SCIENZA E RICERCA

La Luna: una tavolozza di colori

Erano le 02:56 del 21 luglio 1969 quando l’astronauta Neil Armstrong mise piede sulla Luna durante la missione Apollo 11 della Nasa. Una conquista per la scienza e una conquista per l’uomo che oggi compie quasi cinquant’anni. All’avventura di Neil Armstrong ne seguirono poi altre quell’anno: misero piede sulla Luna anche il compagno di Neil, Buzz Aldrin, seguito poi da Charles Conrad e Alan Bean qualche mese dopo, con la missione Apollo 12. Ogni allunaggio ha portato nuove conoscenze sulle missioni spaziali e sul nostro satellite naturale, attraverso documenti, fotografie e racconti degli astronauti. Ma non solo. Alan, mancato il 26 maggio scorso, negli ultimi anni di vita ci ha regalato delle “opere d’arte lunari”. Dedicatosi all’arte, l’astronauta ha fissato su tela i ricordi delle sue avventure spaziali arrivando ad affermare di non voler più essere chiamato “ingegnere” ma “artista”.

Ne è nato un racconto artistico, di cui anche Paolo Attivissimo ha scritto di recente nel suo blog, che ben combina approccio artistico e approccio scientifico in uno dei più grandi passi compiuti dalla scienza e dall’uomo. Infatti nelle opere di Alan c’è di più. In un tweet del 26 maggio Phil Metzger, esperto di planetologia e co-fondatore dei laboratori di ricerca Swamp Works del Kennedy Space Center, a seguito di una conversazione avuta con l’astronauta, scrive: “La maggior parte delle persone vede la Luna in scala di grigi, ma Alan la vedeva ricca di colori”. Basta osservare le opere d’arte dell’astronauta per notare subito colori che vanno dal grigio alle sfumature del rosso.

Un tema molto curioso se pensiamo all’immagine della Luna alta nel cielo che ai più viene in mente: un disco bianco e luminoso, con qualche zona più scura, grigiastra, perché è così che ci appare quando la osserviamo. Eppure la Luna non è bianca. E perché allora ci appare di quel colore? Qual è il colore della Luna vista da Alan e dagli altri uomini che l’hanno calpestata?

Per rispondere è necessario prendere in considerazione molti aspetti diversi: la composizione del terreno lunare, l’atmosfera terrestre, il meccanismo della visione e il contributo che il nostro cervello dà nell’elaborazione delle immagini che vediamo.

Monica Lazzarin, docente del Dipartimento di fisica e astronomia dell’università di Padova, ci racconta che “la Luna non è bianca ma ha dei colori che sono legati soprattutto alla variazione delle quantità di ferro e titanio, ma anche di altri materiali come l’alluminio”. Grazie alle meteoriti lunari scoperte sulla Terra e ai campioni riportati sul nostro Pianeta da alcune missioni spaziali (le sei missioni statunitensi Apollo 11, 12, 14, 15, 16, 17 e le tre missioni sovietiche Luna 16, 20, 24) si è potuto stabilire che nei mari lunari (le vaste aree di colore più scuro rispetto al resto della superficie) sono presenti dei basalti dal colore scuro, mentre nei rilievi e negli altopiani sono state trovate delle anortositi dal colore più chiaro. Altra caratteristica della superficie lunare è la regolite, cioè uno strato di sabbia finissima composta da sferule di basalti, anortositi e brecce che ricopre completamente la superficie della Luna con uno spessore dai tre ai cinque centimetri nei mari e fino a dieci-venti metri sulle alture. I paesaggi lunari che derivano da quest’insieme di colori possono quindi ricordare alcuni paesaggi terrestri. La composizione della Luna infatti è simile a quella del mantello terrestre sebbene i campioni di rocce raccolte dalle sonde spaziali siano più antichi delle rocce terrestri: 3 miliardi di anni per i basalti dei mari lunari e 4,5 miliardi di anni per le rocce dei continenti, contro i 3,8 miliardi di anni fa delle rocce più antiche della Terra. Secondo queste informazioni il colore della Luna è per la maggior parte grigio con qualche sfumatura che si avvicina al blu e qualche zona che tende al marrone-arancio, tonalità che troviamo anche sulla Terra.

Eppure la Luna continua ad apparirci come un disco bianco e luminoso, quando è alta nel cielo, piuttosto che con queste sfumature di colore. Oltre al ruolo che in questo gioca l’atmosfera terrestre, molto interessante è il ruolo giocato dal nostro cervello. Secondo una teoria della visione che Paola Bressan del Dipartimento di psicologia generale dell’università di Padova ha contribuito a sviluppare (The place of white in a world of grays: A double-anchoring theory of lightness perception. Psychological Review. 2006) “il nostro cervello assegna automaticamente il colore bianco alla regione più chiara di una scena, e aggiusta tutti gli altri colori di conseguenza. Questo significa che uno stesso oggetto può apparire bianco, grigio o nero a seconda del contesto in cui si trova ed è proprio ciò che accade quando osserviamo la Luna in cielo”. Un po’ come se illuminassimo con la luce bianca di un proiettore un disco di colore scuro in una stanza buia: il disco ci apparirebbe chiarissimo e solo affiancandovi un oggetto bianco il disco assumerebbe un colore vicino a quello originale. “Il mondo che vediamo – continua Paola – è qualcosa che il nostro cervello costruisce interamente partendo dagli stimoli che arrivano dai nostri sensi. Certo, la sensazione che abbiamo noi non è quella di costruire il mondo ma di guardarlo, però questo è dovuto solo al fatto che siamo veloci e bravi a costruirlo” (da Il colore della luna. Come vediamo e perché, Ed. Laterza, 2007).

Grazie al miglioramento delle tecnologie di acquisizione delle immagini, per molti fenomeni siamo in grado di combinare quello che la strumentazione riprende con le conoscenze scientifiche sviluppate e avere un confronto con le nostre percezioni, così da definire un quadro che si avvicini sempre più alla “realtà”.

Ecco che allora per Alan Bean, e per chi come lui ha calpestato il suolo lunare, quel terreno non appariva bianco. Alan, l’“astronauta-artista” dipinge sulla tela una Luna che va dal grigio a sfumature vicine al rosso passando per sfumature del blu e dell’arancio, lasciando così testimonianza al mondo di una delle vicende più importanti nella storia dell’uomo grazie a quel linguaggio universale che è l’arte.

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