SCIENZA E RICERCA

Sommersi dalla plastica

Quanti e quali danni causa una pandemia, in particolare quella odierna di Covid-19, con cui conviviamo, ormai, da quasi due anni?

Quello più evidente è il costo in vite umane perse e la pressione sui reparti ospedalieri impegnati nel curare i pazienti malati. Altri sono più celati, più difficili da interpretare: ci sono le ricadute sociali, quelle psicologiche, quelle sul funzionamento di un’economia interconnessa e globale. E poi – ma non per ultime – esistono i problemi di tipo ambientale ed ecologico. Una pandemia inquina? La risposta, basandosi anche su un recente studio scientifico pubblicato su Pnas, è certamente sì. Non si tratta solo del ritorno, a livelli pre-Covid, dell’immissione nell’atmosfera di gas climalteranti (CO2 in testa), esiste un’altra minaccia alla salute globale della Terra: la produzione di plastica e il suo relativo smaltimento.

La pandemia ha infatti generato un aumento impressionante di produzione di materiali plastici, per la maggior parte legati alle necessità di protezione personale e soprattutto per quella in ambito medico-sanitario. Mascherine, guanti, dispostivi di schermatura per il volto, grembiuli monouso e via dicendo: plastica prodotta, usata e poi smaltita. Ma come? Non benissimo, anzi: malissimo. Lo studio, condotto dall’università cinese di Nanjing e dall’università La Jolla di San Diego parla, apertamente, di uno scenario fuori controllo a discapito soprattutto delle acque e degli oceani del pianeta.

Gli scienziati, basandosi su un modello di previsione, hanno calcolato quanta plastica siano già arrivati nei mari. Bene, dei circa 8,4 milioni di tonnellate di rifiuto plastico collegato alla pandemia generato da 193 Paesi fino ad agosto 2021, circa 25.900 tonnellate sono state rilasciate negli oceani. Il modello utilizzato dimostra come nei prossimi tre anni le plastiche si saranno distribuite a livello globale, intaccando ambienti costieri, il mare aperto e le aree marine lungo il circolo polare artico.

Certo, la plastica di per sé non sarebbe da demonizzare: “La pandemia – spiegano gli studiosi – ha dimostrato l’indispensabile ruolo di questo materiale per il settore medico e per la sicurezza della popolazione”. Ma, l’aumento dei casi di Covid-19 ha portato a un drastico aumento della produzione e consumo, mentre molte leggi per la regolamentazione dello smaltimento sono state posticipate o cancellate. In aggiunta, il distanziamento sociale e i vari lockdown hanno portato a un aumento delle richieste di prodotti online e dei relativi pacchetti, spesso realizzati anche in plastica. La conseguenza è semplice: se da una parte è aumentata la produzione, dall’altra il ciclo di smaltimento/riciclo non ha tenuto il passo e si è arrivati al problema di inquinamento delle zone marine. L’impatto potrebbe essere molto grande: i residui plastici nei mari causano numerosi problemi alle specie marine e ai loro habitat.

Provenienza della plastica

La maggior parte dei rifiuti proviene da fonti ospedaliere (87,4%), gli abitanti contribuiscono per il 7,6%, più marginale lo shopping online con solo il 5%. Interessante notare come  la distribuzione dei casi di Covid-19 segua un percorso diverso rispetto ai problemi di smaltimento dei rifiuti. Circa il 70% dei casi proviene da Asia, Nord e Sud America, ma la maggior parte delle plastiche (il 46%) è prodotta in Asia, seguita da Europa (24%) e Nord e Sud America (22%). I dati riflettono il minore trattamento dei rifiuti medici nei paesi in via di sviluppo come India e Brasile se comparati con i Paesi sviluppati.

I fiumi più inquinanti

La plastica in gran parte si riversa in mare attraverso i fiumi: 12.300 tonnellate di microplastiche e 13.600 tonnellate di macroplastiche sono arrivate in mare attraverso i maggiori 369 fiumi del mondo. I tre peggiori sono stati il Shatt al Arab (5,2 migliaia di tonnellate in Asia), l’Indo (4.000 tonnellate, sempre in Asia) e il Fiume Azzurro (3,7 migliaia di tonnellate). Seguono il Gange, il Danubio e l’Amur.

I modelli prevedono che la maggior parte della plastica si distribuirà vicino alla risorsa inquinante (i fiumi, insomma) nel breve periodo per poi arrivare in mare aperto entro al massimo 3/4 anni.

Lo scenario

Gli studiosi lanciano un avvertimento: visto che è ancora troppo speculativo e azzardato ipotizzare che la pandemia sia sotto controllo entro i prossimi 2 anni e che le azioni di contenimento di Covid-19 continueranno a essere implementate, è verosimile aspettarsi che con l’aumento dell’uso di plastica, seguirà anche il successivo aumento del rifiuto prodotto e non smaltito correttamente. La conseguenza è chiara: un aggravarsi dell’inquinamento e un maggiore rischio concreto per l’ecosistema marino mondiale.

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