La popolazione è continuamente esposta a radiazioni ionizzanti di origine naturale: raggi cosmici ad alta energia provenienti dall’alto e nuclidi radioattivi, come uranio, torio e potassio, provenienti dalla crosta terrestre. Dal decadimento dell’uranio origina il radon che rappresenta il maggior contributo alla dose, ma anche un pericolo per la salute. Nel 2009 l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), in una pubblicazione sull’argomento (Who handbook on indoor radon. A public health perspective), ha infatti definito il radon la seconda causa di cancro ai polmoni nella popolazione generale, dopo il fumo. Negli ultimi anni (ai sensi del trattato Euratom) la Commissione Europea sta compiendo molti sforzi per raccogliere, verificare e riportare informazioni sull’entità di rischio radon in ambito europeo e proprio per avere una panoramica più chiara della situazione relativa alle sorgenti naturali di radioattività, il Centro comune di ricerca della Commissione Europea, con la collaborazione di 60 istituzioni tra università, centri di ricerca, autorità nazionali ed organizzazioni internazionali, ha pubblicato l’Atlante europeo delle radiazioni naturali (European Atlas of Natural Radiation), che segue quello edito nel 1998 sulla deposizione del cesio 137 dopo l’incidente di Cernobyl (Atlas on Caesium-137 Deposition on Europe after the Chernobyl Accident).
Concepito come un’enciclopedia della radioattività naturale l’Atlante – di cui esiste una versione cartacea e una online che viene aggiornata periodicamente – descrive le diverse sorgenti di questo tipo di radioattività e illustra lo stato di conoscenza attuale, spiega Giorgia Cinelli del Centro comune di ricerca della Commissione europea.
Il documento fornisce valori di riferimento per le fonti naturali di radiazioni in tutta Europa e rende disponibile un set di dati armonizzati alla comunità scientifica e alle autorità governative offrendo una panoramica approfondita con la raccolta di testi, mappe e recensioni di oltre 100 esperti in vari settori disciplinari. L’obiettivo, inoltre, è anche quello di sensibilizzare la popolazione rispetto alla problematica del radon nel proprio territorio.
Guarda l'intervista completa a Giorgia Cinelli del Centro comune di ricerca della Commissione europea. Servizio di Monica Panetto, montaggio di Elisa Speronello
L’Atlante riporta le mappe di concentrazione di uranio, torio e potassio presenti nel suolo. La loro concentrazione dipende dal substrato roccioso: alcuni tipi di graniti o tufi, per esempio, hanno elevate concentrazioni di questi radionuclidi. Continua Cinelli: “Il radon, in particolare, è un gas radioattivo ed è un prodotto di decadimento dell’uranio, per cui la sua produzione nel suolo dipende da quanto uranio è presente e dalle caratteristiche di porosità e di impermeabilità. Questo gas tende ad accumularsi negli ambienti chiusi, come le nostre abitazioni, le scuole o i luoghi di lavoro, e rappresenta un problema per la nostra salute quando inalato. Nell’Atlante è riportata la mappa di concentrazione media di radon nelle abitazioni, su una griglia di 10 per 10 chilometri. Si possono notare delle aree con valori elevati di radon in corrispondenza delle zone dove si hanno le più alte concentrazioni di uranio e radio che sono i precursori del radon”. Il radon negli ambienti chiusi dipende non solo dalla quantità presente nel suolo – sebbene questa sia la maggior sorgente –, ma anche mai materiali da costruzione o dalle acque, dalle caratteristiche costruttive delle abitazioni e dalle abitudini di vita delle persone (aerare o meno l’ambiente, ad esempio, può fare la differenza).
Come agire, dunque, quando si rilevano elevati livelli di radioattività naturale? “Prendiamo come esempio il radon – approfondisce Giorgia Cinelli – che è il maggior contributo alla dose e rappresenta il maggior rischio per la salute. Le mappe possono dare solamente delle indicazioni su dove vi sia una probabilità maggiore di avere alti valori in ambienti chiusi, ma la valutazione del rischio deve essere fatta a livello di singolo edificio, che sia l’abitazione, il luogo di lavoro o la scuola. La misura deve essere rappresentativa dell’intero anno, perché ci sono grandi variazioni stagionali. In estate, grazie anche alla maggior aerazione, i valori sono molto più bassi, mentre in inverno molto più alti. Se i valori misurati, poi, sono al di sopra dei valori di riferimento delle normative nazionali è obbligatorio per i luoghi di lavoro e raccomandato per le abitazioni mettere in atto delle misure di risanamento per diminuire i valori. Le misure di risanamento possono riguardare interventi strutturali per evitare ad esempio che il radon risalga dalle fondamenta, dal basamento, o si possono aumentare i ricambi di aria nell’abitazione”.
Guarda l'intervista completa a Chiara Coletti del dipartimento di Geoscienze dell'università di Padova. Servizio di Monica Panetto, montaggio di Elisa Speronello
In seguito al 2nd International Workshop on the European Atlas of Natural Radiation del 2017, il Centro comune di ricerca della Commissione Europea ha coinvolto il dipartimento di Geoscienze dell’università di Padova, nelle persone di Raffaele Sassi, Claudio Mazzoli e Chiara Coletti, nella stesura dell’Atlante europeo delle radiazioni naturali. “In tale contesto – sottolineano gli scienziati – il Centro comune di ricerca, che gestisce i dati di monitoraggio ambientale (REM) forniti dagli Stati membri dell'Unione europea su base annuale, ha richiesto il nostro contributo con il fine di sostenere il ruolo della geologia come sorgente di radon, aspetto a lungo trascurato, ma fondamentale per la previsione del rischio in scala territoriale”.
Il contributo del gruppo si è focalizzato sul ruolo della geologia nella formazione e nel trasporto del radon in superficie. “Rocce, suoli e materiali da costruzione, infatti, - spiegano i ricercatori – rappresentano le sorgenti di radioattività naturale; faglie, fratture, discontinuità tettoniche e permeabilità del suolo sono invece i principali fattori che regolano la migrazione degli elementi radioattivi verso la superficie terreste ed il conseguente accumulo in abitazioni e luoghi di lavoro. Riconoscere il ruolo della geologia nell’individuazione di un potenziale rischio radon è fondamentale per lo sviluppo di politiche di sicurezza efficienti che sfruttino modelli di previsione e sistemi di mitigazione, territoriali e locali, adeguati”.
Il gruppo di ricerca padovano sul radon – che oltre a Sassi, Mazzoli e Coletti, oggi vede coinvolti anche Eleonora Benà, Antonio Galgaro e Lara Maritan – sta ora continuando le ricerche in questa direzione avvalendosi della collaborazione di altri Atenei e centri di ricerca italiani, quali l’università di Bologna, dove si occupano dell’argomento Laura Tositti, Domiziano Mostacci ed Erika Brattich; l’Istituto di geologia ambientale e geoingegneria di Roma con Giancarlo Ciotoli; l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia dove si occupano di queste tematiche Livio Ruggero, Alessandra Sciarra, Antonio Piersanti, Elena Spagnuolo.