CULTURA

La maledizione ereditata. Francesca Ghedini racconta cinque donne nel mito

Maledette. Le donne nel mito (Marsilio, 2023) è l’ultimo libro di Francesca Ghedini, professoressa emerita di archeologia all’università di Padova. In quest’opera l’autrice ripercorre le biografie di cinque figure chiave nel mito greco e romano: Circe, Pasifae, Arianna, Fedra e Medea. Attraverso l’analisi di fonti letterarie e figurative, l’autrice ricostruisce le storie e le personalità di queste donne da una prospettiva a tratti inaspettata, capace di sfidare le tradizionali interpretazioni del mito classico.

“Ho scelto queste cinque donne perché sono unite da un legame familiare molto stretto”, racconta Francesca Ghedini a Il Bo Live. “Sono tutte figlie o nipoti del Sole e fanno parte, quindi, di una stirpe piuttosto importante nella mitologia greca”. Ma c’è anche un altro legame che le unisce, ed è dovuto a una maledizione lanciata da Afrodite al Sole, colui che tutto vede e tutto ascolta, per aver raccontato ad Efesto, il marito della dea, di una relazione clandestina tra lei e Ares. “Efesto non la prende affatto bene”, continua Ghedini. “Imprigiona Afrodite e Ares in una rete sottilissima da lui costruita e li espone al pubblico ludibrio di tutto l’Olimpo. Per questo motivo Afrodite maledice il Sole e tutta la sua discendenza, condannandoli a vivere solamente amori infelici”.

“Circe e Pasifae sono le figlie del Sole”, continua Ghedini. “Purtroppo, però non si incontrano quasi, perché Circe viene ben presto esiliata in un’isola del Mediterraneo. La sua sfrontatezza, infatti, la rende un pericolo per la società”. Il più celebre degli amori infelici di Circe è senza dubbio quello per Odisseo, narrato da Omero. Eppure, Circe non è semplicemente un personaggio dell’Odissea. Esistono molti altri episodi del mito, alcuni poco conosciuti, che Ghedini ripercorre nel libro per restituirci una biografia più completa della maga più famosa dell’antichità: dal suo incontro con Medea e Giasone, che hanno bisogno di aiuto per espiare una terribile colpa, alla nascita di Telegono, il figlio avuto da Odisseo e destinato a uccidere suo padre per errore, fino alle molte altre delusioni amorose raccontate nelle Metamorfosi di Ovidio.

Un destino ben diverso, ma altrettanto tragico, è quello che attende sua sorella Pasifae, sposa di Minosse e regina di Creta. “Vittima di un amore nefasto e contro natura, Pasifae si innamora di un toro bianco”, racconta Ghedini. “Da questa unione terribile nasce il Minotauro”. L’amore bestiale di Pasifae rappresenta uno degli episodi più controversi del mito, al punto che, come riporta Ghedini nel libro, ne esiste un’altra versione meno celebre nel mondo antico, secondo la quale la regina di Creta non si sarebbe invaghita di un animale, bensì di un bellissimo giovane di nome Toro (o Tauro).

Proprio l’esistenza di più versioni discordanti delle stesse vicende rende particolarmente complesso il lavoro di ricostruzione degli antichi protagonisti del mito.

“Ho ricostruito queste biografie attraverso due tipologie di fonti”, spiega l’autrice. “In primis quelle letterarie, che da Omero ai tragici greci, fino a Ovidio e agli scritti tardoantichi rappresentano una vera e propria miniera di racconti favolosi. E poi, soprattutto, le fonti iconografiche. Nonostante le immagini non siano solitamente il principale strumento di ricostruzione delle biografie antiche, esse nascondono in realtà tantissime rielaborazioni e versioni alternative della tradizione classica che non ero riuscita a estrapolare dalle fonti scritte.

Un esempio di ciò lo ritroviamo nella storia di Arianna. Figlia di Pasifae e perciò nipote del Sole, a causa della maledizione di Afrodite si innamora del principe ateniese Teseo, e lo aiuta a uccidere il Minotauro. Fugge con lui, ma egli la abbandona sull’isola di Nasso. Ebbene, questo abbandono viene narrato in modi diversi anche a seconda del contesto sociale e politico di riferimento. Mentre infatti la maggior parte delle tradizioni figurative mostra Teseo che fugge vigliaccamente abbandonando la donna che gli aveva salvato la vita addormentata sull'isola, esistono anche rappresentazioni diverse. Una lastra di terracotta proveniente da Roma datata all'inizio del I secolo d.C. mostra, ad esempio, una scena totalmente inedita. In questo caso Arianna è sveglia e si asciuga le lacrime con un lembo della veste mentre Teseo le spiega che deve per forza abbandonarla perché così gli hanno comandato gli dei”. Il perché di questa versione alternativa è presto spiegato. “La lastra in questione risale alla prima età augustea”, specifica la professoressa. “Augusto, che si immedesimava nel personaggio di Teseo, non poteva certo accettare che l’eroe ateniese passasse alla storia come un vigliacco traditore; preferiva invece che fosse rappresentato come un uomo retto che obbediva al volere degli dei”.

L'intervista alla professoressa Ghedini. Montaggio di Barbara Paknazar

“Ma il personaggio che più mi ha affascinata e allo stesso tempo spaventata è certamente Medea”, prosegue Ghedini. “Medea non è solo l’archetipo della donna che uccide per gelosia, ma ha una storia molto articolata. Figlia di Aietes, fratello di Circe e Pasifae, anche lei è nipote del Sole e vittima della maledizione di Afrodite, che la fa innamorare di Giasone, giunto in Colchide per rapire il vello d’oro (il manto dorato di un ariete alato dotato di poteri curativi, ndr). Medea aiuta l’eroe in questa impresa impossibile e, proprio come Arianna, scappa con lui”. Il primo delitto di cui si macchia Medea è la terribile uccisione dell’amato fratellino Assirto. Il bambino l’aveva infatti seguita sulla nave Argo. La donna però lo uccide e getta in mare i pezzi del suo cadavere per obbligare il padre Aietes, che li stava inseguendo, a fermarsi per raccoglierli e garantire al figlio una degna sepoltura.

Giasone porta Medea con sé a Corinto, ne fa la sua compagna e ha due figli da lei. Quando però il re di Corinto gli propone di sposare sua figlia Creusa, rendendolo quindi erede al trono, lui decide di lasciare Medea. “Naturalmente la donna non può accettare la decisione di Giasone, e uccide i loro due figli”, racconta Ghedini. “In uno stupendo affresco a Ercolano, Medea tiene la spada in mano come una sorta di fiore, e medita. Si tratta della rappresentazione figurativa di un passo di Euripide successivamente ripreso anche da Seneca. Prima di compiere l’efferato delitto, infatti, la donna ha un ripensamento, non è sicura di voler uccidere i suoi bambini”. Nonostante ciò, non c’è possibilità di scampo per lei. Vittima della maledizione di Afrodite, diventa carnefice a sua volta.

L’ultima eroina tragica protagonista dell’opera di Ghedini è Fedra, figlia di Pasifae. “Fedra diventa moglie dello stesso uomo che era fuggito con la sorella Arianna e che poi l’aveva abbandonata: Teseo, re di Atene”, sottolinea l’autrice. “Anche in questo caso si possono osservare alcune differenze tra il mondo greco e quello romano nel modo in cui viene rappresentato questo mito. Pazzamente invaghita di Ippolito, figlio di suo marito, a causa della crudelissima Afrodite, la Fedra di Euripide si suicida perché ha saputo che il giovane aveva scoperto del suo amore per lui. Si lega però al polso una lettera in cui denuncia di essere stata stuprata da lui. Teseo non può non credere al messaggio lasciato dalla morente, e condanna il figlio ad essere ucciso straziato dai suoi cavalli. L’epilogo è lo stesso anche nella Fedra di Seneca e in quella di Ovidio, nelle quali, però, è la donna in persona a sporgere la falsa denuncia al marito. La Fedra di Seneca in particolare, si suicida solo dopo aver visto il cadavere del giovane, trafiggendosi con la sua spada”.

La professoressa Ghedini esprime infine la preoccupazione che alcuni degli episodi del mito classico, in particolare quelli più volenti e sessisti, vengano investiti dalla cosiddetta cancel culture – ovvero l’eliminazione sistematica e volontaria di avvenimenti, opere di ingegno e ideologie non in linea con la sensibilità e i valori in cui si riconosce una società in un determinato momento storico. “Non leggere e non studiare più questi miti sarebbe sbagliato”, riflette Ghedini. “Noi non possiamo certo condividere alcuni dei principi che viziavano la cultura antica, ma è comunque interessante approfondirli per risalire meglio alla loro origine”. Lo studio della storia e della mitologia classica permette infatti di comprendere, ad esempio, quanto siano antiche le radici di quello squilibrio di potere tra uomini e donne su cui si fondano ancora adesso le disuguaglianze e le discriminazioni di genere.

Proprio studiando la mitologia classica, la professoressa Ghedini ha individuato due elementi caratterizzanti della profonda misoginia che permeava la società greca e romana. “Credo che esistesse, in primis, una sorta di paura della potenza luminosa del corpo femminile, che non viene quasi mai rappresentato totalmente nudo; sono state tuttavia ritrovate alcune coppe attiche del VI secolo a.C. che rappresentano Circe completamente svestita. La nudità femminile era il simbolo del terrore che l’uomo nutriva per il corpo della donna, capace di dare e di togliere la vita. Anche l’intelligenza femminile, che si temeva potesse minare il dominio dell'uomo sulla donna, era oggetto di paura nella società antica. Insomma, credo sia fondamentale approfondire e studiare questi aspetti per capire come nasce e si sviluppa il pregiudizio di genere nei secoli”.

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