CULTURA

A Palazzo Zabarella i tesori francesi dell’Ordrupgaard

Capolavori di Cézanne, Degas, Manet, Monet, Sisley, Pissarro, Matisse… oltre ovviamente a Gauguin: apre sabato 29 settembre a Palazzo Zabarella la mostra Gauguin e gli Impressionisti. Capolavori dalla Collezione Ordrupgaard, che resterà aperta fino al 27 gennaio 2019.

Dopo la mostra su Joan Mirò la Fondazione Bano torna dunque ad “approfittare” della vacanza di un’importante collezione dalla sua sede naturale per dare vita a un evento artistico di levatura internazionale. Stavolta si tratta della raccolta di dipinti francesi dell'Ordrupgaard Museum (situato a Jægersborg Dyrehave, a nord di Copenhagen), considerata una delle più importanti del Nord Europa e disponibile in via eccezionale a causa del completo rinnovo della sua sede. Così dopo Parigi e la National Gallery of Canada tocca a Palazzo Zabarella accogliere i 60 splendidi dipinti della mostra, che si concluderà in una sede svizzera prima di rientrare definitivamente in Danimarca.

Un’esposizione che consente al pubblico italiano di ammirare una strepitosa selezione di opere, il fior fiore della collezione creata ai primi del Novecento finanziere e filantropo Wilhelm Hansen e da sua moglie Henny. Hansen, che in principio collezionava solo pittura danese, rimase affascinato dalla nuova pittura francese a partire del suo primo viaggio d'affari a Parigi nel 1893, ma fu solo nel 1915 che maturò il progetto di creare un’apposita collezione, anche con finalità di investimento. Fu così che in un breve lasso di tempo – praticamente due anni, dal 1916 al 1918 – Hansen riuscì a creare, grazie anche ai consigli di uno dei più importanti critici d'arte del momento, Théodore Duret, una raccolta che il suo collega collezionista svedese Klas Fåhræus avrebbe descritto come la “migliore collezione impressionista al mondo”.

Per finanziare l'acquisto di opere d'arte Hansen creò persino un consorzio, nel quale coinvolse amici facoltosi interessati a portare in Danimarca la nuova arte francese e in particolare gli impressionisti, gli artisti che li hanno preceduti, i loro due successori, Cézanne e Gauguin. Successivamente l’uomo d’affari attraversò alterne fortune, e con lui le sue opere d’arte: nel 1922 fu coinvolto dal fallimento di una banca al punto di essere costretto a svendere i suoi amati quadri, per poi riprendersi e tentare di ricostituire, almeno parzialmente, la sua collezione. Che però a questo punto non era più aperta al pubblico: Hansen infatti non perdonò mai alla corona danese di non aver fatto nulla per salvare i suoi Gauguin dal pericolo di una dispersione. Sarà alla fine la sua vedova a donarla allo stato, ma solo nel 1953.

Un percorso che, grazie anche all’allestimento, vale quasi un viaggio nel tempo

Il risultato è un assortimento che, per essere stato raccolto in un così breve lasso di tempo e nelle condizioni descritte, riesce a fotografare con coerenza sorprendente l’evoluzione della grande pittura francese nella seconda metà dell’Ottocento. Si parte dal classicismo di Ingres e dal romanticismo di Delacroix per passare alle splendide visioni naturalistiche di Corot e di Courbet; il passo successivo è la cosiddetta la scuola di Barbizon che, formatasi dopo il 1836 intorno a Théodore Rousseau, all’epoca considerato uno dei maggiori pittori di paesaggio francesi, influenzerà profondamente i nuovi autori dell’impressionismo: da Sisley a Renoir. Proprio la sala dedicata da Sisley risulta è una delle più affascinanti del percorso, con sei dipinti che documentano l’evoluzione dell’artista nell’arco di oltre trent’anni: dal figurativismo ancora un po’ venato di accademismo degli inizi alle sperimentazioni della maturità, fino al recupero di una dimensione quasi classica nelle ultime tele.

Impressionante anche la sala successiva, dove il celebre Ponte di Waterloo di Monet vale da solo l’ingresso della mostra e, secondo il direttore culturale della Fondazione Bano Fernando Mazzocca, persino il viaggio a Padova. Vicino si trovane alcune splendide marine della Normandia tra cui il Mare in burrasca, nuvoloso di Charles-François Daubigny, che grazie alle ondate di colore denso sembra acquistare la terza dimensione di un bassorilievo. Stupende anche la sezioni con Degas e Cézanne e soprattutto quella dedicata a Pissarro, con sei tele che spaziano dalle visioni di una Parigi Fin de siècle ad atmosfere più agresti, quelle preferite dall’artista. Fino ad arrivare a Gauguin, che per molti versi supera l’impressionismo e, con i suoi colori piatti e la semplicità del tratto, ne costituisce quasi l’antitesi. Un percorso che, grazie anche all’allestimento, vale quasi un viaggio nel tempo: una passeggiata nella Ville Lumière di Verlaine e di Mallarmé.

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