SOCIETÀ
Migrazioni, Green Deal, difesa comune: una “bussola” per le Europee
Foto di Ali Levlog
Ancora pochi giorni e tutti noi, cittadini d’Europa (circa 373 milioni), potremo votare per eleggere i 720 deputati che comporranno il prossimo Parlamento europeo. Da calendario: il 6 giugno si voterà nei Paesi Bassi, il 7 in Irlanda, sabato 8 in Lettonia, Slovacchia e Malta. In Repubblica Ceca urne aperte il 7 e l’8, in Italia l’8 e il 9. In tutti gli altri paesi dell’UE si voterà domenica 9. Il risultato delle urne avrà conseguenze concrete e dirette per tutti noi: perché la nuova maggioranza parlamentare determinerà la traiettoria politica dell’UE, e a ricasco per ciascuno dei 27 stati membri, per i prossimi 5 anni sui temi più svariati: dall’ambiente alle migrazioni, dall’agricoltura all’economia, dalla sicurezza all’equità fiscale. Con una grande incognita però: l’affluenza al voto, che nelle ultime elezioni, nel 2019, si era attestata in media al 50,7%, perfino in aumento rispetto al 42,6% registrato nel 2014. Questione di fiducia: che negli ultimi anni, va detto, è stata spesso tradita. La presidente del Parlamento Europeo, la maltese Roberta Metsola, l’ha rimarcato chiaramente lanciando il suo appello al voto: «Questo Parlamento può decidere su molte cose che contano per la vostra vita quotidiana. Non permettere a nessuno di scegliere per te. Per questo stiamo incoraggiando tutti ad andare a votare, a scegliere. Abbiamo assistito in questi anni – ha proseguito Metsola - a un arretramento dei valori democratici anche qui, in Europa. La democrazia richiede impegno, che le persone combattano per difenderla: altrimenti rischia di scomparire. E ci sono forze, sia all’interno dell’Europa sia all’esterno, per le quali l’Europa e la sua stessa esistenza rappresentano un pericolo. Questo è ciò contro cui dobbiamo combattere». Ma ancor prima delle concrete minacce rappresentate, con varie sfumature, dagli antieuropeisti e dagli ultranazionalisti, il voto di giugno sarà l’ennesimo banco di prova per testare la capacità di questa politica di attrarre gli elettori, di dialogare con le loro urgenze, di rappresentare le loro istanze sociali. Soprattutto dei più giovani. Quasi ovunque l’età minima per votare è 18 anni: fanno eccezione la Grecia, 17 anni, e quattro paesi, Germania, Belgio, Austria e Malta, dove potranno votare anche i 16enni. Ma non è detto che questo ampliamento della platea dei votanti vada automaticamente a rinsaldare i valori fondanti dell’Unione europea: vale a dire rispetto dei diritti umani, libertà, democrazia, uguaglianza e difesa dello stato di diritto.
Democrazia in pericolo
Come spiega Matthew MacWilliams, analista della Foundation International Communications Hub (più conosciuta come Comms Hub), in un articolo recentemente pubblicato su Politico: «In Europa la democrazia è concepita come un valore fondamentale che gode di un ampio e incrollabile sostegno pubblico. Perciò l’ondata di estrema destra prevista per le elezioni europee di giugno è vista come nient’altro che un fenomeno politico transitorio: sicuramente, la democrazia europea persisterà e persevererà nel tempo. Eppure la “favola” dell’inevitabilità della democrazia in Europa è tanto confortante quanto completamente sbagliata». Prosegue MacWilliams: «Il sostegno alla democrazia in tutta Europa è in realtà piuttosto basso. Secondo il sondaggio globale 2023 della Open Society Foundation, solo il 38% dei tedeschi dai 18 anni in su è un sostenitore coerente della democrazia. In Francia, il numero scende al 27%, mentre l’Italia e la Polonia si attestano a meno del 45%. Sono soprattutto i giovani europei i meno propensi a sostenere la democrazia rispetto ai loro genitori e nonni. In Germania, solo il 21% della Gen Z e dei millennial ha dichiarato di sostenerla, rispetto al 66% di quelli di età pari o superiore a 70 anni. In Polonia solo un quarto dei giovani tra i 18 e i 29 anni ha mostrato un sostegno costante alla democrazia, che è di 17 punti percentuali al di sotto della media nazionale. Lo stesso vale in Francia con solo il 14%. E anche in Italia il sostegno alla democrazia dei più giovani è appena del 34% cento. Si tratta di un’emergenza che, se non controllata e non corretta, fa presagire un futuro pericoloso per il Continente».
Questo dunque lo scenario, sul quale si muovono da un lato i partiti nazionali, a seconda della loro appartenenza ai Gruppi europei, e dall’altro gli elettori, costretti a faticare non poco per trovare una bussola in grado di offrire un orientamento affidabile. Le “famiglie” europee sono 7: i Popolari, che secondo le principali rilevazioni anche quest’anno otterranno il maggior numero di seggi (dovrebbero conquistarne 176, sostanzialmente stabile rispetto ai 176 attuali), i Socialisti (144, come gli attuali), i Liberali di Renew Europe (in flessione, da 102 dovrebbero passare a 82), i Verdi (anche loro da 71 a 41), la Sinistra (da 38 a 32). Poi ci sono i due gruppi di destra, quotati in grande ascesa: i Conservatori e Riformisti, dove ci sono Fratelli d’Italia e gli spagnoli di Vox, per capirci (da 64 passerebbero a 72) e la “destra-destra” di Identità e Democrazia, dove c’è la Lega e Marine Le Pen (da 64 seggi a 66) e da dove sono stati appena espulsi i neonazisti tedeschi di Alternative für Deutschland, per via di un candidato accusato di aver dichiarato che i membri delle SS non erano criminali. E c’è anche il sospetto che quel partito fosse un troyan nelle mani di Russia e Cina. Un’espulsione che avrà un costo alto, in termini di seggi. Ultimo gruppo, che Gruppo non è, quello dei “non iscritti”, i battitori liberi, spesso di estrema destra (i greci di Alba Dorata, gli Slovacchi di Kotleba), ma per l’Italia ci sono i 5 Stelle: oggi hanno 46 seggi, domani forse (con AfD) arriveranno a 50. Il piano delle destre, riassumendo all’estremo, è quello di rimpiazzare i Socialisti in una futura alleanza con Popolari e Liberali. Parte del Ppe è d’accordo, ma l’operazione appare in ripida salita, anche per le conseguenze, assai rischiose, che l’ingresso degli estremisti di destra potrebbe provocare sui “cardini” europei.
Ma al di là delle strategie dei vari gruppi e partiti, quali sono gli argomenti chiave che possono orientare il voto? La domanda non è oziosa, visto quel che sta accadendo per esempio in Italia, dove i temi peculiari alle candidature europee sono completamente scomparsi dal dibattito della campagna elettorale, trasformando il voto comunitario in una sorta di referendum di “apprezzamento” per le politiche interne. Ne abbiamo scelti alcuni. Li vedremo nel dettaglio, con le posizioni al proposito dei vari Gruppi.
Green Deal: non tutti sono d’accordo
Tutti i Gruppi concordano sul fatto che il futuro dell’Unione dovrà necessariamente passare attraverso lo sviluppo della Green Economy. Ma le “sfumature” sono tali e tante da rendere l’argomento uno dei più complessi, anche perché le critiche del “mondo produttivo”, chiamiamolo così, sono state feroci. Come se la competitività delle imprese fosse diventato argomento prevalente, da tutelare a prescindere dagli obiettivi climatici. Il Partito Popolare Europeo, che pure, nella legislatura che sta per terminare, attraverso la presidente della Commissione Ursula von der Leyen (in cerca di un secondo mandato), si era speso enormemente per l’attuazione del Green Deal, quel pacchetto di iniziative strategiche che punta (o almeno puntava) a far raggiungere all’UE, entro il 2050, la “neutralità climatica”: vale a dire zero emissioni di gas serra (e come step intermedio la riduzione netta del 55% delle emissioni entro il 2030, ma già si sa che l’obiettivo non sarà raggiunto: le previsioni indicano una riduzione del 51% entro la scadenza indicata) ha tirato il freno a mano. Soprattutto dopo la clamorosa protesta degli agricoltori, che lo scorso febbraio arrivarono con centinaia di trattori fino a Bruxelles: «Abbiamo bisogno di una politica che non sia offuscata da un’ideologia fuorviante - è scritto nel loro “Manifesto” - ma che fondi piuttosto su solide basi motivi di fatto e responsabilità sociale. Dobbiamo bilanciare i diversi interessi nella nostra economia, società e ambiente, riconoscendo le sfide dell’economia globale, del cambiamento climatico e delle mutevoli realtà demografiche del nostro continente». Come dire: senza un’economia in grado di essere competitiva non ci può essere nemmeno una protezione sostenibile del clima. I Socialisti sostengono invece il Green Deal, a patto però che il “costo” della transizione ecologica non venga scaricato sulle spalle dei più deboli, sui lavoratori: «Diciamo no all’austerità - è scritto nel loro Manifesto titolato “L’Europa che vogliamo” -. Diciamo sì alla protezione dei lavoratori dalle crisi, alla regolamentazione dei mercati finanziari, alla lotta alla speculazione. Ma le grandi aziende, i grandi inquinatori e gli ultra-ricchi devono pagare la loro giusta quota attraverso tasse sulle società, sui profitti straordinari, sui capitali, sulle transazioni finanziarie» (attorno al tema Tax the rich si sta sviluppando un movimento). Altre proposte: contrasto alla povertà energetica e al caro-bollette, approvvigionamento a favore dei più vulnerabili, e impegno per la riforma del mercato energetico per garantire la stabilità dei prezzi. Anche i Liberali di Renew Europe, pur condividendo l’obiettivo finale, spingono esplicitamente per una revisione del Green Deal, venendo incontro alle istanze avanzate dagli agricoltori: riduzione delle accise sui combustibili rinnovabili, come il biogas, e aumento della soglia per gli aiuti all’agricoltura. Per i Verdi il Green Deal non si tocca: e propongono l’emissione di Green Bond europei per finanziare un “fondo per la transizione verde e sociale”. La Sinistra propone invece di utilizzare il Meccanismo europeo di stabilità (il Mes) per finanziare la ristrutturazione delle abitazioni, l’abolizione del patto di stabilità (come spiega Il Sole 24 ore: soglia del 3% sul Pil per il deficit e del 60%, sempre sul PIL, per il debito complessivo), e la trasformazione del Recovery Fund (il fondo per la ripresa da 750 miliardi di euro approvato nel 2020 per aiutare gli stati membri a far fronte agli effetti della pandemia) in “meccanismo permanente” per stimolare crescita e investimenti. Altre proposte della Sinistra: un reddito minimo che “copra i bisogni fondamentali per una vita dignitosa” e riduzione delle ore lavorative. La destra prende invece nettamente le distanze dal Green Deal, con il Gruppo ECR che punta invece a “rivitalizzare la politica industriale”, proponendo libertà d’impresa per ogni cittadino, difendendo l’autonomia fiscale degli Stati membri (ogni Stato è sovrano e decide per sé) e dunque la “non interferenza europea” nelle questioni relative alla tassazione. Per poi puntare forte sul “made in”: «Vogliamo salvaguardare e promuovere la nostra identità unica in un mondo globalizzato preservando e promuovendo abilità e metodi artigianali tradizionali». Il Gruppo Identità e Democrazia non ha presentato programmi scritti in vista delle elezioni, ma la sua posizione sul tema Green Deal è chiara, avendo più volte definito il Commissario europeo per il clima, Frans Timmermans (Socialista) un “pericolo pubblico” per le imprese e per i cittadini dell’Ue.
Difesa Comune e politica estera: spaccatura nell’UE
È uno dei temi più divisivi. Le guerre in corso (in Ucraina soprattutto, ma anche in Medio Oriente) pur non toccando direttamente suolo europeo, stanno spingendo l’Unione Europea a porsi il problema di come affrontare future emergenze, e a calibrare di conseguenza un più efficace meccanismo comune di difesa. Che oggi non c’è, se non grazie all’appartenenza alla Nato. Il Ppe è favorevole alla creazione di un esercito europeo che agirebbe “in coordinazione” sia con i contingenti Nato sia con quelli dei singoli paesi (ma la “catena di comando” è ancora tutta da stabilire: e trovare un equilibrio non sarà semplice). I Socialisti, nel loro programma, non affrontano la questione “esercito comune”. Sostengono “una maggiore coordinazione tra le truppe della Nato e quelle degli Stati membri”, e il rafforzamento di missioni autonome internazionali dell’UE in un contesto di “prevenzione dei conflitti, mediazione e costruzione della pace”. E poi il potenziamento della produzione di attrezzature belliche, con investimenti mirati. Un punto, quest’ultimo, condiviso dai Liberali: «La pace tra gli europei è la più grande conquista dell’Ue e la pietra angolare della nostra prosperità. Dobbiamo rafforzare la difesa dell’Unione in modo che sia la Nato sia l’Europa siano rafforzate». Il presidente francese Macron, che di Renew Europe è una figura di primissimo piano, ha già detto che vorrebbe creare entro il 2025 una "forza di reazione rapida congiunta”. Investire nella produzione nel settore della difesa, secondo Renew, porterebbe nuovi posti di lavoro e dunque crescita economica. Macron inoltre vorrebbe estendere il suo “ombrello nucleare” a difesa dell’intera Europa. I Verdi aggirano il tema: «Pace, prosperità e sostenibilità vanno di pari passo – scrivono -. La transizione ecologica dell’Europa è uno strumento geopolitico e una responsabilità globale». La Sinistra è contraria a qualsiasi nuovo esercito, ribadendo che la sicurezza comune europea dev’essere basata sul dialogo: «La sicurezza deve fondarsi sulla pace e non sulle armi. È necessario fermare il riarmo in Europa». Mentre il gruppo dei Conservatori e Riformisti legge in chiave sovranista anche la questione militare: «L’esercito europeo è una riforma inutile che porterebbe più danni che benefici», sostengono. Ma al tempo stesso vorrebbero maggiori investimenti nella produzione di materiale bellico e nella ricerca in ambito militare.
Distinzioni nette anche sul capitolo della politica estera. Se per i Socialisti (che chiedono un riequilibrio delle relazioni con La Cina e l’apertura di negoziati con il Sud del mondo) è indispensabile che «l’Unione Europa deve parlare con una sola voce nelle questioni di politica estera e passare a decisioni più maggioritarie in alcune questioni politiche», superando così il principio dell’unanimità, per i Popolari (che condividono il superamento dell’unanimità) è indispensabile ritagliare una nuova figura, quella del Ministro degli Esteri dell’UE, e la formazione di un “Consiglio di sicurezza europeo”, al quale parteciperebbero gli Stati membri dell’Ue più alcune nazioni vicine (Regno Unito, Norvegia, Islanda). Renew spinge per un’Alleanza globale delle Democrazie contro l’insorgenza dei regimi autocratici. I Verdi, in linea con la loro politica, propongono un “contratto di pace” per l’Europa. Mentre Ecr teorizza una posizione “più sfumata” in politica estera (testualmente, dal programma: “Il nostro approccio alla promozione dei nostri interessi comuni è ricco di sfumature”), dichiarando tuttavia tra le priorità “la protezione dei cristiani perseguitati in tutto il mondo”.
Migranti, lo scontro continua
Quello delle migrazioni è un altro capitolo da sempre spinoso, con il Parlamento europeo che il mese scorso ha approvato un inasprimento delle norme dell’Ue in materia di migrazione e asilo, basato su due punti fermi: da un lato accelerazione delle procedure per la concessione dell’asilo (entro un massimo di 12 settimane), ma dall’altro rimpatrio sistematico dei migranti irregolari nei paesi d'origine. «I migranti - come riporta la Bbc - saranno soggetti a una procedura di screening pre-ingresso entro sette giorni, che includerà l’identificazione e i controlli sanitari e di sicurezza. Saranno inoltre raccolti dati biometrici per ogni migrante di età pari o superiore a sei anni». Lo scorso anno circa 380.000 persone hanno varcato illegalmente i confini dell’UE: numero irrisorio rispetto al milione e oltre registrato nel 2015, ma comunque il numero più alto negli ultimi 7 anni. La proposta più clamorosa, che non mancherà di scatenare polemiche, è quella presentata dai Popolari Europei: «Chiunque richieda asilo nell’Ue potrebbe essere trasferito in un Paese terzo sicuro per essere sottoposto alla procedura di asilo, che in caso di esito positivo sarà concessa dallo stesso Paese terzo». Una fotocopia del famigerato “modello Rwanda”, ideato dai conservatori britannici, già bocciato dalla Corte europea per i diritti dell’uomo e dalla Corte Suprema britannica, ma che il governo di Rishi Sunak, nonostante il mandato in scadenza (le prossime elezioni nel Regno Unito si terranno il prossimo 4 luglio) continua imperterrito a perseguire. E se i Socialisti fanno propria l’ultima revisione delle norme, i Verdi ribadiscono la loro ferma opposizione agli “accordi sporchi con i dittatori”, riferendosi al patto con la Tunisia, firmato dal tandem von der Leyen-Meloni (e non sono gli unici a criticarlo). «I partiti - sostengono i Verdi - si sono lasciati trascinare verso politiche migratorie di estrema destra». Altri pareri in ordine sparso: i Liberali chiedono che, nel controllo delle frontiere esterne, “la vita e la dignità delle persone restino al centro della questione migranti”; la Sinistra chiede l’abolizione dell’Accordo di Dublino e lo scioglimento di Frontex (l’Agenzia europea per la guardia costiera e di frontiera), sostenendo che il nuovo patto sulla migrazione e l’asilo deve essere cancellato, «perché condanna i rifugiati alla detenzione e, nella maggior parte dei casi, alla deportazione». Infine la destra di Ecr che vuole “blindare” i confini dell’Europa, proponendo una “strategia globale per potenziare le infrastrutture di tutti i possibili punti di ingresso, compresi i confini aerei, terrestri e marittimi”.
Tanti argomenti, posizioni differenti, a volte inconciliabili. Ma è proprio su questo che gli elettori europei, tutti, sono chiamati a esprimersi. Come scrive il Portale europeo per i giovani: “Usa il tuo voto. O saranno gli altri a decidere per te. E ricorda: non abbiamo sempre avuto questo privilegio. Le generazioni precedenti si sono battute per la democrazia: ora spetta alla nostra generazione tenerla al sicuro».