SCIENZA E RICERCA

Monoclonali contro Covid-19: tra autorizzazioni, dibattito e ricerca

Gli anticorpi monoclonali contro Covid-19 potranno essere utilizzati anche in Italia. Nei giorni scorsi è infatti arrivato il via libera da parte dell’Agenzia italiana del farmaco, Aifa, che ne ha autorizzato l’impiego in fase precoce in pazienti con un elevato rischio di evoluzione della malattia e il ministro della Salute Roberto Speranza ha firmato il decreto, già pubblicato in Gazzetta ufficiale, che consente la distribuzione temporanea di questo tipo di terapia.

L’approvazione all'uso emergenziale riguarda i due prodotti sviluppati da Eli Lilly e Regeneron, già autorizzati nel novembre scorso dalla Food and Drug Administration americana e successivamente anche dall’ente regolatorio canadese. Ma il decreto italiano si spinge più avanti e prevede anche "l'associazione  di  anticorpi  monoclonali bamlanivimab-etesevimab,  prodotti  dall'azienda   farmaceutica   Eli Lilly,     e     l'associazione     di     anticorpi      monoclonali casirivimab-imdevimab dell'azienda farmaceutica Regeneron/Roche". E' quindi un via libera all'uso in combinazione su cui oltreoceano si è espressa positivamente in queste ore anche l'Fda, limitatamente al cocktail di Eli Lilly.

E qualcosa si muove anche a livello europeo dal momento che la European medicines agency, Ema, ha annunciato di aver iniziato la rolling review, vale a dire quel procedimento di revisione continua che permette l’analisi del dati man mano che gli studi procedono, senza quindi dover attendere un dossier finale accompagnato da una formale richiesta di autorizzazione da parte dell’azienda che ha sviluppato un dato farmaco o vaccino. L’avvio della valutazione da parte di Ema riguarda REGN-COV2, l’anticorpo monoclonale di Regeneron, e l’agenzia ha fatto sapere in una nota che la decisione di avviare la revisione si basa “sui risultati preliminari di uno studio che indica un effetto benefico del medicinale nel ridurre la quantità di virus nel naso e nella gola di pazienti non ospedalizzati con Covid-19” e che la procedura "continuerà fino a quando non saranno disponibili prove sufficienti”.

Nell’ultimo periodo da parte degli scienziati erano giunte molte sollecitazioni affinché gli anticorpi monoclonali venissero autorizzati anche in Europa. E nel contesto italiano era stato fatto notare come l’Aifa avesse in mano la possibilità di agire anticipatamente, analogamente a quanto fatto anche dalla Germania, sulla base della legge 648/1996 che, in assenza di un’alternativa terapeutica valida, consente l'approvazione di medicinali in corso di sperimentazione clinica o utilizzati in altri Paesi.

Limitazioni d'uso: fase iniziale e rischio grave

Le limitazioni con cui la Commissione tecnico scientifica di Aifa ha aperto la strada all’uso degli anticorpi monoclonali sono in linea con quelle già previste dal Canada e dagli Stati Uniti e riguardano proprio l’individuazione dei pazienti a cui questi farmaci dovranno essere destinati. Dovranno essere persone in cui l’infezione da SARS-CoV-2 rischia di avere un decorso grave. Ma dovranno anche essere pazienti in cui la malattia è nella fase iniziale. L’efficacia degli anticorpi monoclonali non può prescindere dalla tempestività, come dimostrato anche dagli studi scientifici condotti sul Bamlanivimab, il prodotto sviluppato da Eli Lilly: se usato in tempo riduce del 72% il rischio di ricovero in ospedale, ma se viene somministrato quando i sintomi sono già severi non è più capace di portare ad alcun beneficio clinico.

Proprio in questo incastro di tempistiche c’è una difficoltà che deve essere gestita con il coinvolgimento della medicina del territorio. La somministrazione avviene per via endovenosa ed è quindi un trattamento a cui un paziente non può accedere autonomamente. Se invece il paziente è già ospedalizzato il rischio è che la finestra temporale di efficacia sia terminata e che il farmaco non possa più apportare alcun beneficio.

Il ruolo degli anticorpi monoclonali, che in sostanza sono anticorpi particolarmente potenti selezionati tra i pazienti che hanno superato la malattia e poi prodotti sinteticamente in laboratorio, è infatti quello di legarsi alla proteina spike e impedire la replicazione del virus, fermando così il procedere dell’infezione.

Ma c’è un altro versante su cui gli anticorpi monoclonali potrebbero essere di estrema utilità ed è quello relativo alla profilassi. Un alleato con cui accompagnare il piano di vaccinazioni, consentendo anche di gestire con meno apprensione i ritardi nelle forniture o altri possibili rallentamenti rispetto agli obiettivi previsti. La protezione che sono in grado di offrire è di circa due o tre mesi, una durata che è inferiore rispetto a quella dei vaccini ma che consentirebbe comunque di proseguire la campagna di vaccinazione con maggiore serenità. 

Uno studio condotto insieme ai National Institutes of Health negli Usa ha evidenziato che il farmaco potrebbe prevenire circa l’80% dei casi Covid-19 tra i residenti e il personale delle case di cura. E nei giorni scorsi anche Guido Rasi, ex direttore esecutivo di Ema, aveva dichiarato a Il Bo Live che «un loro uso massivo nelle Rsa potrebbe indubbiamente essere una strategia perché in quel contesto c’è una struttura che consente un’adeguata capacità di somministrazione» e aveva aggiunto che «non è uno strumento semplice ma potremmo utilizzarlo molto di più.»

Il presidente dell'Agenzia italiana del farmaco Aifa, Giorgio Palù, ha spiegato in un'intervista all'Adnkronos che «non potevamo più attendere» davanti al «tributo di vittime che paghiamo ogni giorno» a causa di SARS-CoV-2, ha ringraziato il ministro della Salute Roberto Speranza per l'impegno che ha speso in questa direzione e ha aggiunto che «c'era qualche motivo di riflessione perché l'agenzia europea Ema non si è ancora espressa» ma che «ci sono dati inoppugnabili» da cui emerge che «sono un'arma potente se somministrata nelle prime fasi d'infezione, ai primi sintomi, prima che l'infezione progredisca.»

Palù è poi entrato nel merito delle modalità di utilizzo precisando che «serve un raccordo velocissimo fra diagnosi precoce della positività a SARS-CoV-2 e informazione, in modo che il Servizio sanitario nazionale intervenga per garantire l'uso dei monoclonali su soggetti con comorbosità e a rischio che l'infezione evolva in malattia grave, secondo l'indicazione». Come possibile soluzione ha ipotizzato un «sistema che permetta la somministrazione domiciliare con le Unità speciali di continuità assistenziale e con il coinvolgimento di ambulatori territoriali» ma ha anche evidenziato che sotto questo profilo alcune Regioni sono più avanti di altre e che servirebbe un sistema efficiente diffuso. Il decreto firmato dal ministro Speranza ha affidato il compito della distribuzione degli anticorpi monoclonali al commissario per l'emergenza Domenico Arcuri "secondo modalità e procedure dallo stesso definite" e il testo esplicita che spetterà ad Aifa "definire modalità e condizioni di impiego di questi medicinali, in coerenza con la scheda informativa dei prodotti approvata dalla medesima Agenzia". 

Quanto al capitolo costi, tema non trascurabile visti i prezzi elevati che caratterizzano questo trattamento, ci sarà un fondo speciale, reso disponibile dalla struttura commissariale per l'emergenza Covid, che permetterà di coprire le spese, che si aggirano tra i mille e i duemila euro a dose, e avviare il prima possibile gli acquisti. 

Ma se dagli Stati uniti Guido Silvestri, che a novembre si era esposto in prima linea per permettere all'Italia di sperimentare gli anticorpi monoclonali in modo gratuito attraverso un trial clinico su dieci mila pazienti ricevendo però all'epoca una risposta tiepida da parte di Aifa che non riteneva di poterli autorizzare prima di una decisione da parte di Ema, esulta per il traguardo raggiunto e sulla pagina Facebook Pillole di ottimismo ripercorre i dieci punti «sulla base dei quali io insisto per usare gli anticorpi monoclonali in via sperimentale e/o compassionevole nei soggetti ad alto rischio (i.e., oltre 65 anni e/o con patologie preesistenti)», altri scienziati hanno accolto con molto meno entusiasmo il via libera a questo trattamento.

Andrea Crisanti, direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia dell'Azienda ospedaliera di Padova e docente di Microbiologia dell'ateneo cittadino, li ha definiti senza tanti giri di parole «uno spreco di soldi senza precedenti» in quanto «vanno bene per chi non ne ha bisogno. Perché fondamentalmente hanno un effetto per i casi moderati e non gravi» di Covid-19. Intervenendo su Rai1 ha esplicitato la sua posizione spiegando che «in presenza di un vaccino, spendere 2-4mila euro per un anticorpo monoclonale senza nessun dato che dimostri che questi farmaci sono in grado di prevenire l'infezione grave, quando poi c'è il trial dell'Eli Lilly che dimostra che nei pazienti gravi sono controproducenti, penso che sia sbagliato.» 

In queste ore nel dibattito è intervenuta anche l'immunologa Antonella Viola, docente del dipartimento di Scienze biomediche dell'università di Padova e direttrice dell'istituto di ricerca pediatrica Fondazione Città della speranza, che su Facebook scrive che «se servisse a salvare qualche vita o a prevenire il ricovero in terapia intensiva anche di un numero modesto di persone, sarebbe comunque un'arma in più» ma chiarisce anche che «Per poterli usare al meglio, però, bisogna continuare la sperimentazione clinica attraverso studi controllati e randomizzati: non sappiamo ancora se funzionano e soprattutto in quali pazienti funzionano davvero. Bisogna quindi continuare a studiare, senza promettere che possano fare miracoli.» 

«Qualunque approccio che possa essere selettivo contro questo virus è estremamente promettente» spiegava Viola già nel maggio scorso al nostro giornale ricordando che al momento non esistono altri farmaci specifici contro SARS-CoV-2.

Un punto di preoccupazione è però rappresentato dalle mutazioni di SARS-CoV-2 perché gli anticorpi monoclonali sviluppati finora potrebbero non essere in grado di combattere le nuove varianti e sotto questo punto di vista potrebbero essere più sensibili ai cambiamenti del patogeno di quanto non lo siano i vaccini.  E, inoltre, aggiunge Viola nel suo post su Facebook «come il plasma, vanno utilizzati con la massima attenzione perché sono in grado di favorire lo sviluppo di varianti virali resistenti. Questo è un serio argomento che dovrebbe essere immediatamente messo sul tavolo di chi deciderà come e su quali pazienti utilizzarli.»

Un punto su cui chiede attenzione anche Enrico Bucci scrivendo sulle pagine de Il Foglio che "l’uso clinico di anticorpi monoclonali, come di tutti i farmaci antivirali, comporterà inevitabilmente la selezione di virus mutanti che potrebbero rispondere meno o non rispondere più alla terapia". Il biologo della Temple University invita inoltre a mettere da parte ogni bandiera divisiva e chiede che "si torni ai dati e agli studi: perché l’approvazione di emergenza, in quanto tale, è un’apertura di credito di fronte a una prima indicazione promettente, ma necessita poi di consolidarsi a fronte di osservazioni su scala più ampia e sulla base di studi più solidi di quelli condotti sinora".

Intanto la ricerca sugli anticorpi monoclonali va avanti e verso la primavera inoltrata, con un leggero ritardo rispetto alla tabella di marcia prevista inizialmente, dovrebbero essere disponibili anche quelli selezionati grazie alla collaborazione tra la Fondazione Toscana Life Sciences, guidata dal professor Rino Rappuoli, e l'istituto Spallanzani. Anche il team del genetista Giuseppe Novelli è al lavoro in questo ambito insieme all'università di Toronto che si avvale di una delle più complete banche dati di anticorpi del mondo.

In un recente intervista a Il Bo Live il direttore del laboratorio di Genetica medica dell'università di Roma Tor Vergata ha definito un aspetto positivo il fatto che molti gruppi su scala globale stiano proseguendo gli studi perché «gli anticorpi monoclonali non sono uguali e non sono ancora stati effettuati confronti di efficacia tra i prodotti sviluppati.» Inoltre «sono molto precisi e sono diretti a un target particolare del virus: se questo cambia non lo colpiscono più.» Avere a disposizione diversi anticorpi monoclonali è quindi una garanzia in più davanti alle mutazioni di SARS-CoV-2. «Siccome il virus sta cambiando, e si modificherà ancora, dobbiamo avere più anticorpi monoclonali possibili perché alcuni potrebbero essere più efficaci di altri a seconda delle varianti virali in circolazione», ha sottolineato Novelli. 

Ma per il futuro si punta già a migliorare l'approccio degli anticorpi monoclonali sotto due profili, quello di una maggiore facilità di utilizzo e quello del raggiungimento di un'efficacia che non sia messa a rischio dalle mutazioni a cui il virus va inesorabilmente incontro con le sue replicazioni. Per quanto riguarda il primo aspetto l'obiettivo è sviluppare anticorpi che possano essere somministrati con una semplice iniezione al braccio, come avviene per i vaccini. Sul versante delle performance del trattamento si punta allo sviluppo di prodotti che siano in grado di proteggere non solo contro futuri ceppi di SARS-CoV-2 ma anche da altri coronavirus che negli anni a venire potrebbero scatenare altre pandemie.

Il risultato finora più promettente è stato ottenuto dall'azienda biotech Adagio Therapeutics che ha presentato su Science i primi risultati e ha annunciato l'avvio dei test clinici di fase 1 entro pochi mesi. Il nuovo anticorpo, denominato ADG-2, è stato selezionato e ingegnerizzato a partire dagli anticorpi prodotti naturalmente da un paziente sopravvissuto alla Sars nel 2003 e ha dimostrato, sia in provetta che in vivo sui topi, che si lega efficacemente a tutte le varianti di SARS-CoV-2 finora note, con una protezione che dovrebbe estendersi per il periodo massimo di un anno. Inoltre, sottolinea l'azienda, riconoscendo una porzione del virus evolutivamente conservata, l'anticorpo potrebbe continuare ad agire con successo anche davanti alle prossime mutazioni di SARS-CoV-2 e potrebbe nuovamente tornare utile qualora altri coronavirus zoonotici effettuassero il salto di specie, evenienza che molti scienziati ritengono altamente probabile. 

 

E' quindi importante che la ricerca nell'ambito degli anticorpi monoclonali contro Covid-19 vada avanti anche perché uno studio americano pubblicato su Science e coordinato dal Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle ha già messo in guardia dalla possibilità che le mutazioni del virus SARS-CoV-2 influiscano negativamente sul riconoscimento da parte degli anticorpi monoclonali in commercio. «Per questo è importante che i governi diversifichino gli investimenti puntando su vari tipi di anticorpi, così come è stato fatto coi vaccini», ha commentato al riguardo il genetista Giuseppe Novelli. 

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