UNIVERSITÀ E SCUOLA

Non buttiamo il bambino con l’acqua sporca

Ho seguito con molto interesse il dibattito sulla didattica a distanza che si è sviluppato i giorni scorsi nelle pagine de Il Bo Live. Un dibattito di cui condivido sia i timori di una possibile deriva della didattica verso lo stile commerciale delle università telematiche sia la speranza che le esperienze di e gli strumenti di didattica a distanza maturati in questo periodo di emergenza possano essere messi a frutto anche in futuro. Come spesso accade, una posizione intermedia mi sembra la più ragionevole.


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A tale proposito riporto la mia esperienza, vista soprattutto attraverso gli occhi degli studenti, per poi arrivare a qualche conclusione. Devo subito precisare che, nel mio caso, quando parlo di studenti mi riferisco ai frequentanti di un corso di carattere matematico inserito in un percorso di laurea magistrale di economia, quindi studenti selezionati, maturi e responsabili, coi quali fin dalle prime lezioni a distanza (un’esperienza del tutto nuova per me, che avevo sempre fatto lezione alla lavagna col gessetto) si è subito stabilita un’intesa, una collaborazione, direi quasi una complicità che mi hanno sorpreso. Spesso sono stati loro a guidarmi nell’utilizzo degli strumenti che la piattaforma utilizzata ci metteva a disposizione, e alla fine della lezione, al momento di abbandonare l’aula virtuale, mi salutavano con messaggi via chat del tipo “Grazie prof.” o addirittura “Grazie e buona giornata”, una cosa che quasi mai accade alla fine di una lezione in presenza. Forse perché hanno apprezzato lo sforzo fatto dai docenti per continuare le lezioni nonostante l’improvvisa chiusura delle aule, o più semplicemente perché per loro, nativi digitali, è più naturale chattare online che parlare in presenza. 


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Al termine del corso, svolto quasi interamente a distanza (su 50 ore di lezione solo prime 10 in presenza) ho raccolto alcune loro impressioni. Il primo desiderio espresso dalla maggior parte degli studenti è stato “non vediamo l’ora di tornare a vivere l’ambiente universitario e la  città insieme agli altri studenti”. Nei luoghi fisici che sono il naturale crogiuolo di fusione fra diverse esperienze di vita e diversi approcci culturali, attraverso la contaminazione dei diversi saperi e il confronto fra diverse provenienze geografiche, ideologiche, familiari. Terminata la gestione dell’emergenza gli studenti desiderano fortemente tornare a frequentare le città universitarie, non solo per andare a lezione e sostenere gli esami, ma anche per incontrarsi tra di loro, per scambiare idee ed esperienze intorno ai tavoli delle biblioteche, dei bar o delle pizzerie. Perché è anche bevendo o mangiando qualcosa insieme, o passeggiando, o passando da un crocchio all’altro nelle piazze che si maturano e fecondano idee e progetti, opinioni e movimenti, non certo rimanendo ognuno chiuso in casa propria. Studenti, docenti e abitanti delle città universitarie creano insieme quell’humus di idee che è ben diverso da quello (spesso distorto e artificiale) che si genera in rete.


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Però l’esperienza didattica vissuta durante il periodo di emergenza non deve essere dimenticata, come se fosse una parentesi da chiudere. Tutti abbiamo notato, e gli studenti per primi, alcuni innegabili vantaggi che non possono essere ignorati. Ad esempio quanto sia stato utile avere a disposizione le lezioni registrate, per poter riascoltare alcune parti che sono loro sfuggite o che necessitavano comunque di essere meditate per cogliere qualche dettaglio in più. Oltre all’indubbio vantaggio, per chi non ha potuto essere presente alla lezione “in diretta”, di poter seguire successivamente la lezione registrata. Si aggiunga poi che alcuni studenti non avrebbero comunque potuto seguire le lezioni in presenza perché lavoratori o perché per qualche altro motivo non possono risiedere nella città universitaria (motivi economici, di salute o altro). Per questi studenti il fatto di poter seguire le lezioni da casa propria e in orari a scelta costituisce un’opportunità eccezionale, che mai avrebbero pensato di poter avere, e che probabilmente non avrebbero avuto se non si fosse determinata questa emergenza. Il numero dei frequentanti si è quindi allargato: un effetto davvero notevole e per molti di noi inaspettato. Diversi studenti mi hanno scritto, o mi hanno fatto notare durante l’esame, che per la prima volta hanno potuto seguire un intero corso universitario senza dover chiedere permessi ai datori di lavoro o senza abbandonare le famiglie per recarsi in una lontana città universitaria.

C’è stato anche un altro vantaggio, che avremmo potuto sfruttare anche prima di questa emergenza, ma per scarsa attitudine alle innovazioni, o per pigra adesione alla consuetudine, non avevamo utilizzato abbastanza. Si tratta della possibilità di usufruire dell’intervento, durante le lezioni, di esperti collegati da remoto, in streaming. In ogni ateneo c’è sempre stata, ovviamente, la bella consuetudine di invitare colleghi o esperti provenienti da realtà esterne al mondo accademico, per svolgere, in presenza, delle lezioni o seminari nell’ambito di un corso. Interventi importanti per gli studenti, che possono non solo assistere alla lezione ma anche interagire con il docente invitato; e così dicasi per noi docenti, che approfittiamo di simili occasioni per stabilire contatti con possibili futuri collaboratori e scambiando con loro opinioni ed esperienze di didattica e ricerca. Ma da un po’ di tempo questo è sempre più difficile per motivi burocratici oltre che per gli aspetti logistici. Pochi di noi avevano pensato di sostituirla con la meno gradita videoconferenza. Ora, con le lezioni online, questa pratica è diventata del tutto naturale, quasi un “aggiungi un posto a tavola” (o meglio, sul monitor). Facile inserire un esperto che interviene comodamente da casa sua. Una sera, durante il periodo del lockdown, il collega Ilvo Diamanti, docente a Urbino nel corso di laurea in Scienze politiche, e mi ha detto con la massima naturalezza “oggi alla mia lezione ha partecipato Romano Prodi, abbiamo fatto un bel dibattito, gli studenti erano molto interessati”. E ci credo, quando mai gli studenti avrebbero potuto discutere con Prodi e Diamanti a Urbino? Certo, un collegamento in streaming era possibile anche prima dell’emergenza, ma pochi lo facevano. Così come era possibile videoregistrare le lezioni: bastava un minimo di organizzazione, ma chi lo faceva? Si tratta di opportunità che abbiamo apprezzato in questa situazione di emergenza, soluzioni che proprio questa emergenza ci ha spinto a cercare, e che non dovremo dimenticar quando si tornerà a fare lezione in presenza. 

È quindi auspicabile che in seguito a questa emergenza verranno progressivamente incentivate e potenziate le modalità di didattica in forma mista (o blended per chi ama i termini inglesi), possibilità già contemplata, ma poco praticata, prima dello scossone causato dall’emergenza sanitaria. Finora le modalità di blended learning offerte dagli atenei erano sottoutilizzate, mentre ora sappiamo che si può fare molto di più, mescolando didattica in presenza con le potenzialità dello streaming, per allargare e arricchire la partecipazione e i contenuti.

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