CULTURA

Morte e immortalità nel mito greco

Come è ormai ampiamente acquisito, soprattutto per merito degli studi dell’antropologia culturale, i miti antichi non corrispondono a frivole favolette rivolte ad un pubblico di minorenni, ma rivestono invece una grande rilevanza sotto il profilo concettuale e storico-filosofico. Da alcune fonti antiche, fra loro indipendenti, giungono notizie relative ad un episodio molto significativo di cui è protagonista il centauro Chirone, considerato inventore della chirurgia.

A differenza degli altri centauri, noti per la propensione alla rissa e allo stupro, e più in generale per il carattere indocile e violento, Chirone era dotato di un animo generoso e nobile, pronto ad accorrere in aiuto a chiunque si trovasse in difficoltà. Egli è considerato tra i centauri il più saggio e il più giusto, perché non rifiutò mai il suo aiuto a chiunque ne facesse richiesta, come quando prestò soccorso a Peleo, o quando aiutò Achille nel curare la ferita che Patroclo aveva subìto.

Alcune importanti considerazioni sono suggerite dalle circostanze della sua morte. Sopraggiunto per sostenere Eracle, in lotta contro alcuni centauri, Chirone viene accidentalmente ferito da una freccia intrisa del veleno (phármakon) tratto dal sangue dell’Idra di Lerna, scagliata accidentalmente dall’amico. Non ostante le cure prestate dallo stesso Eracle,  la ferita si rivela ben presto insanabile, mentre il dolore che essa provoca è insopportabile. D’altra parte, la natura semidivina di Chirone a lui conferisce l’immortalità, e con essa anche l’immutabilità della sofferenza. Di qui una decisione apparentemente sorprendente: il centauro cede a Prometeo l’immortalità, e può dunque beneficiare del sollievo connesso con la morte.

L’episodio a cui si è ora accennato rinforza ulteriormente la caratteristica più importante del personaggio eponimo della chirurgia. Generato da un atto di amore strappato con la forza, figlio di un dio e di una mortale, duplice nella sua natura di mezzo uomo e mezzo cavallo, Chirone è duplice anche per ciò che riguarda la sua morte. Essa è infatti risultato di un atto ostile di un amico, causata dal veleno-rimedio [phármakon], di cui è imbevuta la freccia, frutto di uno scambio con chi, come Prometeo, si era visto privato da Zeus del dono dell’immortalità. Chirone è dunque – letteralmente – l’immortale che muore, e condivide con ciò la sorte della figura divina che nell’Olimpo greco rappresenta  l’ “altra faccia” di Apollo, e cioè Dioniso, l’unico nume destinato a morire (anzi: ad una doppia morte).

Più importante, è ciò che è implicito nella rinuncia alla prerogativa dell’immortalità. Si può notare, anzitutto, che l’opzione esercitata da Chirone non si esaurisce con lo scambio attuato con Prometeo. Secondo quanto è attestato dall’hypóthesis della tragedia (perduta) intitolata “Prometeo liberato”, che unitamente al “Prometeo incatenato” e al “Prometeo portatore di fuoco” costituiva una trilogia dedicata alla figura del Titano ribelle, al protagonista è riservata una sorte analoga a quella del centauro. Inchiodato ad una rupe, esposto al pasto di un’aquila che ogni tre giorni gli divora il fegato, Prometeo deve subire un’atroce sofferenza perenne, quale conseguenza dell’immortalità a lui consegnata da Chirone.

Di qui l’invocazione contenuta nell’unico frammento pervenutoci del dramma eschileo: “amore mortis terminum anquirens mali” (“cerco nell’amore per la morte un termine per la mia sofferenza”). Diventato immortale, Prometeo deve affrontare una sofferenza che è eterna. Meglio dunque sarebbe per lui essere mortale, perché la morte segnerebbe anche la fine del suo strazio. Il grande “odiatore” della morte, sanzionato con una pena severissima per aver cercato di strappare il genere umano dalla prospettiva di una precoce estinzione, giunge ora a rovesciare il suo atteggiamento: dall’odio verso la morte alla posizione che emerge dall’esito del “Liberato” – amore mortis. Il monito che è sotteso alla vicenda “incrociata” del Titano e del Centauro è trasparente: non sempre la vita è da considerare preferibile, rispetto alla morte. Si può non solo “accettare” la morte. Si può anche giungere ad amarla – come terminum mali.

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