SOCIETÀ

Magistrati, la deriva autoritaria della Polonia: cosa può fare l'Ue?

Giudici asserviti al potere esecutivo: e chi sgarra sarà punito. Divieto assoluto di critica su qualsiasi decisione del governo, comprese le nomine. Divieto, sempre per i magistrati, di svolgere qualsiasi attività pubblica che possa essere considerata “politica” (quindi anche esprimere una propria idea o un parere, perfino partecipare a manifestazioni pubbliche). Chi non si atterrà alle nuove regole, a seconda della gravità dell’infrazione, potrà essere multato, degradato e infine licenziato. Questo manifesto, che contraddice le più elementari regole della convivenza democratica, arriva dalla Polonia, dove il declino sul piano dei diritti civili sembra inarrestabile.

Pochi giorni fa è stata approvata dal Parlamento la legge fortemente voluta dal partito di estrema destra “Diritto e giustizia” (Pis) che dal 2015 governa il paese. Una legge che era stata inizialmente respinta dal Senato, dove l’opposizione ha una lieve maggioranza, ma la “Camera bassa” del Parlamento polacco, ampiamente controllato da Diritto e Giustizia, ha dato la sua approvazione. E tanto è bastato per il varo definitivo del testo (al quale manca soltanto la firma del presidente polacco Andrzej Duda, anche lui esponente di Diritto e Giustizia). La presidente della Corte suprema polacca, Malgorzata Gersdorf, l’ha definita una “legge museruola”.

È scontro aperto con l’Unione Europea

Polonia e Unione Europea entrano così definitivamente in rotta di collisione. Perché la norma votata dal governo di Varsavia viola non soltanto lo stato di diritto, ma anche l’indipendenza e l’inamovibilità dei giudici, principio sancito nel Trattato. Oltre a collidere con i valori fondanti dei paesi che fanno parte dell’UE (articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali nell’Unione Europea). La Polonia era già finita nella black list della Commissione Ue nel luglio 2018: è stato il primo paese dell’Unione (seguito a stretto giro dall’Ungheria di Victor Orban) per il quale è stata avviata una procedura d’infrazione per violazione dell’articolo 7 del Trattato, che detta appunto la linea da seguire nei casi di “violazione sistematica dello stato di diritto”.

Perché il governo guidato da Mateusz Morawiecki, il premier economista in carica dal dicembre 2017, ha deciso di silenziare qualsiasi forma di dissenso: dei giornalisti, dell’opinione pubblica e, appunto, dei giudici. Il primo tentativo era una legge che diminuiva retroattivamente l’età pensionabile dei giudici della Corte Suprema, con l’obiettivo di mandarne in pensione 27 su 72. «E’ una riforma necessaria per scardinare la presenza di anziani giudici comunisti nella Corte, in quanto inefficienti e legati a un passato ormai sorpassato», aveva spiegato il governo. Nell’ottobre del 2018 la Corte di Giustizia Europea aveva ordinato alla Polonia di sospendere la legge, in quanto «lesiva del principio di autonomia giudiziaria e di inamovibilità dei giudici come valori fondanti dell’Unione». Il governo polacco (che ha poi varato nuove regole per le nomine dei componenti del Krs, il Consiglio Nazionale della Magistratura: 15 giudici su 25 scelti dal Parlamento) era stato così costretto a fare marcia indietro per non arrivare allo strappo con l’Ue.

Ma ora la tensione torna altissima. La nuova “legge-bavaglio” è stata aspramente criticata dall’Unione Europea, che ha deferito la Polonia alla Corte di Giustizia Europea. «Il nuovo regime disciplinare – si legge nel provvedimento - non garantisce l'indipendenza e l'imparzialità della sezione disciplinare della Corte suprema, composta esclusivamente da giudici nominati dal Consiglio Nazionale della Magistratura, a sua volta nominato politicamente dal parlamento polacco». Il 12 gennaio scorso, a Varsavia, avevano sfilato in una manifestazione di protesta silenziosa magistrati provenienti da diversi paesi dell’UE. La Commissione Ue, all’indomani del voto della Camera bassa, ha fatto sapere di essere “molto preoccupata” per la situazione dello stato di diritto in Polonia. In una lettera inviata a Varsavia il 19 dicembre scorso la commissaria Ue alla Trasparenza, Vera Jourova, aveva chiesto al governo polacco di “non portare avanti il processo di adozione della normativa senza ulteriori consultazioni”. Il governo Morawiecki ha deciso di tirare dritto.

La minaccia dello stop ai finanziamenti Ue

Cosa può fare davvero l’Europa per frenare la deriva autoritaria di Varsavia? Ora non molto, dal prossimo anno qualcosa in più. Per arrivare alla sanzione finale (sospensione dei diritti dello stato membro, compreso quello di voto) servirebbe il voto unanime di tutti i capi di Stato e di governo. Ipotesi improbabile: gli stati accusati potrebbero trovare appoggio da altre nazioni in simili condizioni (Polonia e Ungheria, ad esempio, potrebbero “salvarsi” a vicenda). Resta la leva dei soldi, dei contributi che l’Unione Europea riceve e versa da ogni Stato membro. Nel caso della Polonia (i dati si riferiscono al 2017) 3,048 miliardi di euro versati e 11,921 miliardi ricevuti. A gennaio del 2019 il Parlamento Europeo ha approvato una norma che prevede, a partire dal 2021, tagli ai fondi (dalla riduzione al blocco) per i Paesi che violano lo Stato di diritto (tra i parlamentari italiani, per la cronaca, la Lega ha votato contro, mentre il Movimento 5 Stelle si è astenuto). La decisione finale spetterà al Consiglio Europeo, a maggioranza. Se ne parlerà dunque il prossimo anno.

Il premier Morawiecki: il lavoro dei giudici dev’essere valutato

Il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ostenta fiducia. La scorsa settimana, intervistato dal canale all news CNBC, è tornato a definire “necessaria” la riforma. «Crediamo semplicemente che ci debba essere una valutazione obiettiva delle prestazioni della magistratura, come avviene in altre giurisdizioni. Per questo la riforma è così necessaria». Argomento, che anche in Italia, ciclicamente, torna ad affiorare nelle dichiarazioni di qualche politico di destra. E alla domanda: crede che la Polonia possa rischiare di perdere i finanziamenti dell’Unione Europea, il premier polacco ha risposto: «Davvero non la penso così. Penso invece che sempre più leader capiscano che è necessario riformare il sistema giudiziario in Polonia». Intanto, come riporta il New York Times, il viceministro degli Esteri Pawel Jablonski ha ringhiato contro l’Unione Europea, e in particolare contro il portavoce della Commissione, Christian Wigand, che aveva criticato il varo della legge. «Dichiarazioni inammissibili», le ha definite Jablonski. «Dichiarazioni che vanno oltre le competenze dell’Unione Europea, che non ha il diritto di valutare l'indipendenza e la legittimità giuridica delle corti costituzionali degli Stati membri».

Come scriveva Milena Gabanelli, in un reportage pubblicato nel maggio dello scorso anno sul Corriere della Sera: «L’Europa non è solo mercato, ma una comunità di valori, libertà e diritti conquistati con il sangue e non negoziabili. Il pericolo, dopo 70 anni di pace e prosperità, è di una lenta deriva. Se una parte della Ue controlla giudici e media, violando impunemente e in maniera sistematica le libertà fondamentali e la separazione dei poteri, si creano precedenti che prima o poi legittimeranno anche altrove abusi sempre più evidenti. Indebolendo l’inderogabilità delle norme condivise, si creano i presupposti che avvelenano la vita sociale. A rischio non è solo la democrazia nei singoli Stati ma la stessa identità dell’Europa unita».

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