CULTURA

L'Italia dei festival

Tre, due, uno, via. Ricominciano i festival: settembre e ottobre sono i mesi clou, ma in realtà oramai c’è un festival per qualsiasi cosa e in qualsiasi stagione dell’anno, è immediato rendersene conto guardando in rete.

A dirla tutta navigando in cerca di qualche dato sulle partecipazioni (perché l’impressione, quando ci si va è che siano partecipatissimi: piazze piene, code felici, negozi di alimentari, farmacie, ristoranti con libri, libri e ancora libri in vetrina, dibattiti senza l’impietoso silenzio) si incappa in un curioso fenomeno. 

Si provi per esempio a digitare “festival, numeri”: compare come primo risultato il Numeri Primi Pisa Festival, un festival sulle singolarità. Si ritenti con “festival, partecipazioni” e si otterrà… il Festival della Partecipazione dell’Aquila che vorrebbe incentivare nuove forme di politica e attivismo. Ma non ci si arrenda e si cerchi: “festival, statistiche” ed ecco comparire StatisticAll, il festival della statistica e della demografia che si tiene in settembre a Treviso. In tutto ciò c’è qualcosa di inquietante.

Esiste un sito che li mappa tutti (trovafestival.com), suddivisi per ambito, luogo, periodo dell’anno. Lì si scopre che dieci – dieci – sono a tema “fate, gnomi e folletti”, ma chiaramente si va anche sul tradizionale: circa 150 i festival di cinema, 220 quelli musicali, 270 di danza e teatro, una sessantina i festival intorno ad “arte, fotografia, architettura, design” e ben 225 i festival letterari.

Questo fenomeno ha a che vedere con le trasformazioni cui è andata soggetta la nostra epoca, e che ancora non sono terminate (ahimé).

È appena uscito in libreria per Einaudi il saggio della psicologa Sherry Turkle, Insieme ma soli, che analizza quanto ormai siamo disposti a concedere al mondo dei robot come sostituti dell’umano, in cerca di lenire la solitudine, e di quanto questo sentimento sia invece acuito dalla nostra abitudine alla connessione: “Riconosco i molti aspetti positivi che offre la rete: favorisce l’amicizia, i legami familiari, l’istruzione, il commercio e il divertimento. Il racconto trionfalista del web è la storia rassicurante che la gente vuole sentire e i tecnologi vogliono raccontare. Ma il lato eroico è solo una parte della storia. Nei mondi virtuali e nei videogiochi le persone si appiattiscono a personae. Nei social network le persone si riducono a profili”.

Possiamo dunque pensare che il fiorire dei festival (che se sopravvivono, evidentemente, rispondono alle leggi del mercato, ossia rendono) sia dovuto al bisogno crescente di incontrarsi di persona e di scambiare idee vis a vis. E senza dubbio questo c’entra. È possibile “conoscere” diversi lettori appassionati in coda ai festival letterari, quasi che la presenza lì sia garante della loro appartenenza allo stesso universo. Parliamo la stessa lingua – il messaggio implicito – e quindi posso rivolgerti la parola anche se non ti ho mai visto prima.

Certo, questo succede anche nei social, di rivolgere la parola a perfetti sconosciuti, ma lì tutto è passibile di essere una menzogna. Sempre Turkle racconta di aver conosciuto una giovane bella donna, poco più che trentenne, che le avrebbe confessato di sentirsi colpevole di parlare con la nonna via Skype perché “la nonna ignorava che Skype permette un multitasking surrettizio: [l’altra] era in grado di vedere sul monitor il [suo] volto ma non le sue mani”. Ecco, ai festival siamo costretti a essere interamente presenti. E in più c’è il dato esperienziale.

Perché infatti, viene ancora da chiedersi, in Italia si legge poco (molto poco) ma i festival letterari proliferano? Perché offrono un’esperienza, cioè qualcosa cui partecipiamo attivamente e non subiamo in modo passivo, come quando guardiamo un programma televisivo. Siamo lì, possiamo dire la nostra, farci autografare il libro, e anche esibirla, questa esperienza (accettando l’invito di Turkle a renderci conto di quanto l’abitudine ai social ci condizioni).

Sono una moda? Probabilmente no. Alcuni hanno più di quattro lustri, altri sono neonati.

Sono un nuovo modo di impiegare l’impresa culturale italiana? Anche.

Finiscono con l’essere in concorrenza tra di loro? Sì e no, anche perché in qualche modo, a parte i più grossi, sono fortemente radicati nel territorio e al territorio parlano.

Abbiamo chiesto qualche retroscena a chi li organizza per mestiere: Emanuela e Giulia Cananzi, alla direzione artistica del Festival del viaggiatore di Asolo (TV)e di Libri in Cantina, mostra della piccola e media editoria, che si tiene a Susegana (TV).

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