Estate. Tempo di mare. Nell’immaginario comune, il mare è il regno del silenzio. Sott’acqua immaginiamo di essere avvolti da una pace punteggiata solo dai fischi dei delfini e dai canti delle balene. Tuttavia, non solo i mammiferi marini ma anche molte altre specie, principalmente invertebrati e pesci, sono in grado di produrre suoni. Le zone costiere sono particolarmente ricche di suoni di origine biologica; l’insieme di questi suoni è definito biofonia.
Vi sarà già capitato, ad esempio, di andare a nuotare vicino ad una scogliera. Nell’immergere la testa sott’acqua avrete potuto sentire un rumore simile al crepitio dell’olio che frigge. Immaginereste mai che questo brulicare di scoppi secchi e rapidi è prodotto dagli schiocchi di chela di gamberetti grandi al massimo cinque centimetri, i gamberi pistola? La comunicazione sonora, ovvero la trasmissione delle informazioni attraverso il suono, è più efficace in mare che in ambiente aereo. La velocità del suono in acqua è approssimativamente cinque volte quella in aria. Quindi, potenzialmente, i suoni in mare possono propagarsi a distanze anche molto elevate, fino a centinaia di metri o addirittura chilometri nel caso delle balene. Gli organismi marini comunicano acusticamente durante attività vitali come l’alimentazione, la difesa e la riproduzione. Alcuni suoni biologici, tuttavia, non vengono utilizzati per la comunicazione ma vengono prodotti involontariamente durante l’alimentazione e/o il movimento. È questo il caso dei ricci di mare quando brucano le alghe o si spostano sfregando i propri aculei.
Non tutti gli organismi marini sono, però, in grado di emettere suoni. La produzione sonora prevede l’utilizzo di organi e strutture specializzate, talvolta molto diversificate. I pesci ossei (Teleostei) sono tra i vertebrati ad aver evoluto la maggior diversità nei meccanismi di produzione sonora (Ladich and Fine 2006). Già Aristotele accennò alle modalità con cui alcuni pesci, come le gallinelle di mare, potessero emettere i suoni. In generale, gli apparati sonori possono essere caratterizzati dalla presenza della vescica natatoria, di elementi scheletrici modificati e muscoli sonici. Nel primo caso, ad esempio, il suono è prodotto dalla vibrazione delle pareti della vescica natatoria a seguito della contrazione di muscoli specifici ad essa associati.
Per quanto ad oggi si conosca l’identità di molte delle specie che emettono suoni, resta ancora molto da scoprire. Lo studio della bio-acustica è nato in ambiente terrestre, per poi estendersi anche all’ambiente marino, inizialmente limitandosi ai mammiferi marini, anche grazie alla maggiore accessibilità delle tecnologie disponibili. Le metodologie di studio prevedono, infatti, l’uso di idrofoni (registratori subacquei), strumenti in grado di registrare tutti i suoni emessi in una data località, senza avere un impatto sulle specie e l’ambiente circostante. Quest’approccio di studio non invasivo è definito monitoraggio acustico passivo (Passive Acoustic Monitoring, PAM).
Aldilà della curiosità di ascoltare un ambiente ancora poco conosciuto, la registrazione dei suoni della vita marina è di fondamentale importanza per raccogliere informazioni chiave sulle attività e i comportamenti animali a diverse scale spaziali (in più siti simultaneamente) e temporali (ore, giorni, mesi e anni). Gli studi temporali hanno permesso di evidenziare come in mare, così come sulla terraferma, si vengano a formare dei veri e propri cori, prodotti da pesci e crostacei, all’alba e al tramonto. Ad esempio, come la sera le rane gracidano vicino a stagni e corsi d’acqua, così nelle ore crepuscolari i cori degli scorfani risuonano nelle praterie sottomarine del Mediterraneo (Bolgan et al. 2019, Di Iorio et al. 2018). Studiare la biofonia può, inoltre, contribuire alla gestione e alla protezione di specie minacciate dall’estinzione. Molte specie di interesse commerciale altamente sovra-sfruttate, come le cernie, producono dei suoni nel periodo riproduttivo. Tenere traccia dei ritmi dell’attività sonora consente di descrivere quando e dove avviene la riproduzione, fornendo indicazioni necessarie a formulare ed introdurre misure di protezione vitali alla tutela di queste specie.
La biofonia rappresenta, tuttavia, solo una componente dei paesaggi sonori marini. Questi comprendono anche l’insieme dei suoni naturali, quali vento e pioggia (geofonia), ed i rumori prodotti dall’uomo (antropofonia). Quest’ultima componente diventa particolarmente importante lungo le coste, dove i rumori prodotti dalle attività umane (pesca e diporto) possono interferire con le comunicazioni degli animali marini, mascherandole. I rumori antropici possono così alterare i comportamenti animali e causare, a cascata, eventuali cambiamenti a livello ecosistemico. Il monitoraggio acustico ha, quindi, la potenzialità di valutare quanto le attività umane modifichino il paesaggio sonoro e quanto queste possano avere un impatto sulla fauna marina e sull’ambiente. Lo studio dei paesaggi sonori marini consente anche di distinguere zone più antropizzate da zone che lo sono meno, come quelle caratterizzate da regimi di protezione (aree marine protette). Inoltre, la diversità bio-acustica (varietà dei suoni biologici) può essere correlata alla biodiversità marina (diversità delle specie), fornendo così un indice del livello di protezione e, in generale, dello stato di salute degli habitat marini. Mai come oggi è prioritario prestare ascolto al mare e ai suoi abitanti. Impariamo a tendere l’orecchio, anche sott’acqua.