CULTURA

Le montagne di mezzo. Dialogo con Mauro Varotto

Un territorio può essere inventato? Può una regione del nostro pianeta prendere una forma non solamente dalle proprie caratteristiche fisiche, ma anche dalle proiezioni socio-culturali che una comunità vi stende? Succede da sempre nella storia dell’umanità con gli stati e le nazioni, che prima di essere soggetti politici sono stati (a volte) idee nella mente di alcuni. 

È successo anche con le montagne, in particolare con le Alpi, che sono state “inventate” o “costruite”, usando l'immagine di Antonio De Rossi, tra la fine dell’Ottocento e il secolo successivo, tra imprese alpinistiche, epica della conquista e sfruttamento turistico. Sono, prendendo a prestito una terminologia d’antan, un’invenzione borghese, di un tessuto economico benestante e urbano. 

Tra le Alpi e le città, però, c’è un’altra Italia, fatta di una montagna intermedia, non ancora vetta da conquistare o ammirare paesaggisticamente, ma contemporaneamente non-pianura, e quindi non adatta allo sviluppo urbano e industriale, scomoda per la produzione agricola, con un’orografia non selvaggia ma comunque tale da rendere complessa la logistica. Quello della montagna intermedia è un territorio dimenticato, che ha subito un forte spopolamento, che si è stato progressivamente messo da parte.

Le montagne di mezzo in Italia

Proprio alle montagne di mezzo è dedicato l’ultimo libro di Mauro Varotto, geografo dell’Università di Padova e coordinatore del Gruppo Terre Alte del Comitato scientifico centrale del Club alpino italiano. Questo territorio compreso convenzionalmente, tra i 600 e i 1500 metri di altitudine, è però una parte rilevante della superficie italiana. Leggendo Montagne di mezzo. Una nuova geografia (Einaudi, 2020), tra i molti dati che propone, si scopre per esempio che il 23,3% dell’Italia è costituito dalle montagne di mezzo. Sono oltre 7 milioni di ettari, cioè quasi il triplo di quelli di alta montagna (oltre i 1500 metri).

Guardandola dalla montagna di mezzo, l’Italia assume una conformazione diversa da quella a cui siamo abituati. Non sono le regioni dell’arco alpino quelle in testa a questa speciale classifica, ma l’Abruzzo, il Molise e la Basilicata.

Certo, come spiega Varotto, non si può ridurre l’idea della montagna, di mezzo o alta che sia, al solo dato altimetrico o alla pendenza dei versanti. C’è un insieme di istanze sociali, culturali, economiche che insistono sul territorio decretandone il suo essere “di montagna” o meno. Ma non siamo di fronte a un’idea platonica di “montagnosità” e questi criteri variano nel tempo e nello spazio. 

Oltre il dato altimetrico

Il libro di Varotto è una ricognizione geografica, nel senso più profondo del termine, delle montagne di mezzo oggi. A cominciare dagli stereotipi che le contraddistinguono nel discorso pubblico, nel marketing e nella promozione territoriale. Ma il punto di partenza reale per comprendere questi lembi di Italia, emblematico il titolo del quarto capitolo ‘Scarti e abbandoni’, sono i ruderi di una casera sul Monte Grappa. Per secoli simbolo della cura infusa dall’uomo sui versanti della montagna, la casera era l’espressione materiale più visibile del sistema prato-pascolo. Contadini, bovari, mandriani, caprai, pastori hanno usato queste strutture come ricovero in un modello economico completamente diverso da quello attuale. 

Con il cambio di paradigma economico e sociale, questo tipo di attività è diventato obsoleto, infruttuoso. Ma con esso se ne sono andati anche la gestione e la cura del territorio: lo sfalcio dei prati, la pulizia del bosco, il mantenimento delle arterie di comunicazione (sentieri, carrabili, ecc.) e delle opere come i muri a secco. Con conseguenze anche per chi vive a valle delle montagne di mezzo.

Il rapporto tra valle e montagna è sempre stato essenziale per entrambi i territori per poter funzionare. Non esiste una “montagna selvaggia”, incontaminata dall’azione umana. Come spiega Varotto, tutto il territorio che è stato abitato dall’uomo è stato progressivamente, in modo più o meno profondo, trasformato. Lo sguardo attuale sulle montagne di mezzo, all’interno del nostro paese, mostra quindi le conseguenze di scelte gestionali, culturali e politiche, che rendono oggi difficile ritornare a popolare la media montagna. Ma non impossibile. Quello spirito che vorrebbe l’archistar Stefano Boeri per la sua utopia di un’Italia dei borghi si deve ricostruire a partire dal riallacciare i legami tra pianura e montagna. Che oggi significa non solo rendere accessibile un territorio, ma anche per esempio far arrivare la connessione alla Rete (come ha raccontato Elisabetta Tola), non lasciare che la montagna di mezzo rimanga territorio residuale. Allora, forse, si potrà guardare a un’Italia diversa che, come racconta il giornalista Luca Martinelli, “è bella dentro”, nelle cosiddette aree interne, dove più che altrove si sono concentrate storie di resilienza, di resistenza e innovazione che stanno proponendo modelli - rigorosamente al plurale - di vita e sviluppo.

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