SCIENZA E RICERCA

Molti genitori sono ancora sensibili ai neuromiti

Ogni genitore sa che arriverà il momento in cui suo figlio si troverà di fronte a delle difficoltà, e dovrà essere affiancato nel miglior modo possibile. Per questo moltissimi genitori studiano e si documentano, per esempio leggendo libri o articoli scientifici e divulgativi. Purtroppo questi non sono sempre scritti da addetti ai lavori o da giornalisti esperti in comunicazione della scienza, e per questo motivo qualcosa può andare storto nonostante le buone intenzioni.
Nell'ambito delle neuroscienze, per esempio, possono diffondersi i cosiddetti neuromiti, delle false credenze che rimbalzano da sito a sito e da giornale a giornale finché il lettore non li dà per assodati: ne è un esempio l'idea che chi ha una parte destra del cervello più sviluppata sia più creativo. Un articolo pubblicato sul Journal of Science comunication riporta i risultati di un sondaggio olandese da cui emerge, tra le altre cose, che i genitori credono al 44,7% dei neuromiti anche quando hanno una buona alfabetizzazione neuroscientifica.
Per essere più precisi, quattro neuromiti su otto tra quelli presentati nel questionario sono stati creduti da più del 50% dei genitori e due (quelli sullo zucchero di cui parleremo più avanti e quello sull'emisfero dominante) avevano convinto rispettivamente il 77.8% e il 71.2% del campione.
Abbiamo intervistato Tiziana Metitieri, neuropsicologa all'ospedale Meyer di Firenze, per comprendere meglio queste dinamiche e come si potrebbe migliorare la comunicazione della scienza per rendere i genitori più consapevoli.

Servizio di Anna Cortelazzo e montaggio di Barbara Paknazar

Metitieri ci spiega come prima cosa che "neuromito" è un termine coniato negli anni Ottanta dal neurochirurgo Alan Crockard e che si riferisce a nozioni non scientifiche diffuse nella cultura medica, quindi anche nel mondo specialistico. In effetti i neuromiti hanno alla base delle premesse apparentemente scientifiche, e queste contribuiscono talvolta a ingannare anche gli addetti ai lavori: "Parliamo - chiarisce Metitieri - di pratiche pseudoscientifiche che possiedono l'apparenza superficiale della scienza ma mancano della sua sostanza, e quindi le affermazioni che costituiscono i neuromiti possono in certi casi avere anche una validità, o comunque non essere del tutto invalide, ma si discostano dalle evidenze scientifiche disponibili".

I neuromiti più diffusi sono quelli sulla dominanza emisferica del cervello, che suggeriscono che le inclinazioni personali derivino dallo sviluppo dell'emisfero destro o sinistro, l'idea che utilizziamo soltanto il 10% del nostro cervello, e che il cervello di ragazze e ragazzi sia diverso e che questo determini, per esempio, la scarsa propensione delle prime agli studi scientifici, quando in realtà questo accade prevalentemente per condizionamenti culturali. "Un altro neuromito - ricorda Metitieri - a cui crede più del 70% dei genitori, è che cibi zuccherati e bevande gassate provochino direttamente dei disturbi dell'attenzione o del comportamento come l'aggressività, oppure che tecniche di neuroimaging come la risonanza magnetica siano sufficienti per fare una diagnosi di autismo o di ADHD".

Non sempre i neuromiti hanno un impatto sulle scelte educative dei genitori: lo chiarisce bene lo studio olandese che abbiamo citato: non ci sono grandi differenze tra i genitori più portati a credere ai neuromiti e quelli più scettici. "Questi studi - precisa Metitieri - si basano però su sondaggi e autodichiarazioni, che possono anche essere condizionati dalla desiderabilità sociale". In altre parole i genitori, probabilmente in buona fede, pensano di non cambiare i loro comportamenti "ma ci può essere - spiega Metitieri - un condizionamento e quindi anche una variazione implicita del proprio comportamento, con decisioni non intenzionali o consapevoli. Per esempio se si pensa che il cervello di ragazzi e ragazze sia diverso li si potrebbe accompagnare nella scelta di diverse attività extrascolastiche a seconda del loro genere e quindi, di conseguenza, si rischia di esacerbare le differenze di genere". Del resto a volte le notizie vengono presentate senza sfumature, perché questo è più efficace per ottenere click e condivisioni sui social. Un atteggiamento del genere è dannoso non solo per tutti quei media che invece si affidano a solide ricerche scientifiche, che la maggior parte delle volte non restituiscono dati univoci, ma anche per chi leggendo gli articoli si fa l'idea di una realtà estremizzata, in cui una caratteristica presa singolarmente, per esempio la distrazione di un adolescente, diventa sintomo dirimente di un disturbo come l'ADHD.

In effetti i neuromiti hanno alla base delle premesse apparentemente scientifiche, e queste contribuiscono talvolta a ingannare anche gli addetti ai lavori Tiziana Metitieri

La buona notizia è che questi neuromiti si possono eliminare grazie a un capillare lavoro di comunicazione. Metitieri fa l'esempio dell'idea, un tempo molto diffusa, che in presenza di disturbi dell'apprendimento come la dislessia non servisse alcun tipo di intervento. Questo neuromito sta gradualmente sparendo, sia grazie a giornalisti e divulgatori sia per merito delle testimonianze dei più giovani, che raccontano sui social il loro percorso di diagnosi e cura, contribuendo a sensibilizzare sull'argomento altre persone.
Ci sono quindi degli interventi correttivi che possono combattere la diffusione dei neuromiti. Per prima cosa i genitori dovrebbero procedere a una selezione certosina delle fonti, e diffidare di fronte ad alcuni campanelli d'allarme come notizie troppo sensazionalistiche o viceversa eccessivamente semplificate (Metitieri fa notare che difficilmente si può spiegare un comportamento complesso tirando in ballo un unico neurone, per citare un tipo di notizia spesso riportata senza base scientifica). È utile anche verificare che chi ha scritto l'articolo sia un addetto ai lavori o comunque qualcuno specializzato nella comunicazione scientifica.

Dal lato dell'emittente bisogna proseguire sulla strada del dialogo con la cittadinanza, in questo caso i genitori, prevedendo spazi in cui gli scienziati possano interfacciarsi direttamente con i destinatari della conoscenza scientifica, ma anche svolgere ricerche per sciogliere i dubbi presentati dai genitori in questi contesti (i Paesi Bassi hanno lanciato un'agenda di ricerca che va proprio in questa direzione).
Secondo Metitieri però: "Questa conversazione più diretta già avviene, per esempio tramite i social, ma non è che abbia scalfito più di tanto i neuromiti. Come dicevamo il neuromito può essere presente anche all'origine nella comunità degli scienziati, che a volte per semplificare alcuni risultati tendono a mostrare la versione più intuitiva di un risultato compromettendo però l'integrità scientifica stessa. Bisognerebbe passare attraverso la mediazione che può essere fatta proprio da chi lavora nell'ambito della comunicazione scientifica. Chi è particolarmente interessato può poi andarsi a cercare più informazioni, cercando anche fonti diverse, e verificare che il contenuto non sia già stato smentito dagli altri o diventato obsoleto, oppure può chiedere direttamente a chi si occupa di questi argomenti".

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