SCIENZA E RICERCA

Piove, a 111 anni luce dalla Terra

Molti di noi prima di programmare un viaggio o una vacanza consultano le previsioni del tempo, sperando che non piova nel luogo di destinazione. Per far questo, si osservano in TV o sul cellulare le immagini dei satelliti meteorologici che ci sorvolano, provenienti da 36.000 km di quota. Se questa distanza vi sembra grande, pensate che oggi siamo già in grado di sapere se piove sul secondo pianeta della stella K2-18, indicato con la lettera b (K2-18b) e distante da noi ben 111 anni luce, una distanza detta tutta d’un fiato di un milione di miliardi di km. In realtà queste piogge sono avvenute 111 anni prima, il tempo necessario perché la luce della stella raggiunga la Terra percorrendo la distanza che ci separa, e quindi più che previsioni sono la storia meteorologica del pianeta.

Utilizzando il telescopio spaziale Hubble e osservazioni fatte con altri due telescopi nello spazio, Spitzer e Kepler, un gruppo di cinque ricercatori dell’University College di Londra è riuscito ad analizzare l’atmosfera del pianeta attraverso la spettroscopia, trovando la presenza di vapor d’acqua, a temperatura e pressione in grado di generare piogge. K2-18b ha un’orbita che ogni 33 giorni lo fa transitare tra noi e la sua stella, creando una mini-eclissi. Durante questa eclissi la luce della stella attraversa l’atmosfera del pianeta prima di raggiungerci, e nelle analisi spettroscopiche della luce stellare durante il transito appaiono per un breve periodo le tracce delle molecole presenti in atmosfera. In base alla presenza e all’intensità di queste tracce si può stabilire la quantità di molecole e la loro eventuale variazione col tempo. 

L’ambiente di K2-18b è molto diverso dal nostro: il pianeta, grande due volte la Terra e con una massa 9 volte maggiore, ha ancora un’atmosfera primordiale, spessa e fatta principalmente di idrogeno; la stella è 2.000 gradi più fredda del Sole e più piccola della metà rispetto ad esso. La sua fotosfera è moderatamente attiva, con eruzioni ed emissioni di raggi X e UV. Nonostante queste grandi differenze col nostro pianeta, la conferma della presenza di nubi d’acqua in un pianeta così lontano è un evento storico, che ci fa fare un passo avanti nello studio delle atmosfere dei pianeti extrasolari. 

Sono passati 24 anni dalla scoperta del primo pianeta extrasolare intorno alla stella 51 Pegasi, simile al Sole. 51 Pegasi b è un pianeta estremamente massiccio, grande il doppio del pianeta Giove ma meno denso, una grande massa di gas caldissimo perché molto vicina alla sua stella. Anche lì nel 2013 erano state osservate molecole d’acqua oltre a monossido di carbonio.

Oggi la lista di pianeti scoperti intorno ad altre stelle è arrivata a più di 4.112 pianeti, che orbitano intorno a 3.059 stelle. Alcuni segnalano la loro presenza perché perturbano il movimento della loro stella: sono i più massicci e i più vicini alla stella. Altri perché sono sovrapposti in cielo con altre stelle, creando l’effetto di una “lente gravitazionale” che amplifica la luce della stella dietro di loro al loro passaggio; moltissime invece perché, come K2-18, producono una mini eclissi della luce della stella. Vedere questa eclissi richiede condizioni molto particolari sull’orbita del pianeta: il piano della sua orbita deve essere quasi esattamente allineato con la linea che congiunge noi e la stella. Questo può avvenire per caso solo raramente, meno di un grado di differenza rispetto ai 360 gradi possibili. Perciò il fatto di averne trovati così tanti suggerisce che esista un numero ancora più grande di pianeti extrasolari con un’orbita a diversa inclinazione che noi non possiamo scoprire con questo metodo. Decine o centinaia di migliaia di pianeti non osservabili tramite un’eclissi della stella. 

Tra quelli scoperti, almeno 22 sono simili alla Terra e si trovano nella “zona abitabile”, cioè ad una distanza dalla stella a cui il suo calore rende possibile l’esistenza di acqua liquida in superficie. Hanno una massa compresa tra 0,5 e 5 volte quella del nostro pianeta e un raggio tra 0,8 e 1,5 volte quello terrestre. Possono avere una crosta solida, un’atmosfera con nubi e forse forme di vita. Ventidue terre abitabili sono un gran bel numero. 

Ma a questo proposito bisogna andare cauti. Più che il raggio e la massa da soli, conta l’accelerazione di gravità del pianeta. Se è vero che la maggior parte delle forme di vita del nostro pianeta sono microrganismi, e noi esseri umani rappresentiamo solo lo 0,01 % in massa dei viventi, tutte le forme di vita si sono adattate all’ambiente in cui vivono e alla forza di gravità presente. Un pianeta con un’accelerazione di gravità minore permetterebbe forme di vita forse più alte e che si muovono a maggiore velocità; viceversa un pianeta con una gravità molto maggiore potrebbe avere solo animali molto massicci o senza scheletro, in modo da stare attaccati al suolo. Anche gli insetti volanti potrebbero essere scarsi o assenti, e di conseguenza non ci sarebbe bisogno dei fiori, il cui polline viene diffuso qui da api e altri insetti. Dunque un pianeta di erbe basse, senza alberi, insetti o uccelli né animali eretti.  

Per fare qualche esempio reale consideriamo i quattro pianeti simili alla Terra intorno alla stella TRAPPIST1. Lì l’accelerazione di gravità è tra il 60% e il 100% della nostra, e una persona di 70 kg peserebbe tra i 44 e i 73 kg, muovendosi molto più velocemente che sulla superficie del nostro pianeta. Un altro caso interessante è quello del pianeta che è stato scoperto intorno alla stella più vicina al Sole, Proxima Centauri, a “solo” 3 anni luce da noi. Non conosciamo la sua densità ma se fosse roccioso come il nostro, il peso alla superficie sarebbe uguale e l’ambiente sarebbe simile al nostro. Tuttavia queste stelle sono tutte nane rosse, molto più piccole e fredde del Sole, e questi pianeti orbitano molto vicino a loro, con un anno locale che dura solo pochi giorni terrestri. La luce del cielo sarebbe rossa e le forme di vita del tutto diverse dalle nostre. 

L’unico pianeta finora scoperto nella zona abitabile di una stella simile al Sole è Tau Ceti e. La stella Tau Ceti possiede questo pianeta con un anno di 163 giorni terrestri a una distanza poco inferiore a quella di Venere dal Sole. Non conosciamo la sua densità ma, se fosse roccioso, avendo una massa quasi 4 volte quella della Terra, sarebbe uno di quei casi in cui la forza di gravità schiaccerebbe gli esseri viventi. Una persona di 70 kg peserebbe 110 kg alla sua superficie.

Qualunque sia l’ambiente di questi pianeti con acqua liquida in superficie, se ci sono forme di vita, queste possono aver alterato l’atmosfera del pianeta creando tracce visibili anche dallo spazio. Come abbiamo visto per K2-18b, è possibile analizzare la composizione atmosferica del pianeta durante un’eclissi.

Che tracce si possono trovare?

Su pianeti simili a Venere o Marte, privi di forme di vita in superficie, la molecola più evidente è l’anidride carbonica. Sulla Terra invece è chiara la presenza di ozono, creato in alta quota dalla ionizzazione dell’ossigeno. Qui l’ossigeno viene prodotto dalle piante attraverso la fotosintesi clorofilliana, che sottrae l’anidride carbonica generata in gran parte dai vulcani e l’assorbe rilasciando ossigeno. Trovare le tracce dell’ozono nell’atmosfera di un pianeta extrasolare sarebbe una scoperta molto interessante, anche se non saremmo in grado di capire se possa avere origini non biologiche. Però anche la clorofilla lascia una traccia importante sul pianeta. I pigmenti che si trovano sulle foglie assorbono varie lunghezze d’onda, tra cui infrarosso e rosso. Fotografare o fare un’analisi spettroscopica di un pianeta che riflette la luce della sua stella può portare alla scoperta di una regione di lunghezze d’onda vicino a 8.000 nanometri (infrarosso) poco riflettente a causa della presenza di clorofilla sul suolo. Questa regione di forte assorbimento della luce infrarossa viene detto “red edge” perché la luce riflessa nel verde, giallo e arancione di colpo si affievolisce nell’infrarosso. Non è solo la superficie delle foglie a creare il red edge. Anche le cellule di cianobatteri presenti nei mari terrestri producono un’impronta chiara della presenza di clorofilla. Infatti, dopo la scoperta del vapor acqueo su un pianeta simile alla Terra, la prossima frontiera è la scoperta di ozono e clorofilla

A quel punto sapremo che esistono altre forme di vita nella nostra galassia. Dobbiamo solo aspettare.

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