SOCIETÀ

#PerunALTRAcostituente: voci inascoltate di donne durante la pandemia

Alcune venivano dalla resistenza, altre da un preciso impegno nel sociale, altre da attivismo nei partiti politici, altre ancora dalla scuola: sono le 21 elette nel suffragio universale del 2 giugno 1946, che portò in Parlamento per la prima volta anche le donne. In quell’occasione si votò per il referendum istituzionale tra Monarchia e Repubblica e per eleggere l’Assemblea costituente. Quelle 21 deputate, che oggi a noi sembrano un numero esiguo a fronte dei 556 eletti, segnarono l’ingresso delle donne nel più alto livello delle istituzioni rappresentative e la loro partecipazione al dibattito che portò alla stesura della nostra carta costituzionale. Un passaggio epocale. A loro dobbiamo gratitudine e riconoscenza perché, pur provenendo da esperienze diverse e da diverse collocazioni politiche, fecero causa comune sui temi dell’emancipazione femminile, ai quali fu dedicata, in prevalenza, la loro attenzione. La senatrice Lina Merlin, laureata in Lingua e letteratura francese all’Università di Padova, diede un apporto decisivo alla scrittura dell'articolo 3 della Costituzione, che riguarda l'uguaglianza dei cittadini. Fu lei a far aggiungere le parole "senza distinzione di sesso" nel corpo dell'articolo:

 

Tutti i cittadini hanno pari dignità e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

Sono passati 74 anni da quel momento storico che ha permesso allo stato italiano di diventare una democrazia. La collocazione delle donne nel tessuto sociale, culturale e politico del paese si è radicata e allargata: dal 1946 in poi le donne hanno potuto studiare, lavorare, fare politica, scendere in piazza nella fase topica che oggi ricordiamo come ‘femminismo storico’, per rivendicare diritti e presenza nel corpo della nazione. Abbiamo iniziato a innervare con determinazione e competenza i settori della produzione industriale, del business, dell’economia, delle istituzioni accademiche, statali e governative. Ma abbiamo tutte sperimentato e continuiamo a sperimentare, oggi in maniera palese, la durezza e la freddezza di quel soffitto di cristallo che impedisce alla maggioranza di persone competenti e lungimiranti l’accesso a posizioni di vertice dove si prendono decisioni che riguardano la vita di tutte e tutti. 

Viene da chiedersi come sia potuto succedere, dopo l’inizio così lungimirante del 1946. Non intendo avanzare analisi complesse di ciò che ci costringe, nel 2020, a essere ancora qui a rivendicare il diritto a esserci e a essere ascoltate. Mi interessa di più intervenire su ciò che ci aspetta, su quali possano essere le sfide che le donne e la società tutta devono affrontare dopo aver subito l’attacco imprevisto e spettacolare di un virus che ci ha messo di fronte alla fragilità umana, sociale e ambientale. Stiamo uscendo ora, con prudenza e titubanza, da un lockdown che ha messo in crisi non solo la salute di cittadine e cittadini, ma il tessuto stesso del paese, le sue priorità, e ha evidenziato la questione sempre aperta delle libertà e dell’accesso ai diritti. 

In questo quadro la voce e l’esperienza delle donne, che rappresentano la maggioranza di coloro che hanno ‘servito’ il paese nell’emergenza Covid19, resta inascoltata, pur nelle manifestazioni di gratitudine che da più parti arrivano per chi si è preso ‘cura’ delle vittime della pandemia. Se alle donne viene riconosciuta la propensione e la capacità che servono ai lavori di cura, allora adesso è il momento in cui le donne possono finalmente “prendersi cura” del paese, per trasformarlo profondamente, delineando scenari, definendo priorità, prendendo decisioni, e parola sulla scena pubblica. Di fronte al proliferare di task force per l’emergenza e la ripartenza tutte al maschile, fatte di uomini in posizione di leadership che da sempre sono negate alle donne, pensiamo che i tempi siano più che maturi per un altro pensiero e un altro modo di offrire competenze, visione e futuro. 

Le donne del 1946 erano uscite da una guerra e dalla resistenza al nazismo. Noi abbiamo vissuto un periodo di pace e prosperità anche grazie a loro, ma siamo incappate in uno sviluppo imprevisto e dirompente dell’ecosistema planetario che ci ha messo sotto scacco e ci chiede di ripensare a cosa significhi ora garantire salute, sopravvivenza, ed eguali diritti. Queste priorità dovranno essere sostenute dal concorso lungimirante di tutti, e quindi anche delle donne, senza la cui esperienza questo mondo non può avere futuro. 

Negli ultimi giorni si sono finalmente alzate voci (si vedano interventi su La27ora, articoli sul Corriere della sera, #datecivoce, l’appello del Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres), che esprimono forte preoccupazione per l’acuirsi di disuguaglianze, discriminazioni e violenze a causa della pandemia, e chiedono di dare voce e adeguata rappresentanza alle donne nei luoghi decisionali per la ‘ripartenza’.

Il mio invito, per coloro che credono che sia giusto impegnarsi per affermare la vita, il lavoro dignitoso, la partecipazione paritaria all’economia, al sociale, alla politica, con un’attenzione particolare alle generazioni che vengono dopo di noi, è di coltivare uno sguardo lungo sulla nostra storia, che non ci potrà dire come evitare gli errori del passato ma sicuramente farci capire dove abbiamo sbagliato, e un pensiero critico e propositivo che ridirezioni lo sguardo e produca nuovi paradigmi di gestione della vita pubblica, che includano una prospettiva sovranazionale (auspicabilmente ‘planetaria’) e una nuova grammatica delle relazioni fra donne e uomini.

Un modo per iniziare questo lavoro tutt’altro che semplice è mettere insieme riflessioni, idee, esperienze e buone pratiche, che producano massa critica proattiva e si offrano con urgenza alle nostre comunità di appartenenza e alle istituzioni governative come un contributo per il tempo che viene. In questa fase ‘costituente’ sarà cruciale individuare proposte concrete, a partire da azioni e iniziative che potremmo/dovremmo portare nelle università, in un dialogo ininterrotto con le realtà esterne all’accademia.

Grazie a tutte e tutti coloro che vorranno mettersi in gioco nello spazio pubblico di #perunALTRAcostituente su Il Bo Live, magazine dell’Università di Padova. 

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