, oppure provare a liberare qui i cuccioli recuperati in vari centri da tutt’Europa» propongono gli autori. «Allo stesso tempo, ovviamente, si dovrebbe abolire il bracconaggio e si dovrebbero fare interventi di road ecology (ovvero la branca dell’ecologia che studia come limitare gli impatti negativi delle infrastrutture come le strade, ndr) per sensibilizzare gli automobilisti e ridurre il numero di linci uccise mentre attraversano le strade».
Intanto, dall’altro lato della Manica, precisamente in Scozia prende il via un nuovo progetto di reintroduzione. Questo felino dagli occhi gialli e la coda tozza, si è estinto in Gran Bretagna più di 1.000 anni fa, ma secondo i ricercatori del Vincent Wildlife Trust e dell’Università di Exeter il suo ritorno – in quanto predatore all’apice dell’ecosistema – potrebbe favorire il ripristino ecologico.
Nell’immaginare un progetto di reintroduzione, David Bavin del Vincent Wildlife Trust e colleghi hanno esaminato le opinioni degli stakeholder, ovvero le parti interessate dal possibile ritorno della lince: agricoltori, ambientalisti, cacciatori, allevatori, ricercatori, forestali, proprietari terrieri ed enti parco. Uno spaccato quanto più rappresentativo possibile della comunità che si troverebbe eventualmente a condividere gli spazi con l’elusivo felino. Alla base di ogni progetto di conservazione, compresi quelli di reintroduzione, infatti, c’è la comunità locale che dev’essere disposta a impegnarsi nella tutela di una specie e in alcuni casi anche pronta a rinunciare ad alcuni privilegi o ad alcuni spazi.
Lo studio – più sociologico che naturalistico – pubblicato sulla rivista People and Nature è stato condotto nella regione del Cairngorms National Park – una regione di brughiera costellata di laghi montani – e ha coinvolto una trentina di persone chiamate a rappresentare una serie di categorie interessate alla reintroduzione della lince. Dopo discussioni di approfondimento, i risultati dei questionari hanno evidenziato come le opinioni sul possibile ritorno della lince in Scozia siano «molto più diversificate, sfumate e complesse di quanto si potesse supporre» ha dichiarato David Bavin.
«Piuttosto che dividere le risposte semplicemente in ‘a favore’ e ‘contro’ abbiamo trovato che tutte le risposte fornite potevano essere ascritte a uno spettro di cinque prospettive differenti. Due apertamente favorevoli: ‘Lynx for Change’, a sostegno della reintroduzione della lince come specie chiave di volta nel ripristino dell’ecosistema; e ‘Lynx for Economy’ che vedeva invece dei benefici economici nel ritorno di questo felino. Una dichiaratamente contraria, un netto ‘no alla lince’. Mentre altre risposte ricadevano in due prospettive titubanti: le persone che non vedevano nel ritorno dell’iconico felino reali vantaggi per la biodiversità, ma erano disponibili a ulteriori incontri e approfondimenti hanno risposto ‘non siamo convinti’, mentre quelle persone che hanno percepito barriere socio-ecologiche proibitive per un ritorno duraturo della lince hanno risposto qualcosa come ‘la Scozia non è pronta’» ha specificato David Bavin.
Tra molteplici punti di vista, disaccordi sui potenziali impatti del ritorno della lince sull’allevamento ovino e sul ripristino della biodiversità, e una mancanza di fiducia da parte di alcuni partecipanti, è emerso il bisogno unanime di sentirsi partecipi di questa discussione: per tutti, la reintroduzione della lince doveva essere affrontata con un approccio partecipativo e cooperativo. E ancora una volta, anche questo studio – per quanto piccolo e limitato – conferma quanto sia essenziale il coinvolgimento delle comunità locali nei progetti di conservazione, recupero delle specie e mitigazione dei conflitti.